“Ho salvato la Chiesa dal disfacimento”
di Francesco Bellanti
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UN DIALOGO IMMAGINARIO CON SAN FRANCESCO D’ASSISI SULLA CHIESA, L’UOMO E IL MONDO
San Francesco. Che fai tu qui, ad Assisi, Francesco Bellanti? Che cerchi?
Francesco. Non lo so. Ho letto mille libri su di te, ho predicato il tuo messaggio, ho letto a generazioni di studenti la tua poesia, ho fatto vedere tutti i film, tutte le opere teatrali su di te; tu sei la star di questo millennio, Francesco, eppure posso solamente dire che non ti conosco. Io non so quello che cerco: forse cerco il tuo percorso, il senso della tua vita, con l’idea ingenua che la vicinanza fisica ai luoghi e al tempo del tuo passaggio sulla terra possa aiutare questa mia ricerca. Io posso dire adesso che torno ogni anno ad Assisi, ed ogni anno è come una rivelazione. Torno qui per voto, e tu lo sai perché, tu sai tutto. Forse torno sempre qui per desiderio di lontananza e di solitudine, anche se le lontananze e le solitudini – come sostiene Seneca – le portiamo sempre dentro di noi, condizione senza la quale non è possibile creare lo spazio per Dio. Perché Dio è dentro di noi, Deus intus est.
San Francesco. Forse, Francesco, tu cerchi la verità che già hai dentro di te.
Francesco. Forse è così. Certo è che ad Assisi io trovo la lontananza e la solitudine che sono dentro di me. Passeggiando per le vie ora solitarie ora affollate di Assisi, io trovo sempre la conferma che la bellezza e la grandezza di questa città non sono in un affresco di Giotto o di Cimabue, non sono nella Basilica di San Francesco o nella chiesa di Santa Chiara, non sono nell’Eremo delle Carceri o nella chiesa di San Damiano. La bellezza e la grandezza di Assisi non sono nei monasteri o nella Porziuncola, non sono in questa o in quella reliquia, nel saio rattoppato del Santo o nelle vesti consunte di Chiara, non sono nel cilizio spinoso, no. Non sono nemmeno nella sterminata agiografia che vedo su di te, Francesco, tu, il più italiano dei santi e il più santo degli italiani, il più grande degli italiani, l’uomo che ha salvato la Chiesa e dunque l’Occidente, il più grande degli europei.
San Francesco. Tu vieni da una terra di una bellezza sconvolgente, tu conosci la bellezza: dov’è, dunque, la bellezza di Assisi?
Francesco. La bellezza di Assisi è in tutto quello che ho detto ma soprattutto in quello che viene prima e dopo – è nell’aria, nel Fratello Sole e nella Sorella Luna, nel sentimento della Morte corporale e della Resurrezione, è negli ulivi di pace, nei boschi, nelle verdi colline, nella valle ora brumosa del mattino, ora tremolante del meriggio, del Subasio. Passeggiando solitario per i boschi e le vie quasi deserte della periferia di questa città, lontano dalle vie centrali popolate di turismo internazionale – tuttavia composto e ordinato, mai volgare, nonostante i panini con la porchetta e le pizzette al taglio –, lontano dall’albergo pieno di turisti italiani e stranieri, vocianti, allegri ma educati, penso sempre che solo in questa terra potevano nascere tutti questi santi. Penso sempre che forse solo in Umbria è possibile il contatto mistico con Dio. Le stigmate, la sofferenza, la gioia di vivere, la discesa del Bambinello, il Presepe, il Cristo in croce sono nati qui, qui si conferma e rinasce il Cristianesimo moderno.
San Francesco. Chissà, forse qui tu trovi la pace che non sai di avere già dentro.
Francesco. Sicuramente sarà come dici tu, Francesco. Ma io dico intanto che Assisi è veramente un luogo che può aiutare a trovare la pace. Sì, a scoprire la pace che è dentro di noi. Tu, Francesco, ci insegni ad amare tutte le creature del mondo, ci insegni ancora a cercare sempre la verità ma anche a perdonare, qualsiasi cosa sia questa verità, e probabilmente è questa la rivelazione che io colgo qui sempre ogni anno. Francesco tu ci insegni, sì, a disprezzare il corpo, a prenderne distacco, ma ci insegni soprattutto ad amare, a vivere con gioia, ad essere messaggeri della verità, a calarci nella follia del Cristianesimo. Francesco tu muori nudo e povero sulla nuda terra, piccolo, indifeso, semplice, cantando.
