I vescovi europei chiedono alla comunità internazionale di prendersi cura degli armeni fuggiti dal Nagorno-Karabakh
di Angelica La Rosa
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SONO CIRCA DUECENTOMILA I PROFUGHI
L’Artsakh è una regione a maggioranza armena, di tradizione cristiana, situata entro i confini dell’Azerbaigian per decisione di Stalin, che divise i territori all’inizio del XX secolo in epoca sovietica. Le tensioni iniziarono a sorgere con la caduta dell’URSS tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Prima dell’ultima offensiva lampo, avvenuta il 19 settembre e conclusasi in sole 24 ore, il corridoio Lachin che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia era bloccato da 10 mesi e la diplomazia europea non era riuscita a superare lo stallo. L’invasione da parte dell’Azerbaigian avvenuta il 19 settembre a quasi azzerato la presenza armena in quei territori ed ha causato quasi 200mila profughi.
La Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha chiesto alla comunità internazionale di alleviare l’emergenza umanitaria di questi profughi armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh, e di monitorare l’eredità cristiana presente nella regione.
La Comece auspica “che gli attori internazionali trovino una soluzione negoziata che garantisca la sicurezza degli sfollati e il loro diritto a restare nelle terre dove sono cresciuti, con le loro tradizioni”. A ciò si aggiungono 1.456 monumenti armeni “che dopo il cessate il fuoco del 2020 sono rimasti sotto il controllo dell’Azerbaigian e sono già stati danneggiati durante la guerra” sottolineano i vescovi.
Intanto le autorità armene stanno cercando di rispondere ai bisogni immediati dei profughi, soprattutto in previsione dell’inverno perché, secondo gli esperti, è chiaro che non torneranno nel territorio ora controllato dall’Azerbaigian.