La lezione brianzola
di Aldo Ciappi
–
LA SCONFITTA DI CAPPATO AD OPERA DELL’”UMILE” GALLIANI MOSTRA TUTTA LA DISTANZA CHE C’E’ TRA LE SINISTRE E LA GENTE COMUNE
Nella circoscrizione elettorale di Monza-Brianza (55 popolosi comuni) si è votato domenica scorsa per eleggere il seggio di Senatore rimasto vacante dopo la morte di Silvio Berlusconi. Sui poco più di 700.000 aventi diritto al voto si sono recati alle urne soltanto 134.996 cittadini, pari al 19,23% degli aventi diritto. Si confrontavano 8 candidati 6 dei quali, di varia connotazione politica, tutti assieme, si sono fermati al 9%.
I restanti 2 erano Adriano Galliani, storico uomo di fiducia di Berlusconi, attualmente presidente del Monza Calcio e Marco Cappato paladino di tutte le battaglie per i cosiddetti “nuovi diritti”, in particolare della canna libera e dell’eutanasia. Il primo sostenuto da tutti i partiti del centro-destra, l’altro da tutte le sigle della galassia della sinistra tra loro coalizzate, il cosiddetto “campo largo”: Pd, Movimento 5 Stelle, Azione, Possibile, Più Europa, Radicali Italiani, Verdi e Sinistra Italiana, Libdem, Socialisti e Volt.
Come tutti sanno è passato Galliani che ha ottenuto il 51,46% dei voti mentre Cappato si è fermato al 39,53%.
Su questo – ad avviso di chi scrive – sorprendente dato si può fare una breve ma importante riflessione partendo dalla notoria considerazione che l’elettore di centro-destra è assai meno motivato a recarsi a votare quando la posta in gioco non è decisiva, come in questo caso, di quanto non lo sia quello di sinistra, più ideologicamente motivato in ragione delle maggiori aspettative connesse alla propria appartenenza politica. Si tratta di un retaggio della vecchia idea di partito “guida” verso un non meglio definito “progresso” che, nonostante la notevole perdita di appeal che esso ha avuto, produce ancora un certo effetto, soprattutto nel popolo della sinistra-post comunista.
Inoltre, nessuno, potrà negare il fatto che, ad un anno esatto dal suo insediamento, non vi sia stato un solo giorno in cui la grancassa dei media, da Repubblica alla Stampa, al Corriere, al Fatto Quotidiano, non abbia lanciato, all’unisono – e, deve riconoscersi, anche con una certa astiosità -, ogni sorta di accusa contro il governo di centro-destra presieduto da Giorgia Meloni, per cui ci si poteva attendere che un terreno da essa così ben preparato cominciasse a dare qualche frutto.
Se a ciò si aggiunge anche il fatto che a scendere in campo con la bandiera del “progresso” non era un Carneade bensì un autentico pezzo da novanta dell’ arsenale progressista come Cappato, al quale tutte le suddette bocche di fuoco mediatico fanno l’inchino e che, proprio per questo, viaggia(va) sulla cresta dell’onda e con il vento in poppa, il caso si fa ancora più intrigante.
Per farsi un’idea più esatta sul significato, non per caso passato sotto tono, di quanto accaduto domenica, non sarà inutile ricordare che il personaggio in questione (n.b.: dopo essersi autodenunciato), è stato più volte preservato da ogni indagine da solerti Pubblici Ministeri che hanno subito archiviato le relative notizie di reato, ritenendo il fatto di aver accompagnato persone gravemente disabili o malate in Svizzera che avevano deciso di suicidarsi del tutto irrilevante rispetto ad una norma che tutt’ora punisce penalmente l’aiuto al suicidio. L’ articolo 580 del Codice penale infatti così recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”).
La Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 242/2019 (caso “Dj Fabo”), non ha affatto tale norma abrogato avendo solo scriminato la condotta del suo autore nel solo caso in cui risultino accertate la tassative condizioni soggettive di colui che chiede di essere aiutato a togliersi la vita – affetta da patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili, tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, capace di prendere decisioni libere e consapevoli -.
Quindi, nel monzese, si sono affrontati: da una parte un calibro assoluto nel panorama di quella cultura radical-chic assolutamente predominante in ogni settore, magistratura compresa, e dall’altra la mite figura di Galliani, noto per lo più agli appassionati di calcio.
Tuttavia, nonostante le premesse di cui sopra che non lasciavano speranze al secondo, il primo, con le sue roboanti battaglie che alla gente comune, evidentemente, importa poco, è stato sonoramente sconfitto. Sebbene pochi lo abbiano rimarcato, la lezione che viene dall’operosa Brianza ha un significato che va assai oltre la conquista del seggio senatoriale vacante, avendo messo evidenziato in modo definitivo la distanza abissale che c’è tra le avanguardie liberal ed il loro partiti di riferimento, da una parte, e la gente comune con i suoi concreti problemi e bisogni, dall’altra.
Farebbero bene gli inconsolabili maestri del pensiero sedicente “progressista” – che, nonostante i loro fallimenti ancora continuano a pontificare – a far tesoro di questa ulteriore lezione di realismo. Ma, purtroppo, tutto lascia prevedere che la maggior parte di essi continueranno a ritenere, sposando quel famoso detto attribuito a Hegel, che “quando i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti”.