Riflessioni sulla TOMISMODICEA
di Alvise Parolini
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OVVERO LA GIUSTIFICAZIONE DELLA LETTERA E DELLO SPIRITO DEL TOMISMO
Nel mondo accademico cattolico e nel dibattito filosofico ecclesiale, vicende come quelle riguardanti il mistico domenicano renano Meister Eckhart (1260-1327/1328), condannato dal Pontefice che nel 1323 aveva canonizzato San Tommaso d’Aquino – il Filosofo per antonomasia della Chiesa Cattolica -, ovvero Papa Giovanni XXII (pure lui incorso in eresia, per poi ritrattare), generalmente vengono evitate per la loro intrinseca complessità, dovuta ad un linguaggio sì poetico/poietico, ma proprio per questo facilmente equivoco e dunque facilmente strumentalizzabile. Da Martin Lutero alla gnosi di G. W. F. Hegel e Martin Heidegger, lunga è la lista della disobbedienza alla scolastica, della “we don’t need now education” del celebre brano antisistema “Another Brick in the Wall” dei Pink Floyd, alfieri del sogno rivoluzionario comunista al pari di molte altre bands degli anni ’70.
Eckhart s’interessa di teologia, ascetica e morale quasi come fosse un benedettino più che un domenicano, ma a motivo della tensione unificatrice non tanto della conoscenza, quanto piuttosto dell’Erlebnis, della vita mistica, ecco che è piuttosto facile oggigiorno strumentalizzare il pensiero del teologo renano in chiave sincretistica, analogamente al caso della “Ontonomia” del filosofo indiano Raimon Panikkar (1918-2010).
In effetti, negli scritti di Eckhart, sebbene non si possa parlare di chiari elementi di sincretismo e, conseguentemente, di dissoluzione del Santo Katechon – e chi meglio di Papa Benedetto XVI, ai tempi del Vaticano II candido appassionato di Hegel e Teilhard de Chardin, mentre ultimamente sul soglio pontificio combatteva la dittatura del relativismo e difendeva i valori non negoziabili, bonaventurianamente consumato di amore eucaristico per Gesù e Maria di Nazareth, potrebbe svelarcene il Mistero? -, quanto piuttosto una lieve omertà attitudinale di fronte a quel fenomeno disintegratorio del cristianesimo denunciato negli “Adelphi della dissoluzione” di Maurizio Blondet, che già nel XIV secolo, con Ockham, inizia seriamente a deformare il pensiero verso i falsi orizzonti della “sinagoga di satana”.
Eckhart, pio e sereno nel proprio abbandono alla Divina Volontà, non combatté mai la Gerarchia Ecclesiastica, sebbene non osanasse la Sua Retorica ed i Suoi Trionfi, preferendo piuttosto perseverare nell’ascesi del distacco perfetto. Martin Lutero, che pur si riteneva un grande estimatore del mistico domenicano, agì anche peggio rispetto a Guglielmo Ockham, riuscendo in breve tempo ad ottenere favore aristocratico e popolare nella fondazione di una società rivoluzionaria, per molti aspetti podromo dell’opzione di vita anarco-comunista. E’ bene ricordare come Dante Alighieri stesso nella Divina Commedia ritenesse che i peccati più immediatamente minanti l’Ordine Teocratico del mondo medioevale, quelli potremmo dire “etici”, fossero enormemente più gravi di quelli individuali dovuti alla fragilità della natura umana.
E qui si può intravedere, quasi “sub specie aeternitatis”, ovvero all’interno di una prospettiva eterna e divina di dialettica tra “permissione” e “volizione” divina nell’agone della Civitate Dei verso il Trionfo del Regno di Dio – paradossalmente, mistero dei misteri, “annunciato” dall’attuale apostasia -, il senso stesso della teologia della storia di Gioacchino da Fiore, come pure lo stesso caso dello “Scandalo del Vangelo Eterno” di Fra Gerardo da Borgo, e come, con l’emergere dello spirito rivoluzionario della massoneria l’umanità sia giunta alle varie teosofie di Helena Blavatsky (1831-1891), René Guenon (1886-1951), Julius Evola (1898-1974), Rudolph Steiner (1861-1925), come anche quella dell’interpretazione kantiana degli scritti del Beato Antonio Rosmini (1797-1855), in verità l’unico – unico – teosofo scagionato dall’eterodossia.