San Francesco. Io so quello che cerchi, tu cerchi la gioia.
Francesco. Tu sei come Cristo, e forse migliore di Cristo nella morte, perché non hai il dubbio e l’angoscia di Cristo nella croce, perché tu hai le verità che Cristo in croce non aveva. Come e più di tutti i grandi profeti e mistici orientali – Krishna, Buddha, Maometto, Mevlana, Milarepa – tu ci insegni l’amore per i poveri e la compassione per gli animali, nel nome di quel Dio che è voluto nascere povero in una mangiatoia e morire nudo e piagato, povero, in croce. Tu ci insegni a salvare noi stessi e a salvare il mondo. Come e più di Gerusalemme, La Mecca, Lumbini o Betlemme, o Konya, Assisi è un luogo che va visitato almeno una volta nella vita. Solo col contatto di questa terra scarna ed estrema si perviene alla conoscenza del mistero della santità. Francesco, benestante borghese, come Buddha, incarnazione avatara come Krishna della Divinità, profeta fondatore di religione come Maometto, mistico gioioso come Mevlana.
San Francesco. Dunque, ora tu sai chi sono io.
Francesco. Non ancora. So per certo quello che dicono di te. Francesco, ha detto Papa Francesco nel dialogo con Eugenio Scalfari pubblicato su Repubblica martedì 1 ottobre 2013, è grandissimo perché è tutto. Uomo che vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, è itinerante e missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su sé stesso il male e ne è uscito, ama la natura, gli animali, il filo d’erba del prato e gli uccelli che volano in cielo, ma soprattutto ama le persone, i bambini, i vecchi, le donne. È l’esempio più luminoso di quell’agape di cui parlavamo prima.
San Francesco-…..
Francesco. San Francesco è stato forse il più grande italiano mai esistito, ha detto Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore. Che cosa manca a Francesco, dico io? Nulla. Patrono d’Italia, iniziatore della tradizione letteraria italiana con il Cantico delle creature, primo uomo ad avere le stigmate. Il santo più venerato e popolare del mondo. San Francesco, la fede, la gioia, la povertà evangelica, la compassione, l’elemosina, la castità, la fraternità, l’obbedienza, l’umiltà, il perdono, l’amore. Visse e morì nudo e cantando la vita. Francesco, l’asceta, il mistico, il poeta, il Salvatore della Chiesa e dell’Occidente.
San Francesco-…..
Francesco. Intra Tupino e l’acqua che discende
Del colle eletto del beato Ubaldo,
fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente se proprio dir vuole.
(Dante, Paradiso, XI, vv. 43-54)
Così Dante dice di te pochi decenni dopo la tua morte. L’Altissimo Poeta lo aveva capito chi era Francesco, pochi decenni dopo la sua morte, dopo la morte del Santo oggi più venerato e popolare del mondo, dell’iniziatore della tradizione letteraria italiana con il Cantico delle creature, del Patrono d’Italia, del primo uomo ad avere le stigmate.Francesco l’uomo itinerante, l’uomo che ha viaggiato tanto e che, dopo tanto peregrinare, ha scoperto che la verità che cercava ce l’aveva accanto. Il viaggio serve alla verità, non è la verità.
San Francesco. E tutto questo non ti basta?
Francesco. No. Hanno scritto su di te migliaia di libri, hanno fatto decine di opere teatrali, musical, film. Eppure, c’è qualcosa che non conosco. Per esempio, non capisco il misterioso silenzio di Wolfgang Goethe, che, nel suo Viaggio in Italia del 1786, non fece parola del Santo degli italiani, canonizzato appena due anni dopo la sua morte, nel 1228. Forse il grande Tedesco aveva voluto visitare Assisi solo per ammirarvi lo splendido e intatto tempio di Minerva, forse era troppo luterano per interessarsi di santi. Forse aveva trovato il suo Francesco, Lutero. O forse, più semplicemente, il poeta del Faust era stordito da una città che già allora dovette sembrare sospesa tra cielo e terra, che cominciava ad ammantare di mistero e di un’aria neo-medievale il suo più grande figlio.
