La sovranità: tornare a Santi Romano
di Vincenzo Silvestrelli
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LE NORME DOVREBBERO ESSERE ESPRESSIONE DELLA COMUNITÀ
Santi Romano (1875- 1947) è stato uno dei più grandi giuristi italiani. In un periodo in cui il formalismo giuridico imperava e dava grande importanza alla norma come origine del diritto, egli, anche sulla base della esperienza di nuove realtà sociali che stavano emergendo come il movimento operaio e i sindacati, elaborò la teoria dell’istituzionalismo giuridico, espressa in maniera sintetica dalla formula “Ibi societas, ibi ius”.
Romano chiarisce e specifica: il «diritto non è o non è soltanto la norma che così si pone, ma l’entità stessa che pone tale norma». «La norma non è che la sua voce o, meglio, una delle voci, uno dei modi con cui esso opera e raggiunge il suo fine» .
Il Romano è un realista. La sua teoria parte dall’osservazione della società e porta alla conclusione che il diritto non trova origine in un sistema formale, ma le norme sono espressione di una comunità.
Nel medioevo questa realtà era anche dichiarata con la formula “Auctor iuris homo, iustitiae Deus”. Si indicava così da una parte la funzione strumentale alla persona del diritto e dall’altra la necessità che lo ius fosse basato su principi etici universali e non solo sul dispotismo e sulla manifestazione di interessi egoistici.
San Tommaso d’Aquino (1225-1274) approfondiva il concetto di norma, affermando che una legge ingiusta non è una vera legge.
Gli elementi che costituiscono, secondo il Romano, lo Stato ci sono utili per qualche riflessione: popolo, terrirrititorio e sovranità sono gli elementi costitutivi di ogni realtà giuridica che sia in grado di gestire la complessità dei rapporti.
Da una parte vediamo come questi elementi siano oggi inficiati dalla presenza di realtà che li insidiano profondamente. Che dire ad esempio della pervasività delle multinazionali che creano una propria serie di norme come avviene per i social network che impongono criteri auto prodotti che limitano la manifestazione del pensiero?
Anche le norme europee sono sottratte ad un controllo “sociale” e sembrano imposte per perseguire fini non orientati sempre al bene comune ma piuttosto alla realizzazione si interessi corporativi che sono anche ufficializzati nel lavoro dei lobbisti che operano allo scoperto nel parlamento europeo.
Queste situazioni sembrano un ritorno a quel “normativismo” formale che era stato criticato da Santi Romano. Basta infatti l’osservanza di una procedura, spesso contorta e incomprensibile, perché la norma diventi cogente.
In questa situazione il diritto rischia di perdere le sue caratteristiche cioè di essere lo strumento per realizzare il bene comune di una comunità, evitando lo sconto violento degli interessi sulla base di norme comunemente accettate.
Un altro limite alle caratteristiche degli elementi fondamentali dello stato è dato oggi dalla applicazione di norme proveniente dal alcuni ordinamenti e imposte altri. E’ ad esempio il caso delle sanzioni ad alcuni stati che gli USA pretendono di far applicare in maniera cogente anche agli “alleati”, utilizzando strumenti intimidatori e/o tecnico-finanziari che prescindono dal diritto dei singoli ordinamenti.
Questa applicazione di norme non provenienti dalla comunità ne altera la funzione statuale, facendola diventare parte, non dichiarata e senza garanzie, di altri ordinamenti.
Anche oggi possiamo utilizzare queste acquisizioni per osservare la realtà. Il diritto nasce oggi spesso dalla sovrapposizione di ordinamenti che però non hanno i limiti che avevano nel medioevo, dove il diritto voleva avere un carattere universale perché collegato alla giustizia.
Oggi una coerente azione politica, che voglia realizzare il bene comune e mantenere i principi di una coerente democrazia, cioè di un sistema dove il potere appartiene al popolo, deve riflettere sulle acquisizioni di Santi Romano e, con tutte le difficoltà derivanti dalla situazione attuale, riaffermarli per non cadere nel rischio di un totalitarismo che distrugga le comunità.