A proposito del fondatore dell’Istituto di Carità, segnaliamo la “Nota su Rosmini” di Papa Benedetto XVI – persino con l’ufficiale “placet” del grande sacerdote e filosofo antisoggettivista Mons. Antonio Livi (1938-2020) – nel 2001 (e la successiva beatificazione nel 2007) che riabilitarono il pensiero del fervente sacerdote roveretano grazie ad un lavoro di accordo tra l’idealismo oggettivo ed il tomismo classico, durato più di cent’anni, promosso a partire dai rosminiani delle origini fino ai recenti contributi di Carmelo Vigna e Paolo Pagani dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, passando per i filosofi Michele Federico Sciacca (1908-1975), Teodorico Moretti-Costanzi (1912-1995) e Gustavo Bontadini (1903-1990). Lavoro ancora non terminato, essendo “in fieri” la costruzione di uno stabile ponte con il tomismo, ovvero la metafisica di San Tommaso d’Aquino.
C’è un Punctum, nella Storia della Salvezza, nel quale i massimi sforzi delle forze del male – del mondialismo e del globalismo, potremmo dire oggi – vengono realmente transustanziati. E tale Punctum è il Grido di Morte di Gesù Crocifisso. La Trinità Sacrosanta decretò con decreto incontrovertibile che in Quel Momento, immediatamente dopo Quelle Ultime Parole: “In Manus Tuas Domine commendo Spiritus Meus”, il male è eternamente (è stato, è e sarà) transustanziato. Se prima del Sommo Sacrificio di Cristo la natura dell’uomo era ancora nemica di Dio, da quel momento in poi, poteva essere incessantemente presentata al Padre per essere continuamente ricreata:
“Dalla Sua Pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e Grazia su Grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la Grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno L’ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui Lo ha rivelato.”
(dal Prologo del Vangelo di San Giovanni; Gv 1,16-18)
Ogni bene si origina dalla morte del Redentore, che viene così posto dalla Trinità, secondo predestinazione eterna, come perfettamente coincidente con quel Punctum di separazione tra ciò che è bene e ciò che è male. Punctum dove bene e male – rigorizzando la c.d. “coincidentia oppositorum” di Cardinal Niccolò Cusano (1401-1464) – non possono coincidere, detto matematicamente, se non solo (sottolineo “solo”) per approssimazione periodica – operazione che unicamente Dio può cogliere -, cosa assolutamente inaccessibile a mente creata, incapace, da se stessa, per la propria natura finita, di esercitare un atto d’intelligenza infinito, cosa che invece il Verbo Incarnato può fare.
Solo Gesù poté e riuscì a “confondere l’ingratitudine umana” con il Suo Amore, come Egli Stesso afferma nel “Libro di Cielo” di Luisa Piccarreta:
“Ma passo avanti, per formare la Redenzione bastava una mia lacrima, un sospiro, ma il mio amore non sarebbe rimasto contento, potendo dare e fare di più, il mio amore sarebbe rimasto inceppato in se stesso e non avrebbe potuto darsi il vanto di dire: tutto ho fatto, tutto ho sofferto, tutto ti ho dato, le mie conquiste sono sovrabbondanti, il mio trionfo è completo; posso dire che sono giunto fino a confondere l’ingratitudine umana col mio amore, con i miei eccessi e con le pene inaudite, quindi io stesso in ogni pena mettevo l’intensità del dolore più intenso ed acerbo, le confusioni più umilianti, le barbarie più crudeli e dopo che la corredavo di tutti gli effetti più dolorosi, che solo un uomo e Dio poteva soffrire, mi esibivo a soffrirla ed oh, le mirabili conquiste nelle mie pene ed il pieno trionfo che faceva il mio amore! Nessuno avrebbe potuto toccarmi se io non lo avessi voluto e qui c’è tutto il segreto, le mie pene erano volontarie, volute da me e perciò contengono il segreto miracoloso, la forza vincitrice, l’amore che compunge e hanno virtù di travolgere tutto il mondo e cambiare la faccia della terra.”
(Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, Volume 32, 16 aprile 1933)
Solo Gesù Cristo, nella Sua Umanità e Divinità, è il Compendio della Legge di Mosè, la Verità di San Bonaventura, la Comprensione Suprema di Meister Eckhart, il Diritto Sussistente per Rosmini… Noi possiamo iniziare a conoscere Chi è Dio, la Trinità Coessente, solo grazie al Figlio di Maria Immacolata e del Padre Onnipotente, che ce Lo rivela per mezzo della Sua Umanità, Perfetto Tempio dello Spirito Santo demolito e ricostruito in tre giorni. Noi possiamo trovare il senso della Teodicea, il “perché” di tutti i mali nel mondo ed i corrispettivi rimedi salutari ad essi solo in Lui, sebbene Egli possa far partecipare gli stessi Suoi giustificati della Propria Vita.
Negli scritti della Serva di Dio Luisa Piccarreta, terziaria domenicana che aveva folgorato il fondatore dei Rogazionisti, Sant’Annibale Maria di Francia – oggi dal Cuore Incorrotto conservato a Roma -, oltre che venerata in vita dal sempre maestoso Papa San Pio X, possiamo trovare quel rigore “aletico” – ovvero epistemologicamente corretto -, che lo stesso Mons. Livi, pochi giorni prima di morire, applicò all’ecclesiologia, constatando che il Magistero Cattolico, in ultima analisi, poggia proprio sulla stabilità del dogma, tolta la quale si toglie la stabilità stessa della Chiesa.
Come testimonia il suo amico e filosofo Enrico Maria Radaelli:
“Enrico Maria – quasi mi gridò dal letto, guardandomi fisso negli occhi –, dogma, dogma, dogma. Vaticano I sì. Vaticano II no. Hai capito? Scrivi: dogma, sì. Vaticano I, sì. Vaticano II no, no, no. Scrivilo a tutti, scrivi bene. Questa è la Chiesa. Questa. Solo questa”.
Possiamo non essere d’accordo con l’epilogo della vita del dotto teologo pisano, ma nondimeno esso testimonia quanto oggi, per difendere il Depositum Fidei, la Sacra Liturgia e la Vita Sacramentaria, non sia più sufficiente una pur santa e benedetta metafisica sganciata dalla Persona del Salvatore, dal Logos Incarnato: si rivela altrettanto necessario riprendere seriamente in mano l’Ontologia, la Scienza dell’Essere, il Pensiero di Dio: un Dio che ci vuole donare la Sua filosofia, la Sua teologia, politica, economia, retorica, fisica, ecc..
A tal proposito, Luisa Piccarreta ha scritto una straordinaria piccola catechesi fattale da Gesù Cristo, Somma Verità, sul tema dell’accoglienza della verità:
“Mia piccola figlia del mio Volere, tu devi sapere che quando io manifesto un bene, una verità, è il segno più certo che voglio dare quel bene o il dono d’una mia verità, come proprietà della creatura, se ciò non fosse io la illuderei, la adescherei, le farei perdere il tempo in mille desideri inutili, senza il possedimento del bene che le ho fatto conoscere. Io non so illudere nessuno, né fare cose inutili, anzi prima decido di dare quel bene e poi manifesto la natura di quel bene e mentre lo manifesto già metto il seme nel fondo dell’anima, affinché essa incominci a sentire il principio della nuova vita del bene che le ho fatto conoscere ed il seguito delle mie manifestazioni che le faccio conoscere serve a fare germogliare il seme, ad irrorarlo ed innaffiarlo per formare la vita intera del dono che voglio darle. Ed il segno che l’anima ha accettato e gradito la nuova vita del dono che voglio darle è che io continuo a manifestare le diverse qualità, le belle prerogative, il valore immenso che possiede il mio dono e dopo che son certo che già possiede tutta intera la vita del dono che volevo darle, allora le faccio conoscere le mie mire, il lavorio che ho fatto in essa ed il dono che già possiede; la mia Sapienza è infinita, le mie industrie d’amore sono innumerevoli, prima faccio i fatti e poi le parole, che servono ad ammaestrare la creatura, per farle ricevere, conservare e far sì che si serva del bene che le ho dato e fatto conoscere. Dare un bene senza farlo conoscere è come se si volesse dare il cibo ai morti ed io non ho avuto mai a che fare coi morti, ma con i vivi, farlo conoscere e non darlo sarebbe una burla, né sarebbe modo della nostra natura divina. Quindi se ti ho manifestato tante verità sulla mia Divina Volontà è perché voglio darti il dono della sua vita operante in te, se ciò non fosse, mai ti avrei detto tanto, il solo mio dire è messaggero, portatore e depositario del gran dono della mia Divina Volontà, non solo a te, ma a tutto il mondo intero. Perciò sii attenta affinché il mio seme si polverizzi in te, fino a cambiarsi in natura ed allora sentirai con i fatti il bene del regnare della mia Volontà nell’anima tua.”
(Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, Volume 32, 14 maggio 1933)
Parlare, dunque, di “verità” (verum) non può essere disgiunto dalla dimensione della vita, del dono, in essa contenuta e che da essa scaturisce, ovvero il “bonum” (buono), capace di inserirsi all’interno di un’architettura unificata di gerarchie di verità dialetticamente collegate attraverso il principio di non contraddizione (la Divina Volontà: “unum”, uno).
Solo così tutto torna, l’architettura della cattedrale regge ed è stabile. La circolarità dei trascendentali va infatti ad integrare l’ontologia sintesistica dei tre enti divini (ideale, reale e morale) della quale il Rosmini tratta nel grande frammento della Teosofia, per bloccare ogni possibile interpretazione in chiave neo-triteista.
Pensare dunque la compenetrazione delle rispettive vie trascendentali: la via della perfezione (della techné platonico-agostiniana) non disgiunta dalla via della finalità (del telos aristotelico-tomista) nel contesto della via della causalità (della ratio leibniziano-rosminiana).
Senza il grande “donum”, il Dono della Divina Volontà, non possiamo conoscere le verità della filosofia e teologia tomista con pienezza, nel senso che abbiamo bisogno di integrare con la fenomenologia mistica dei santi e mistici, sennò è pur vero che si tende allo strutturalismo, al formalismo (vedi scuola intransigentista gesuitica suareziana di fine Ottocento che poi esplode nel preconciliarismo modernistico, padre del vaticansecondismo).
Succede un po’ come ai francescani, che alla ricerca del “vero spirito della Regola del Serafico Padre” (verum) si divisero in mille rivoli: similmente, la scolastica moderna e la neoscolastica cercarono di rappresentare il “buon spirito del tomismo” (bonum), purtroppo finendo per farsi la guerra: ecco quindi emergere la necessità di un atteggiamento più unificatore (unum), come quello di Eckhart, che sarà compito, speriamo, dell’impegno di tutti gli intellettuali di buona volontà collocare a complemento di bonum e verum, mai separato da essi. Cardinal Giacomo Biffi (1928-2015), riprendendo alcune intuizioni del filosofo russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv (1853-1900), parlerebbe a tal proposito di “Unitotalità”.
Necessaria, dunque, per il cattolico tomista controrivoluzionario, sarà l’appoggio ad un’inespugnabile e granitica Ontologia a difesa della Filosofia Perenne, un’Organismo che il filosofo salesiano Tommaso Demaria (1908-1996) – questa volta sanando i deficit di coerenza linguistica di Rosmini – definiva “realistico-dinamico”, e tale da rappresentare una fedele traduzione filosofica (comunque sempre “ancilla”) di quello che la Teologia della Divina Volontà di Luisa Piccarreta ci può a tutti gli effetti offrire con rigore ed al contempo fecondità:
“Figlia mia, per entrare nel mio Volere non ci sono vie, né porte, né chiavi, perché il mio Volere si trova dappertutto, scorre sotto i piedi, a destra e a sinistra, sopra il capo e dovunque. La creatura non deve fare altro che togliere la pietruzza della sua volontà, che, ad onta che sta nel mio Volere, non prende parte né gode dei suoi effetti, rendendosi come estranea nel mio Volere, perché la pietruzza della sua volontà le impedisce come all’acqua di scorrere dal lido per correre altrove, perché le pietre glielo impediscono; ma se l’anima toglie la pietruzza della sua volontà, nel medesimo istante lei scorre in Me ed Io in lei; trova tutti i miei beni a sua disposizione, forza, luce, aiuto, ciò che vuole. Ecco perché non ci sono vie, né porte, né chiavi; basta che si voglia e tutto è fatto. Il mio Volere prende l’impegno di tutto e di darle ciò che le manca, e la fa spaziare nei confini interminabili della mia Volontà.”
(Luisa Piccarreta, Libro di Cielo, Volume 12, 16 febbraio 1921)