San Francesco. Forse è propriamente come dici tu.
Francesco. Il mistero. Forse tu sei il mistero, Francesco. Il mistero fu, insieme con la certezza della santità, ciò che affascinò i primi seguaci del Poverello di Assisi. “Perché a te, perché a te, perché a te?”, leggiamo, nei Fioretti, le parole di Frate Masseo da Marignano. “Dico, perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti? Tu non se’ bello uomo del corpo, tu non se’ di grande scienza, tu non se’ nobile: onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?” È lo stesso mistero che senti di avere tu, tu figlio di Pietro Bernardone, il mistero di una elezione divina che fa di un umile uomo lo strumento per cambiare il mondo. “Il Signore mi ha rivelato che la sua volontà era che io fossi un tipo del tutto nuovo di pazzo nel mondo, questa è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo”.
San Francesco. Sai tutto di me: anche il mistero e la follia.
Francesco. Sì, la follia. Forse la follia. Solo con la follia si trasforma il tempo, e di questa follia del Cristianesimo tu, l’uomo di Assisi, eri ben consapevole. Francesco sapevi di essere l’uomo nuovo, l’eretico che doveva salvare la Chiesa e l’Occidente. Francesco tu sei l’uomo nuovo perché compi una rivoluzione. Tu chiudi un’epoca e fondi un nuovo tempo, dopo di te il tempo non sarà più lo stesso. Tu fondi il tempo della fede, della gioia, della povertà evangelica. È il tempo del perdono e della compassione, dell’elemosina, della solidarietà, della fraternità, dell’umiltà, il tempo dell’amore per tutte le cose create. Tu sei tutto: fondatore di un ordine, missionario itinerante, tu sei poeta e profeta, il mistico, l’asceta, l’eremita, il Salvatore della Chiesa e dell’Occidente. Tu sei l’uomo che ha constatato il male su sé stesso e ne è uscito.
San Francesco. Ah, quanto male ho vinto!
Francesco. Tu, novello Cristo che si sacrifica per l’umanità, vieni subito a conoscenza del dolore, della guerra, del disagio e dell’inquietudine, della malattia e della morte, e delle strade piene di lebbrosi, dell’infame atroce spettacolo della peste. Vai a Roma, vai alla crociata in Oriente, parli col Sultano d’Egitto, vai nelle campagne e nei boschi della tua terra, rabbonisci lupi e parli con gli uccelli, e dopo tanto fare, dopo tanto peregrinare, torni alla solitudine e al silenzio. Perché tu, Francesco, avevi già la verità dentro. Perché la salvezza giunge sempre nei territori ultimi e desolati, nelle smisurate solitudini e nelle estreme lontananze, nei deserti, nei territori della lussuria e dell’egoismo, dell’emarginazione, del peccato, luoghi perfetti dove – con il lezzo nauseabondo di stracci infetti, o col profumo celeste di questa rosa che porto appresso – può nascere il Santo.
San Francesco. Finalmente ora sai chi sono io.
Francesco. No. Chi sei tu, Francesco, vestito solo di un umile saio di tela grezza e di sandali? Tu cammini ancora bagnato di sudore e di fatica e di santità, tu vai per viottoli polverosi, parli a pastori e contadini, li incanti con le tue parole, li incanti con i tuoi silenzi. Ti fermi sotto gli ulivi bianchi di polvere, sei quasi evanescente con la sottile bruma o con i vapori ormai tremolanti del mattino, con i colori indistinti dell’alba umbra, la vita, le ombre, i sogni dell’estate!
San Francesco -…..
Francesco. Chi sei tu, Francesco? Dove vai? A che serve amare, a che serve vivere, a che serve morire ancora? Tu hai già compiuto il tuo destino, ed è ormai passato tanto tempo. Volevi il paradiso, qui, sulla terra. Hai faticato tanto per averlo, ma non lo hai ottenuto. Perdona la mia fragilità, Francesco. Hai lodato il Signore Altissimo per tutte le belle cose create, per tutte le creature e per lo splendore del fratello sole e per il giorno luminoso, per la sorella luna, e per le stelle chiare d’argento, e per il cielo, per fratello vento, per sorella acqua preziosa e pura con la quale Egli dà a noi sostentamento. Hai lodato il Signore per fratello fuoco che è bello gioioso e ci illumina la notte, e sorella nostra madre terra, che ci dà nutrimento e frutti e fiori colorati, ed erba. Hai lodato il Signore per quelli che sanno perdonare nel Suo nome, e sopportano la malattia, il dolore, la morte, la sorella nostra morte corporale, beata pure lei per chi muore senza peccato. Ma il mondo è rimasto lo stesso, un mondo preda del male.
