Quale pace per il Medio Oriente?
di Pietro Licciardi
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SENZA UNA SIGNIFICATIVA PRESENZA CRISTIANA NON CI SARA’ MAI VERA PACE. AL MASSIMO UNA TREGUA ARMATA
Ogni volta che cominciano a soffiare venti di guerra in Occidente i soliti buonisti lanciano lo stucchevole, ingenuo e velleitario peana per la pace. Ingenuo e velleitario perché la pace non è un qualcosa che cala dall’alto, non si impone, non spunta dal nulla. Certamente è possibile creare le condizioni politiche, economiche e sociali per una cessazione temporanea delle ostilità; ma tra una tregua, magari armata, e la pace c’è una bella differenza.
Come insegna la Chiesa la pace è sì un imperativo divino: Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Giov. 14, 27), ma Gesù non parla di una pace qualunque ma della Sua pace, che – si legge sempre nel Vangelo di Giovanni – non è come quella che dà il mondo. La pace dei cattolici è prima di tutto la pace dell’anima, propria di chi essendosi liberato dal peccato è riconciliato con Dio, compie i Suoi precetti e osserva la Sua parola; ovvero ristabilisce un ordine interiore che poi si proietta all’esterno dell’uomo, nelle relazioni familiari, sociali e su, su fino nella vita delle nazioni. La pace insomma è il frutto di una conversione del cuore.
Prendiamo ad esempio, tanto per restare nell’attualità, il conflitto israelo-palestinese in corso. Quale pace possiamo sperare tra gli ebrei, fermi all’antico testamento, per i quali vige ancora l’”occhio per occhio”, e gli arabi mussulmani ai quali il Corano insegna che uccidere e sgozzare il nemico e l’infedele è un atto meritorio gradito ad Allah?
Indubbiamente occorre convincere e magari costringere Israele, Hamas e tutte le altre fazioni a sedersi a un tavolo; magari facendo in modo che gli ebrei non trattino gli arabi e i palestinesi che vivono in mezzo a loro come cittadini di serie B e quelli rinchiusi in quel campo profughi – qualcuno non troppo a torto la definisce una prigione – che è Gaza come se fossero tutti assassini e terroristi. Ricordiamoci che la sottile striscia impropriamente definita “stato palestinese” dipende completamente dal potente vicino per le forniture di acqua, di gas e di tutto ciò che serve per vivere; una dipendenza che – lo abbiamo visto in questi giorni – non si esita a usare come arma. Ricordiamoci anche che agli arabi della Cisgiordania, la quale pur facendo parte dei territori dati ai palestinesi è considerata da ultraortodossi e nazionalisti terra di conquista, ricevono un terzo della quantità giornaliera di acqua erogata ai coloni degli insediamenti.
Tuttavia anche fossero istaurate da domani eque condizioni di vita per tutti saremmo certi che le vendette, l’odio, le recriminazioni e le rivendicazioni cesserebbero?
Stiamo infatti parlando di due popoli in guerra da almeno ottanta anni, prima ancora che venisse proclamato lo stato d’Israele e scoppiasse la prima guerra arabo-israeliana del 1948. Il che significa che non c’è famiglia, da una parte e dall’altra, che non abbia avuto qualche morto ucciso in guerra, in attentati terroristici oppure detenuti e magari torturati.
L’ipocrita Occidente si produce oggi in inutili dichiarazioni – l’Europa – o manda i suoi diplomatici, assieme ad una flotta da guerra, per cercare di spengere l’ennesimo incendio ma nessuno è disposto a riconoscere la grande colpa di non aver mosso un dito quando i cristiani della Palestina, ma lo stesso vale per tutto il Medio Oriente, sono stati costretti progressivamente all’esilio a causa della ostilità di entrambe le parti, e quindi della difficoltà di lavorare, avere una casa, costruirsi un futuro accettabile. I cristiani, ma diciamo meglio: i cattolici, sono gli unici in quella parte del mondo a concepire il perdono, a rifiutare la vendetta. Solo il Vangelo – non il Corano, non la Bibbia o la Torah – chiede non solo porgere l’altra guancia e perdonare ma addirittura di amare il proprio nemico.
Per la Palestina e il Medio Oriente in genere si potrà sperare al massimo in una tregua, sempre che le cancellerie che contano trovino persone almeno un po’ meno che mediocri in grado di immaginare soluzioni politiche e diplomatiche soddisfacenti, ma difficilmente si arriverà ad una pace. Sempre che, come al tempo di San Francesco santi pellegrini – magari sotto l’ombrello protettivo di qualche portaerei – non si muovano in massa per andare a convertire gli uni e gli altri al Vangelo e per ristabilire una significativa presenza cattolica in quelle terre martoriate dall’odio religioso e dal laico furore. Solo allora si potrà sperare nella vera pace descritta dall’apostolo evangelista.