L’ideale di sacerdozio (sempre attuale) che aveva il grande santo Pio X
di Daniele Trabucco
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IL SACERDOZIO NEL PENSIERO DEL GRANDE PAPA SAN PIO X
Nel giorno della memoria liturgica (bianco) del grande Papa san Pio X, pontefice della Chiesa universale dal 1903 al 1914, una riflessione in merito all’ideale di sacerdote che il pontefice di Riese aveva in mente.
Nell’Esortazione al clero «Haerent animo», scritta di suo pugno nel 1908, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione, Papa Sarto non chiedeva poco ai suoi sacerdoti, domandava la santità: l’essere, da parte del prete, «un uomo crocifisso al mondo, per il quale il mondo è crocifisso».
Ciò che la Chiesa Cattolica riconobbe in lui nel 1954, con la canonizzazione avvenuta durante il pontificato di Pio XII (1939-1958), lo pretendeva, con dolcezza e libertà, da ciascun presbitero. San Pio X insisteva molto su questo aspetto, consapevole, scrive ancora nella «Haerent animo», che «il sacerdote non è tale che possa essere buono o cattivo semplicemente per sé», dal momento che «l’esempio della sua vita è fecondo di conseguenze sull’indirizzo della vita dei fedeli».
Un ideale altissimo sul quale egli torna frequentemente ed al quale dedica parole importanti del suo Magistero. Da qui le continue raccomandazioni ai Vescovi di curare con attenzione i seminari al fine di formare Cristo in coloro i quali, per dovere di vocazione, sono destinati a formarlo agli altri.
Nella prima Lettera Enciclica, «E supremi» del 1903, nella quale delinea le linee programmatiche del suo pontificato, Pio X mostra proprio la sua preferenza e predilezione per quei presbiteri che, «pur coltivando l’ecclesiastica e letteraria erudizione, si dedicano più da vicino al bene delle anime con l’esercizio di quei ministeri che sono propri di un sacerdote zelante dell’onore divino».
Nella Chiesa gerarchica, ordinata, obbediente e disciplinata di Papa Sarto, dunque, il clero assume una funzione preminente. Non stupisce, allora, se un’intera Enciclica, «Pieni l’animo», del 1906, è rivolta, con grande realismo, ad esaminarne i problemi e le difficoltà e dove il discorso teorico cede il passo al consiglio pratico del pastore d’anime: le omelie che non devono essere né lezioni accademiche, né disquisizioni giornalistiche, il rimanere lontani da tutto ciò che, agli occhi dei fedeli, poteva minare la santità del sacerdote, il non ingerirsi in attività politiche, commerciali e sindacali etc.
Tutti aspetti utili anche per selezionare le ordinazioni (quanto ce ne sarebbe bisogno oggi), evitando il moltiplicarsi di gente «che non accresce letizia» e questo proprio in ragione del peculiare ufficio presbiterale che «non è un mestiere o un ufficio umano qualsiasi». Non va dimenticato che questo costante interesse per il clero, si tradusse anche in una riforma strutturale dei seminari italiani attraverso il «Programma generale di studi» del 10 maggio 1907 e le «Norme per l’ordinamento educativo e disciplinare» del 01 gennaio 1908 ove si adeguavano i programmi seminariali a quelli governativi delle scuole pubbliche al fine di venir incontro all’esigenza di porre il clero nella condizione di poter dialogare alla pari con il proprio tempo.
Altro che antimodernità di Papa Sarto, ma una guida forte, sicura, illuminata cui guardare in questi tempi bui e cui chiedere costantemente l’intercessione.