San Francesco-…..
Francesco. Chi più di te, Francesco, ha amato la natura, chi più di te ha amato il mondo creato da Dio? Ecco, tu hai liberato i leprotti, i conigli, gli agnelli, e rimesso i pesci nel fiume, nell’acqua del mare, e tolto la pecorella dai montoni e parlato con gli uccelli e predicato agli uccelli e tutte le creature ti hanno obbedito; tu hai esortato gli uccelli a lodare Dio. Oh, sì, gli uccelli manifestavano il loro gaudio secondo la propria natura con segni vari, e tu li benedicevi, toccavi le loro piccole testine, poi invitavi tutti i volatili e gli animali a lodare Dio. Tu, Francesco, hai ammansito i lupi e le belve feroci, e liberato i naviganti dal naufragio, dalle tempeste del mare, e guarito gli zoppi, i rattrappiti, i paralitici, i ciechi, gli epilettici, gli indemoniati, e scacciato i demoni e i diavoli tentatori e risuscitato i morti e guarito gli ammalati. Tu hai dato amore, hai predicato la pace, la libertà e il perdono. Ma il mondo è rimasto lo stesso, un mondo preda del male. Perdona la mia angoscia, Francesco. A che serve tornare? A che serve soffrire, vivere ancora la vita della carne?
San Francesco. Serve, serve ancora, Francesco, ed io devo andare. Io devo andare, io sono solo un piccolo uomo scalzo, dal rozzo saio e dal cordone grezzo, lo vedi?, sono solo un piccolo uomo dagli occhi neri ingenui, dall’esile figura minuta, un crocifisso di legno è il mio brando potente, ho solo questo sorriso sottile delicato, ho un nome umile, Francesco. Mi basta poco, i dolci declivi e le serene montagne, i silenzi dei monti e la vita delle valli, le brulicanti ma tranquille strade della mia terra dove gli uomini si incontrano, dove gli uomini non si perdono. Mi bastano ancora le luci e le ombre, i campi ardenti dell’attesa, popolati di contadini, di generosi agricoltori, dove un’umile pecora, il bue, lascia il segno della sua presenza, mi bastano i boschi dove gli uccelli a corona danzano sui lupi, le colombe delle torri, delle chiese alte verso il cielo, gli eremi profondi di gole silenziose e lontane dove solo il falco si leva, l’aquila regale. Mi bastano i silenziosi fiumi sinuosi della mia terra, i prati profumati di miele, le api operose e la cicala sulla mia mano posata, mi bastano le ombre degli alberi grandi, le valli e i piani popolati di suoni, di rumori, di luce sfolgorante. Mi basta poco, ma devo andare, una missione importante ancora mi aspetta. Non posso cedere all’inazione. No, il mondo non è più rimasto lo stesso dopo di me, ma l’opera non è compiuta.
Francesco. Ascolta, Francesco. Tu hai amato, hai amato tanto. Nessuno ha amato più di te. Hai amato Agnese ed hai amato Chiara, Francesco hai amato le donne, Francesco pieno di letizia Francesco giocondo, hai amato Chiara e Pacifica, hai amato Agnese dalle chiome recise. Oh, ti coprono ancora di lacrime, ti coprono di baci, tu hai amato tanto, Francesco, uomini e donne – vergini, vedove, maritate – vecchi e bambini, giovani infanti adolescenti, sani e infermi, piccoli e grandi, poveri e ricchi. Ma il mondo è rimasto lo stesso, un mondo privo d’amore. Perché devi amare ancora, perché devi tanto amare?
