Il “ginecocidio” fomentato dalle lobbies, non solo femministe
di Alvise Parolini
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NELLA DIVINA NORMA EDENICA LA DONNA RITROVERÀ IL POSTO D’ONORE CHE LE SPETTA
Immersa nella competitività spirituale e professionale, la donna del terzo millennio rivela la propria sottile ma dolorosa agonia nel percepirsi generosamente e fecondamente “madre”, ad immagine della sempre amabile e gloriosa Beata Vergine Maria, Madre del Verbo e Madre della Verità.
Come dunque porre rimedio al malvagio piano di progressivo “ginecocidio” originariamente fomentato attraverso le lobbies femministe, come denunciato un paio di decenni fa dall’attivista americano Aaron Russo (1943-2007): un potere d’influenza, quello femminista, preparato e finanziato circa cent’anni fa dal malizioso filantropismo della stessa famiglia Rockefeller, per poter poi lucrare sulla competitività professionale della donna ormai emancipata attraverso la tassazione.
E come non ravvisare in ciò una triste preparazione all’etica relativistica del pansessualismo che ne rappresenta il pressoché definitivo malvagio compimento?
Papa San Giovanni Paolo II, nell’Enciclica “Familiaris Consortio” del 1981, aveva tentato di suscitare un rinnovato impegno risanatore di tale profonda crisi antropologica. Ecco cosa scrive San Woytjla al paragrafo 23 del sopracitato documento: “Senza entrare ora a trattare nei suoi vari aspetti l’ampio e complesso tema dei rapporti donna-società, ma limitando il discorso ad alcuni rilievi essenziali, non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un’ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all’uomo. Non c’è dubbio che l’uguale dignità e responsabilità dell’uomo e della donna giustifichino pienamente l’accesso della donna ai compiti pubblici. D’altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l’evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana. Ciò risulterà più facile se, come il Sinodo ha auspicato, una rinnovata “teologia del lavoro” porrà in luce e approfondirà il significato del lavoro nella vita cristiana e determinerà il fondamentale legame che esiste tra il lavoro e la famiglia, e, di conseguenza, il significato originale ed insostituibile del lavoro della casa e dell’educazione dei figli (“Laborem Exercens”, 19). Pertanto la Chiesa può e deve aiutare la società attuale, chiedendo instancabilmente che sia da tutti riconosciuto e onorato nel suo valore insostituibile il lavoro della donna in casa. Ciò è di particolare importanza nell’opera educativa: viene eliminata, infatti, la radice stessa della possibile discriminazione tra i diversi lavori e professioni, una volta che risulti chiaramente come tutti, in ogni campo, si impegnino con identico diritto e con identica responsabilità. Apparirà così più splendida l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna. Se dev’essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano di fatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia. Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l’onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall’attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico. La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell’uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa. E’ evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l’imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture”.
Risulta evidente – come segnalato all’epoca dalla sempre acuta critica cattolica dell’alveo tradizionalista – l’appoggio, spontaneo ed in buona fede, dell’allora neoeletto pontefice polacco allo stile dialettico hegeliano tipico del c.d. neomodernismo, abbracciato dalla pastorale postconciliare, dichiaratamente teso a moderare gli eccessi della mentalità contemporanea attraverso l’esortazione ad un auspicabile superamento della stessa per restaurare un’adesione, ora più matura e consapevole, allo spirito cattolico di sempre. Viene usato un linguaggio non abbastanza attento a preferire ad una tradizione di pensiero più umanistica e rinascimentale – incentrata sulla persona presa in se stessa -, quella più teocratica e medioevale, ovvero impegnata a focalizzare maggiormente l’attenzione sull’opera di Dio rispetto a quella dell’uomo.
Qual è dunque il problema? Negare la contraddizione non conduce forse a confermare l’identità originaria? Solitamente sì, sebbene invece in questo caso, detto con rigore logico, la retorica utilizzata paia utilizzare una strategia di sorvolamento – invece che di apagogia, ovvero l’evidenza della contraddizione – sul problema in questione, per poi successivamente porsi a piuttosto inefficace difesa del diritto per la donna di vivere la propria maternità – il più delle volte biologica e famigliare – in modo protetto e radicato.
