Gli ultimi giorni di san Giuseppe e la sua preziosa agonia

Gli ultimi giorni di san Giuseppe e la sua preziosa agonia

Informazione Cattolica vi offre una pagina al giorno (in una nostra versione nell’italiano odierno) del libro scritto da San Giovanni Bosco, nel lontano 1867, ma tuttora attuale, sulla VITA DI SAN GIUSEPPE SPOSO DI MARIA SANTISSIMA «PADRE PUTATIVO DI GESÙ CRISTO».

 

 

“O nimis felix, nimis o beatus Cuius extremam vigiles ad horam Christus et Virgo simul astiterunt Ore sereno!” (“O beata o felice anima pia, Che del tuo esilio nell’estremo istante, Godesti a lato di Gesù e Maria il bel sembiante”, La s. Chiesa nell’uffizio di s. Giuseppe).

Giuseppe toccava i suoi ottant’anni, e Gesù non doveva tardare ad abbandonare la sua dimora per ricevere il battesimo da Giovanni Battista, quando Dio chiamò a se il suo fedele servitore. Le fatiche ed i travagli d’ogni sorta avevano logorato la tempra robusta di Giuseppe, e sentiva egli stesso che la sua fine era ben prossima.

D’altronde la sua missione sulla terra era terminata; ed era giusto che egli ricevesse finalmente la ricompensa che meritavano le sue virtù.

Per un favore affatto speciale un angelo venne ad avvisarlo della sua prossima morte. Egli era pronto a comparire innanzi a Dio. Tutta la sua vita non era stata che una serie di atti d’obbedienza alla volontà divina e poco gli importava della vita, poiché si trattava d’ubbidire a Dio che lo chiamava alla vita beata. Secondo le testimonianze unanimi della tradizione Giuseppe non morì tra le sofferenze acute della malattia. Si spense dolcemente come una fiamma cui venga meno l’alimento.

Steso sul letto di morte, avendo ai suoi fianchi Gesù e Maria, Giuseppe fu rapito in estasi per ventiquattro ore. I suoi occhi videro allora chiaramente le verità che la sua fede aveva credute sin allora senza comprendere. Egli penetrò il mistero di Dio fatto uomo e la grandezza della missione che Dio aveva confidato a lui povero mortale.

Assistette in spirito ai dolori della passione del Salvatore. Quando si risvegliò, il suo viso era illuminato e come trasfigurato da una beltà tutta celeste. Un profumo delizioso riempì la camera in cui egli giaceva e si sparse anche al di fuori, annunziando così ai vicini del santo uomo che la sua anima, così pura e così bella, stava per passare in un mondo migliore.

In una famiglia di anime povere e semplici che si amano di quell’amor puro e cordiale che difficilmente si trova in seno alla grandezza ed all’abbondanza, quando queste persone si godettero in santa unione gli anni del pellegrinaggio, e che come ebbero comuni le domestiche gioie, così si divisero i dolori santificati dal conforto religioso, se avvenga che questa bella pace debba offuscarsi per la separazione di un caro membro, oh come si sente allora angoscioso il cuore nel dividersi!

Gesù aveva come Dio un padre in cielo che comunicandogli da tutta l’eternità la sua divina sostanza e natura rendeva perenne alla sua persona sulla terra la celeste gloria (quantunque velata da spoglie mortali); Maria aveva in terra Gesù che le riempiva di paradiso il cuore. Chi tuttavia vorrà negarci che Gesù e Maria trovandosi ora presso al moribondo Patriarca e lasciando anche la tenerezza del loro cuore in balia della natura non abbiano sofferto nel doversi temporaneamente separare dal compagno fedele del loro pellegrinaggio in terra?

Maria non poteva dimenticare i sacrifici, le pene, i disagi, che per essa aveva dovuto soffrire Giuseppe nei penosi viaggi di Betlemme e di Egitto. E vero che Giuseppe trovandosi continuamente in compagnia di Lei veniva compensato di quanto soffriva, ma se questo era un argomento di conforto per l’uno, non era cagione che dispensasse il cuore tenerissimo dell’altra dal sentimento di gratitudine.

Giuseppe l’aveva servita non solo con tutto l’affetto d’uno sposo, ma altresì con tutta la fedeltà d’un servo e l’umiltà d’un discepolo, venerando in Lei la Regina del cielo, la Madre di Dio. Ora a Maria non erano certo sfuggiti dalla mente tanti segni di venerazione, di obbedienza e di stima, e non poteva non sentirne per Giuseppe profonda e verissima riconoscenza.

