Guerra in Palestina e geopolitica a confronto

Guerra in Palestina e geopolitica a confronto

di Matteo Castagna

LE TESTE MOZZATE, ANCHE DI DONNE E BAMBINI, EMERGONO IN TUTTO IL LORO ORRORE

La saggezza del mondo classico si può riassumere con questa frase di uno dei più importanti esponenti della letteratura greca Tucidide (Discorsi, I 20,3): “così poco faticosa è per i più la ricerca della verità, che molti si volgono volentieri verso ciò che è più a portata di mano” (“Τόσο λίγο κουραστικό είναι για το μεγαλύτερο μέρος της αναζήτησης για την αλήθεια και πολλοί πηγαίνουν πρόθυμα προς ό, τι είναι περισσότερο στο χέρι“). Per comprendere la mentalità generale della maggioranza dell’umanità, sembrerebbe un’espressione più che adeguata.

La cosiddetta “trappola di Tucidide” è un’espressione di validità eterna, per descrivere la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una potenza emergente. La trappola, quindi, consiste nel cedere alla paura di perdere il primato e considerare ineluttabile lo scontro.

Il padre di questa espressione fu il politologo americano Graham Tillett Allison Jr. nel suo libro “Destined for war” (2012). Per comprendere la mentalità generale degli Stati Uniti e d’Israele sembrerebbe più che adeguata.

Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme ed il sacco della Giudea ad opera dei romani nel 70 d.C. iniziò la cosiddetta diaspora (dispersione) del popolo ebraico nel mondo. In ebraico, la diaspora si chiama “galut” (“esilio”), con una grande connotazione negativa. Il capo della diplomazia cinese Wang Yi, venerdì 13 Ottobre, in conferenza stampa con l’omologo UE Josep Borrell ha detto che “il conflitto tra Hamas e Israele ha dimostrato che la via “per risolvere la questione palestinese sta nel riprendere i colloqui di pace autentici il più presto possibile e nel realizzare i diritti legittimi della nazione palestinese”, risolvendo così “un’ ingiustizia”.

I palestinesi, in arabo الفلسطينيون‎ , costituiscono un popolo dalla connotazione storica fortemente identitaria, originario della Palestina. Il suo Ufficio Centrale di Statistica considerava, nel 2017, ben 4,5 milioni di palestinesi ivi residenti, di cui 2,9 milioni in Cisgiordania e 1,85 milioni nella Striscia di Gaza, 1,47 milioni in Israele, 5,6 milioni in Paesi arabi (Giordania, Siria e Libano) e quasi 700.000 nel resto del mondo. Essi sono in maggioranza mussulmani sunniti, con una significativa minoranza sciita. Inoltre vi è una comunità cristiana che si trova soprattutto a Betlemme, Ramallah, Gerusalemme e in Galilea nello Stato di Israele.

E’ un dato di fatto che i cristiani, in quelle terre, sostengono da sempre i palestinesi, di cui si sentono parte integrante e integrata, nonostante le differenze religiose. Oggi, martoriati da innumerevoli guerre nel tempo con gli israeliti, i rifugiati palestinesi sono circa 6 milioni, dislocati in tutta la regione e in quelle limitrofe. Più di un terzo vive in campi profughi in Giordania, Libano, Sira, cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il movimento sionista fondato dal giornalista e drammaturgo Theodor Herzl (1860-1904) attraverso un vero e proprio manifesto politico-religioso, pubblicato nel suo libro “Der Judenstaat (“Lo Stato ebraico”, ed. Il Melangolo, 1992) divenne estremamente popolare in Europa, sostenuto in particolar modo dagli ebrei superstiti.

Il diritto di ottenere uno Stato, a parziale risarcimento di quanto sofferto, fu alla base di tale atto da parte della comunità internazionale. Nell’Aprile del 1948 gli ebrei decisero di costituire un Comitato esecutivo presieduto da David Ben Gurion, che il 14 Maggio 1948 proclamò l’indipendenza dello Stato di Israele da cui nacque la Knesset (il Parlamento israelita). La reazione palestinese e araba delle Nazioni vicine scaturì in una durissima guerra “di liberazione” dei territori occupati dai coloni israeliti.

L’ONU, con la Risoluzione 181, propose la creazione di due Stati indipendenti, che, in gran parte, soddisfaceva i sionisti, che bramavano un loro Paese in Palestina, ma penalizzava gli arabi, che vedevano in questa proposta una grave imposizione, contraria al diritto naturale, ossia la desautorazione arbitraria di una fetta dei loro territori. Di fronte alle due posizioni incompatibili, fu guerra.

Se in Occidente si superasse la propaganda occidentale, basata anche sulla semantica, per cui se muore un israelita egli è stato ucciso, mentre se cade un palestinese egli è solamente morto, si capirebbe cosa sia realmente la natura coloniale del sionismo, le cui politiche contro la popolazione indigena farebbero inorridire chiunque, per brutalità. Certamente, il mondo arabo è noto per essere particolarmente crudele col nemico, per cui le teste mozzate, anche di donne e bambini, emergono in tutto il loro orrore.

La prima consapevolezza dovrebbe nascere quando autorevoli esponenti del governo israelita lanciano messaggi pesantemente razzisti, quali la definizione di “animali umani” rivolta al popolo palestinese, ma che nel Talmud non risparmia neanche i cristiani ed in Israele si trasforma spesso in soprusi di diverse gravità e nell’odiosa prassi di sputare addosso ai sacerdoti o a chi porta in vista la croce.

Gli Stati Uniti non possono sopravvivere a due guerre e l’invasione di Israele da parte di Hamas distrae dall’Ucraina, scrive il quotidiano tedesco “Berliner Morgenpost”. La pubblicazione ricorda che, sebbene Biden abbia promesso a Tel Aviv “un sostegno fermo e incrollabile”, “la partecipazione a due crisi sarebbe un test troppo difficile per la società americana” (Fonte RT). Se questo è vero, come sembra, lo scenario geopolitico potrebbe mutare nuovamente, in attesa di vedere come iraniani, russi e i Paesi emergenti reagiranno, nell’ottica dei possibili sviluppi della reazione al globalismo.

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