San Francesco. Io sono Francesco l’eremita. Io devo scendere ancora dagli eremi per amare di più, si deve sempre amare di più. La mia vita approda alla letizia, che è beatitudine di Dio, nasce dalla povertà e dalla rinuncia, ma è giubilo e letizia, gaudio, essi sono in tutto il creato e in tutte le creature. Devo scendere ancora, devo dare un senso agli eserciti di solitari che abitano nelle grotte, nelle foreste, nei monti d’Italia, devo fare capire che la solitudine non ha senso senza l’amore, farli scendere dagli eremi lontani, dalle vette inaccessibili. Devo andare, devo andare ancora lontano, lontano per le strade del mondo, nei deserti, nelle foreste, nelle montagne, nelle solitudini perenni dell’accidia e della tristezza, nel tempo di sangue.
Francesco-…..
San Francesco. Io devo ancora andare. Devo andare lontano, andare da popoli e nazioni e genti e tribù, andare in ogni luogo della terra, devo andare ancora dai malati, dagli infermi, fra imperatori, re, principi e governanti; devo andare lontano, devo portare la gioia e l’allegrezza, devo andare lontano e portare l’amore a tutte le creature, io sono l’uomo nuovo, devo portare la musica, le parole ai poeti, il canto del popolo, il calore della gioventù fra i marmi gelidi delle chiese, negli antri bui dei tristi disdegnosi monasteri.
Francesco. No, no, Francesco: che senso ha tutto questo? Perdona i miei dubbi, Francesco, ma che senso ha risorgere dai morti, dalla storia, dal piccolo mondo che ti sei conquistato, che senso ha tornare fra i vivi? Tu hai già dato, hai già dato tanto ed il mondo è rimasto lo stesso – quanto male, quanto dolore, quanta morte! Credevi di avere abbracciato moltitudini, ma non hai abbracciato veramente nessuno, forse non hai salvato nemmeno te stesso e tutto è un’illusione. Chi sei tu, chi sei veramente tu? Che cosa vuoi veramente tu?
San Francesco. Chi fui io, chi sono io, tu dici. Io sono Francesco, Francesco d’Ascesi, così mi chiamarono, sole d’Oriente sole del Gange, così mi chiamano, sposo d’Amore e di Povertà, io che ho portato conforto, io che ho sposato madonna Povertà, io poverello, umile sangue di Cristo, pastore, scalzo nudo, che tante pecorelle smarrite all’ovile ho riportato. Chi sono io, chi fui veramente io, io sono Francesco che mi scagliai contro il potere, io che disdegnai di adulare imperatori, principi e re, io che disdegnai vassallaggi e giuramenti, io piccolo uomo dolce e umile, anima semplice che aiutai il prossimo e amai Dio, fraticello minore che obbedii solo alla Chiesa e ai superiori; io che, come il Cristo nudo presente in tutte le creature, andai nel mondo degli esclusi, degli eretici, degli ebrei, dei lebbrosi, degli omosessuali, contro il sangue e le lacrime dei monasteri, io, io letizia e gioia, io, il volto sorridente di Dio.
Francesco. Tu sei stato tutto questo, ma, non lo vedi?, il mondo è rimasto lo stesso. No, non serve tornare, fu tutto un’illusione, e tu fosti solo un fraticello povero e ignorante. Potevi avere un millennio tutto tuo. Francesco, tu ti facesti povero, povero di cose e ricco di virtù, questo credevi. Per amare il mondo hai vissuto come pellegrino e forestiero in questo mondo, e sei andato per elemosine pur essendo ricco perché credevi nella povertà che non è rifiuto ma possesso, quella che secondo te conduce alla preghiera e all’ascesi, alla grazia di Dio. Tu ti facesti povero perché avevi dispregio del denaro che svia l’uomo, diffonde la corruzione, il vizio, il peccato, pensavi che solo la nudità conducesse alle virtù, la carità, l’umiltà, la purezza, la pietà. Ecco, guarda tutta la povertà nella quale crede il mondo – il denaro, la brama, l’avidità. Perdona il mio smarrimento, ma il mondo è finito, Francesco.