E Gesù che in fatto di amore non doveva starsi certamente inferiore nè all’uno nè all’altra, dal momento che aveva disposto nei decreti della sua divina Provvidenza che Giuseppe fosse il suo custode e protettore in terra, dal momento che questa protezione aveva pur dovuto costare a Giuseppe tanti patimenti e tante fatiche, anche Gesù doveva sentir in quel suo cuore amantissimo i più dolci sensi di grata rimembranza.

Nel contemplare quelle scarne braccia disposte in croce sull’affannoso petto egli ricordava che quelle si erano tante volte aperte per stringerselo al seno quando vagiva in Betlemme, che si erano stancate a portarlo in Egitto, che si erano logorate sul lavoro per mantenergli il pane della vita. Quante volte quelle care labbra si erano appressate riverenti a stampargli amorosi baci o a scaldargli nell’inverno le intirizzite membra; e quegli occhi, che allora stavano per chiudersi alla luce del giorno, quante volte si erano aperti al pianto, onorando le sofferenze di Lui e di Maria, quando doveva contemplarlo fuggiasco in Egitto, ma specialmente quando per tre giorni lo pianse smarrito in Gerusalemme. Queste prove di amore sviscerato non erano certamente da Gesù dimenticate in quegli estremi istanti di Giuseppe. Quindi m’immagino che Maria e Gesù nello sparger di paradiso quelle ultime ore di vita di Giuseppe avranno ancora, come sulla tomba dell’amico Lazzaro, onorato collo sfogo delle più pure lacrime quello estremo solenne saluto. Oh sì che Giuseppe aveva il paradiso innanzi agli occhi! Egli volgeva lo sguardo da un lato e vedeva l’aspetto di Maria, e ne stringeva nelle sue le mani santissime, e ne riceveva le ultime cure, e ne sentiva le parole di consolazione. Volgeva gli occhi dall’altra parte ed incontrava lo sguardo maestoso ed onnipotente di Gesù, e sentiva le sue mani divine sostenergli il capo, e tergere i sudori, e raccoglieva dal suo labbro i conforti, i ringraziamenti, le benedizioni e le promesse. E mi parse che dicesse Maria: «Giuseppe, tu ci abbandoni; tu hai finito la peregrinazione dell’esilio, tu mi precederai nella tua pace, discendendo il primo nel seno del nostro padre Abramo; oh Giuseppe, come ti son grata della soave compagnia, che mi facesti, dei buoni esempi che mi hai dato, della cura che avesti di me e delle cose mie e delle pene gravissime che soffristi per cagion mia! oh tu mi abbandoni, ma vivrai pur sempre nella mia memoria e nel mio cuore. Sta di buon animo, o Giuseppe, quoniam appropinquat redemptio nostra».

E mi parse dicesse Gesù: «Giuseppe mio, tu muori, ma anch’io morrò, e se muoio io tu devi stimare la morte ed amarla come mercede. Breve, o Giuseppe, ha da essere il tempo delle tenebre e dell’aspettazione. Vai da Abramo e da Isacco i quali bramarono di vedermi e non furono degni; vai a loro che da molti anni aspettano la mia venuta in quelle tenebre e loro annunzia la prossima liberazione; dillo a Noè, a Giuseppe, a Davide, a Giuditta, a Geremia, ad Ezechiele, di a tutti quei Padri che ancor tre anni dovranno aspettare e poi sarà consumata l’Ostia ed il Sacrificio e cancellata l’iniquità del mondo. Tu intanto dopo questo breve tempo sarai ravvivato e glorioso e bellissimo, e con me più glorioso più bello sorgerai nell’ebbrezza del trionfo. Vanne lieto, caro custode della mia vita, tu fosti buono e generoso per me, ma vincermi di gratitudine non può nessuno».

La santa Chiesa esprime le amorose ultime assistenze di Gesù e di Maria verso s. Giuseppe con queste parole: «Cuius extremas vigiles ad horas Christus et Mater simul astiterunt ore sereno» (“Nelle ore estreme di s. Giuseppe con volto sereno assistevano con la più amorevole vigilanza Gesù e Maria”).

 

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