Ci troviamo sull’orlo di una nuova deriva totalitaria
di Flavia Corso
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PIÙ LA GENTE È FRUSTRATA PIÙ SI SPERIMENTA UNA MANCANZA DI SENSO
Nel suo libro “Psicologia del totalitarismo”, Mattias Desmet, professore universitario in psicologia clinica e studioso di statistica, spiega in maniera approfondita perché ci troviamo sull’orlo di una nuova deriva totalitaria.
La causa principale risiede nell’ideologia meccanicista, la pretesa di spiegare la totalità del reale in termini meccanicisti, ossia come il risultato di un intreccio intricato di catene causa-effetto. Il sintomo più acuto di questa tendenza autodistruttiva si è manifestato chiaramente con la recente gestione mondiale della pandemia. In particolare, il modo in cui l’emergenza sanitaria è stata affrontata ha mostrato sin dall’inizio risvolti grotteschi.
Qualcosa a livello statistico, scrive Desmet, non tornava. È proprio a partire dall’analisi statistica, dall’osservazione dei grafici propinati quotidianamente dagli “esperti”, che lo studioso ha cominciato a nutrire seri dubbi in merito alla narrativa proposta dai governi. I dati, semplicemente, non avevano alcun senso.
Da qui, Desmet comincia allora ad analizzare le politiche sanitarie dal punto di vista della psicologia sociale. Per quale motivo la gente continuava a seguire la narrativa ufficiale se aveva davanti a sé la prova dell’infondatezza dei numeri e grafici riportati? Doveva esserci qualcosa di più.
L’autore coglie un punto fondamentale: la componente ritualistica nella gestione del fenomeno pandemico. Tutto il mondo ha assistito impotente all’impartizione di ordini, la maggior parte dei quali palesemente assurdi. Ma è proprio l’assurdità degli ordini, afferma Desmet, a fomentare l’ipnosi collettiva e a rinforzare il rituale sociale.
Più le direttive sono apertamente irrazionali, non seguendo logica alcuna, più le persone (o comunque una data percentuale delle persone), ormai terrorizzate dalla minaccia incombente della malattia e della morte, si aggrappano istericamente alle soluzioni salvifiche offerte dalle istituzioni.
La tendenza ad affidarsi alla voce del padrone, come l’ipnotizzato si affida alla voce dell’ipnotizzatore, richiede poi che vi sia una certa dose di frustrazione su cui far leva, la frustrazione creata dall’isolamento sociale tramite la propaganda terroristica. Più la gente è frustrata, più si sperimenta una mancanza di senso.
L’essere umano, programmato biologicamente per stringere legami sociali, viene intaccato nella sua essenza e nei suoi bisogni primari, fino a che, per poter trovare una via d’uscita all’inferno in cui è stato relegato, non giunge a seguire delle regole ridicolmente insensate pur di uscire da tale condizione. Un ricatto da tortura.
Ma nei totalitarismi, le persone non solo accettano di seguire la voce del bisbetico padrone. Arrivano anche a credere che la narrativa offerta sia quella vera, l’unica vera. Il soggetto arriva ad alienarsi talmente tanto da se stesso, che si convince che la verità sia condensata nelle parole trasmesse dall’unica voce a cui viene concesso il microfono. Minore è il numero delle voci alternative, minore è la possibilità che le persone si destino dal profondo sonno ipnotico in cui sono sprofondate. La frustrazione è pronta a scaraventarsi su chiunque incarni il capro espiatorio di turno, chiunque non si conformi all’ideologia imperante.
Secondo lo studioso, è questo il punto cruciale del totalitarismo, il punto di non ritorno dal quale si sono sempre generati gli orrori della storia: quando la narrativa è gestita da una sola voce, e tutte le altre voci dissenzienti sono silenziate. Riprendendo la Arendt, Desmet sostiene che sono sempre state le voci alternative ad impedire che il totalitarismo raggiungesse la sua fase terminale, quella caratterizzata dalla violazione massiccia dei diritti umani, dalle mostruosità e dall’autodistruzione. Si potrebbe dire che il totalitarismo è il prodotto di un impulso collettivo di morte, esso vive e prospera nella frustrazione e nell’ipnosi di massa, nella censura della creatività dell’individuo pienamente vitale.
Con il totalitarismo, gli individui sono ridotti a robot, a piccoli Eichmann che eseguono acriticamente gli ordini in nome di un’ideologia, la narrazione che monopolizza tutte le altre. E se c’è ancora chi dubita che le politiche sanitarie abbiano raggiunto un livello tale di disumanità, basti ricordare tutte le persone morte in ospedale nella più totale solitudine per meri cavilli burocratici.
Un caso tra tanti: l’insensatezza della morte solitaria di Simone Benvenuti, un ragazzo di soli 23 anni, che era ricoverato all’ospedale Torregalli di Firenze. Alla madre (vaccinata) è stato impedito di confortarlo e dargli l’ultimo saluto prima che spirasse. Così dicevano le regole anti Covid, così diceva la voce del padrone ideologizzato.
L’essenza dell’umanità non risponde a logiche meccaniciste, suggerisce Desmet, e qualsiasi tentativo di far sì che gli esseri umani si comportino come delle macchine è destinato a fallire.