San Francesco. Io sono stato sempre un re, io sono ancora un re. Io non adulavo principi e re perché ero già un principe, io ero già un re, il più grande dei re, e mi seguirono, mi seguono ancora generazioni, popoli, città, sulla mia terra scorrono crociate di pace, io spengo le guerresche voglie e le crociate perché porto l’indulgenza, il perdono, la croce, il calvario, il sangue di Cristo. Sulla mia terra scorrono ancora eserciti di giusti, eserciti giungono a me di poveri e di ricchi, di semplici e di dotti, di nobili e di umili, di miserabili e di onorati, io ho riaperto le porte della salvezza a tutti, io realizzo l’amore di Cristo senza classe, senza casta, io agito il tempo, io vigilo sulle coscienze, su chi non crede, io affascino e sconvolgo, io turbo, io seduco le folle. Io sono un maestro, perché ho insegnato solo la sapienza che serve alla salvezza, ho mostrato la stoltezza di tutta la sapienza del mondo, io, guida dell’umanità, testimonio della verità del tempo, nuovo evangelista, l’apostolo, il penitente, fiume di paradiso, io inondo ancora l’universo col fervore del rinnovamento, col vigore nuovo, con l’ardore del mio slancio. Per questo devo ancora andare, il mondo ha bisogno ancora di me.
Francesco. No, no, Francesco: è passato tanto tempo. Tu non hai più l’entusiasmo, non hai più la giovinezza, e il tempo ha fatto il resto. Il mondo segue altre vie, altri valori. Gli uomini non adorano più maestri, adorano questa brama di carne, quest’avidità dell’esistere.
San Francesco. No, io ho trionfato sulla storia, io ho la signoria sul tempo. Io ho vinto. Io sono l’uomo nuovo. Io ho capito che il rigore esasperato della disciplina non salva il mondo, che gli eccessi della penitenza e gli scrupoli esagerati della devozione, le argomentazioni troppo sottili e raffinate della teologia e della metafisica, non conducono alla salvezza. Io ho vinto, non ho voluto stravincere. Potevo distruggere la Chiesa corrotta e crearne una nuova, invece ho salvato dal disfacimento la Chiesa, l’Occidente, il mondo. Io sono un uomo moderno, io ho resistito alla tentazione eretica. Ho portato il rinnovamento dentro l’uomo, non fuori. In una società devastata dall’odio fra le classi sociali, ho innalzato i diseredati, i poveri, i mendicanti, i malati, ho portato l’uguaglianza, la passione per la povertà, il diritto alla parola dei laici, l’accesso al Libro degli umili, il Cristo nudo fra i popoli. Il mondo dopo di me non è stato più lo stesso, io ho rinnovato l’arte, la pittura, il teatro, la letteratura, la religione, io ho rinnovato l’uomo. Adesso hai compreso chi sono io?
Francesco. Sì. Tu sei la voce. Tu sei la musica dell’universo. Tu sei la luce, come dice Dante, venuta ad illuminare il mondo. Tu sei il silenzio dell’universo. È il silenzio il destino dell’universo, nel silenzio è nato, nel silenzio avrà fine l’universo. Tu hai compreso tutto questo, Francesco. Il silenzio è il mondo dei grandi. Il silenzio è il mondo di Francesco. Chi sei tu, Francesco? Tu sei uno che ha sempre viaggiato, che ha fatto la guerra, ed ha conosciuto la realtà del dolore, della malattia, della morte, ed infine ha scoperto la verità che aveva accanto.Tu sei sempre l’uomo in cammino, il viaggiatore verso la purezza. Tu sei l’uomo totale.
San Francesco. Io ho vinto, non ho voluto stravincere. Potevo stravincere, creare una nuova Chiesa, un nuovo mondo, un nuovo tempo. Potevo essere l’Angelo del sesto sigillo dell’Apocalisse, annunciare il Vangelo eterno, l’età dell’oro, il tempo nuovo adamitico. Potevo anche abbandonarmi al Demonio, avere un millennio tutto mio, ma ho resistito. Perché io ero un uomo moderno, volevo portare il rinnovamento dentro, non fuori l’uomo, volevo fondare per sempre la nuova umanità, il nuovo tempo. Ma ora andiamo, dobbiamo andare, l’opera non è compiuta. Vieni con me, vivremo cantando, moriremo cantando. Ecco, la vedo già, la mia anima ascende come una stella al cielo, io santo, io cavaliere, io poeta, io trovatore, io giullare di Dio. Io, Francesco d’Assisi, l’uomo totale.