Il comunque dotto e mistico Papa polacco sembra aver usato il fatuo fuoco della modernità con l’intenzione di salvare l’essenza della vita sacramentale, ovvero la comunione della Chiesa discente e docente con Dio per mezzo della presenza reale del Sommo Mediatore Gesù Cristo nell’Eucarestia. A conferma delle buone intenzioni del Santo Papa, vi sono molti altri capitoli del documento stesso, oltre che l’evidente radicamento antropologico woytiliano nella Cristologia e nella Mariologia, nella successiva Lettera Apostolica “Mulieris Dignitatem” del 1988.
Sebbene ciò, l’unico modo per esercitare quella che il filosofo neoscolastico Gustavo Bontadini (1903-1990) definiva “ricomprensione apologetica” – ovvero un processo dialettico correttivo che affonda le proprie origini nell’elenchos socratico -, pare più che doveroso onorare, in primis, quella critica reazionaria controrivoluzionaria che è stata capace di ripercorrere con lucida analisi le tappe della grande dissoluzione del topos della donna-angelo – ovvero del femminino della tradizione stilnovistico-dantesca -, strettamente connesse con l’idolatria epicurea per la modernità, l’attualità, la moda omologante o, in altre parole, la “dittatura del presente”.
Alla luce di tali rigorosi studi, possiamo comprendere quanto invece l’oblio della percezione forte della soteriologia cattolica possa essere sanato con un umile e semplice atto di ritorno alla piena Tradizione. Il mistero della fecondità divina di Maria Vergine risiede nel suo amore perfetto. Amare è un’azione primariamente divina e non un pensiero o un sentimento meramente umani. “Amare” significa rendere presente lo Spirito Santo, il Divino Amore, e lasciarlo circolare nel nostro corpo, Suo tempio, permettendo il riposo di volontà ed intelletto.
Se nella donna queste due potenze dell’anima cercano qualcosa di disordinato, contrario alla Volontà Creatrice di Dio, ella allora non riesce a realizzare la propria duplice vocazione, compendiata dai due nomi della prima donna della storia umana, Santa Eva: “Aiuto del Signore” e “Madre dei viventi”.
Maria, Nuova Eva, ha vissuto con la massima generosità e un totale impegno tale norma edenica, riparando il peccato della progenitrice e meritando di essere elevata a Corredentrice (Corredemptrix) e Madre della Chiesa (Mater Ecclesiae).
Concludendo dunque con audaci considerazioni nell’ordine della prassi, congeniale alla donna risulta un’educazione finalizzata a renderla vera economa, non solo nel senso di “scienziata dell’utilizzo dei beni” – come si tende ad semplificare oggi l’economia -, ma, anche, più etimologicamente, quale “normatrice della casa”, capace cioè di prendersi cura dei figli, del consorte e – ordinatamente – della comunità.
Non basta difendere il topos tradizionale della donna come “angelo del focolare”. Ciò non basta, rivelandosi altresì necessario un programma che chiarifichi anche il ventaglio dei lavori femminili normando le attività di condivisione di pratiche necessarie per la comunità, in conformità alle esigenze psico-fisiche della natura della donna: dal servizio mensa all’attività sartoriale, dall’insegnamento pedagogico alle attività di terapia ortodossa con piante e minerali della medicina di Santa Ildegarda di Bingen, e così via per tutte le altre mansioni di universale cura e decoro.
All’interno di questa dimensione, le vocazioni eccezionali – opportunamente vagliate caso per caso dal corpo dei sacerdoti, dai formatori e delle educatrici della comunità delle famiglie locali -, andrebbero a confermare l’approfondimento della normatività edenica nell’ambito del lavoro.
E se il perfido Behemot della falsa scienza minaccerà il piccolo eden familiare e comunitario della donna, la nostra piccola alter Maria troverà sostegno nell’intelligenza progettuale e strategica di una nuovo androceo paterno, virile, cameratesco e cavalleresco fattosi finalmente temperante, responsabile, saggio e giusto per poter essere affidabile complemento ad un gineceo veramente materno, femminile, familiare e virtuoso.
Foto: Immagine della Vergine dell’Eucarestia di Manduria
Manduria??? Aiuto!!!
Tobia