L’iconografo è un teologo che scrive col pennello sotto ispirazione dello Spirito Santo
di Bruno Volpe
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L’ICONA DELLE ICONE È SENZA DUBBIO LA TRINITÀ DI RUBLEV
“L’iconografo non è un artista o un pittore nel senso occidentale del vocabolo”: lo dice in questa intervista don Gianluca Busi, sacerdote bolognese, uno dei più autorevoli iconografi nel nostro panorama, attento e qualificato studioso e teologo.
Don Luca, chi è l’iconografo nella tradizione orientale?
“Quello dell’iconografo prima di tutto è un ministero liturgico, possiamo paragonarlo in ottica cattolica, a quello dell’accolito e del servitore di altare. Per essere accoliti riconosciuti vi è bisogno di un permesso del vescovo che approvi il suo operato ne attesti dignità ai suoi requisiti morali. In seconda battuta un iconografo è un teologo”.
In che senso?
“Deve naturalmente conoscere le scritture ed esprime le stesse attraverso le opere, ma lo fa in una chiave ed in una prospettiva diversa rispetto agli occidentali. E’ una teologia delle immagini e icona dal greco significa appunto immagine, l’iconografo diffonde una teologia attraverso luce e colore e non è corretto dire dipingere icone, ma la dizione giusta è scrivere icone, perché in realtà l’icona oltre che immagine, è un racconto. L’iconografo dipinge quello che l’ispirazione gli detta e ad esempio la prospettiva rispetto alla visione occidentale è rovesciata. Nella icone infatti, la luce arriva dall’ interno e non dall’ esterno. Come affermavo prima, è un modo di vedere opposto rispetto all’occidente e un iconografo non può essere definito artista, anzi per lui è offensivo o comunque inappropriato. Pensi che passando alla scuola russa, Kandinsky prima di diventare quello che fu, è stato un iconografo”.
Possiamo azzardare una definizione di iconografo?
“Giovanni Damasceno parlava di icona come teologia espressa attraverso il colore, una teologia del colore. La differenza dunque con la pittura classica, penso a quella pompeiana è che questa parte dal vivo, riprende il vivente, l’esistente e lo riproduce. L’icona invece ha un valore simbolico, la luce è interiore non esteriore e i volumi dei corpi sono trasfigurati. In poche parole, l’iconografo è un teologo che scrive sotto ispirazione dello Spirito col pennello, ma non è un artista nel senso occidentale del termine. Insomma, esiste una differenza abissale tra il nostro modo occidentale di essere pittori e quello di fare icone. Il pittore guarda la natura, l’iconografo chiude gli occhi e prega, parla di corpi illuminati, volti radiosi. Proprio perché l’iconografo non è un artista, le icone non si firmano, appartengono alla Chiesa. Solo nella scuola italiana, parlo del Bellini nel 1400, è apparsa la moda di firmare icone, ma nella visione orientale l’icona non è mai firmata, davanti ad una firma gli orientali storcono il naso e dissentono, perché l’icona appartiene alla Chiesa ed è emanazione dello spirito. Un iconografo può stare anni senza dipingere, dipende dalla ispirazione dello Spirito”.
Qual è il prototipo della icona?
“L’icona delle icone è senza dubbio la Trinità di Rublev”.
In Italia, assieme a don Gianluca Busi abbiamo una buona generazione di iconografi a dimostrazione che è un genere seguito ed apprezzato. Annoveriamo il barese don Antonio Calisi e a Roma la nota e brava russo siberiana Elena Chugunova, con al suo attivo svariate mostre (di rilievo la recente in Sicilia) e il restauro della chiesa ortodossa di Sanremo.