Ripensare il patrimonio teologico-culturale di San Paolo apostolo
di Guseppe Lubrino
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IL PERSONAGGIO DI SAN PAOLO APOSTOLO È TRA I PIÙ AMATI E PIÙ SUGGESTIVI DEL NUOVO TESTAMENTO
Il personaggio di san Paolo apostolo è sicuramente tra i più amati e più suggestivi del Nuovo Testamento. Ciò nonostante sovente è accusato di aver traviato il messaggio originario di Gesù e di aver dato vita alla religione cristiana. Tale interpretazione della sua opera missionaria e del suo patrimonio letterario da una attenta disamina delle fonti a nostra disposizione risulterà senz’altro infondata e inverosimile. Le fonti disponibili su Paolo sono il libro degli Atti degli Apostoli, la seconda lettera di Pietro e alcuni scritti patristici. Alla base dell’opera dell’ “Apostolo delle genti” c’è un’esperienza che travalica i confini dell’ordinario e del naturale e si inserisce nel fenomeno del soprannaturale. Egli da persecutore dei cristiani in qualità di fariseo zelante della religione giudaica, diventerà dopo il misterioso incontro sulla strada di Damasco, un araldo del vangelo e del messaggio di Gesù Cristo crocifisso e risorto per la salvezza dei popoli (cf. At 9,1-9; 22,6-11; 26, 12-18; 1Cor 15,1-11). Degno di nota appare quanto di lui afferma il noto biblista luterano Albert Schweitzer:
Paolo ha assicurato per sempre nell’ambito del cristianesimo il diritto di pensare… in questo egli non è un rivoluzionario. Parte dalla fede della comunità, ma non ammette di doversi fermare dove quella finisce… la fede non ha nulla da temere dal pensiero… Paolo è il santo protettore del pensiero nel cristianesimo.
All’interno del patrimonio culturale e teologico di san Paolo è possibile intercettare un vero e proprio itinerario di educazione e formazione al pensiero critico a partire da una prospettiva genuinamente cristiana.
Paolo di Tarso (attuale Turchia) di origine Romana e di cultura giudeo-ellenistica è un filosofo della fede, zelante e instancabile predicatore di Gesù Cristo e della sua Redenzione a favore dell’umanità. Egli, peraltro, ha ricevuto una solida formazione biblica relativa alla conoscenza della Torah dal noto rabbino Gamaliele. Ciò fin dalla tenera età gli ha consentito di acquisire dimestichezza e familiarità con le Sacre Scritture e con le tecniche esegetiche rabbiniche. Paolo nel corso della sua vita ha annunciato e promosso tutto quanto nobilita e conferisce piena dignità all’essere umano in quanto tale. Ciò lo ha sempre fatto a partire dal mistero pasquale di Gesù Cristo. Nel Nuovo Testamento un bel corpus di scritti è stato attribuito alla sua paternità, ben tredici lettere che hanno acquisito nel tempo anche il prestigio delle epistole. Tuttavia, di tale corpus letterario l’esegesi odierna ci consente di individuare solo sette lettere/epistole che sono sicuramente state redatte e dettate dall’Apostolo. Riguardo, invece, alle altre cinque missive è stato rilevato che si tratta – con molta probabilità – di scritti nati all’interno della sua cerchia di collaboratori e scribi. Si indicano di seguito gli scritti in ordine cronologico con la divisione tra quelli paolini e i post-paolini:
Lettere autentiche di Paolo
- 1 Lettera ai Tessalonicesi (anni ’50 dopo Cristo scritto più antico del NT);
- 1-2 Lettera ai Corinzi;
- Biglietto a Filemone;
- Lettera ai Filippesi;
- Lettera ai Galati;
- Lettera ai Romani.
Lettere post-paoline
- 2 Lettera ai Tessalonicesi;
- Lettera ai Colossesi;
- Lettera agli Efesini;
- 1-2 Lettera a Timoteo;
- Lettera a Tito.
Il genere letterario delle lettere è riferito ad uno scritto che è destinato a un numero esiguo di persone i quali hanno un rapporto intimo con il mittente. Nel caso delle lettere paoline si può affermare che nel corso del tempo hanno acquisito la valenza di epistole. Tali scritti, infatti, trattano i contenuti in maniera più articolata e sistematica e, in genere, sono indirizzati ad una platea di lettori più ampia. (cf. Gérard Rossé, Paolo, profilo biografico e teologico, EDB (13 giugno 2019, pp. 280). Si può notare come già nel NT le epistole di san Paolo godevano di un certo prestigio all’interno delle prime comunità cristiane tanto da essere enunciate sullo stesso livello delle Sacre Scritture ebraiche:
La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. (2Pt 3,15-16) (Cf. Ibid.).
Alla luce di ciò è evidente che siamo dinanzi ad una personalità dinamica, poliedrica e acuta. San Paolo da zelante fariseo intento a mettere in catene i seguaci del Nazareno diventerà un testimone appassionato della sua Resurrezione. Si legga questo estratto della lettera alle comunità della Galazia:
In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano. (Gal 2,19-21).
La Lettera ai Galati si configura come una circolare per le comunità della Galazia e consiste in una vera e propria apologia del Vangelo di Gesù Cristo. L’epistola fu redatta con impeto e contiene molte invettive che Paolo rivolge ai fedeli delle chiese della regione dell’Anatolia. Costoro sono stati “ammaliati” da alcuni cristiani giudaizzanti che, dopo la predicazione di Paolo, volevano imporre loro il giogo della circoncisione e dell’osservanza della Torah. Paolo scrive ai Galati durante la sua permanenza ad Efeso verso il 56 d.C. e con toni di biasimo e di rimprovero li esorta a cogliere la giusta ermeneutica del vangelo. Nel celebre brano succitato è possibile rinvenire uno dei punti cardini della teologia paolina: la relatività della Torah ebraica in ordine al conseguimento della salvezza in Gesù Cristo. La problematica per i fedeli provenienti dai gentili è la seguente: dopo aver ricevuto il battesimo, ed essere diventati discepoli del Risorto, come porsi nei confronti della Torah e delle sue prescrizioni rituali? Per essere cristiani occorre prima aderire al Giudaismo? Paolo dissuade tale tendenza attraverso un’apologia del kérigma apostolico improntata sul piano biografico (riferendosi a sé stesso) e sul piano dottrinale (esponendo il messaggio del Vangelo così com’è). Paolo, inoltre, in questo brano fa riferimento ad una diatriba sorta all’interno della comunità di Antiochia. In tale occasione, durante la visita pastorale di san Pietro, egli notò un comportamento sconcertante: Pietro in un primo momento si era mostrato disponibile e accogliente nei confronti dei fedeli provenienti dai gentili. Egli partecipava ai loro conviti di buon animo e non aveva imposto loro alcun obbligo relativo alla Legge mosaica. La situazione muta però nel momento in cui giunge una delegazione gerosolimitana del gruppo di san Giacomo apostolo che appartenevano al filone dei cristiani giudaizzanti. Tali fratelli, pretendevano che i neofiti prima di ricevere il battesimo in Gesù Cristo ricevessero la circoncisione e accettassero di adeguarsi alle prescrizioni rituali della Legge. In tale circostanza – rileva Paolo – che Pietro cambiò il suo atteggiamento mostrandosi più schivo e scostante nei confronti di questi fratelli provenienti dal paganesimo. Or bene, Paolo per amore della verità e in obbedienza alla sua coscienza, non esita a manifestare a Pietro il suo disappunto in merito. Dopo di ciò ci fu poi un chiarimento fraterno. Paolo utilizza tale avvenimento come paradigma allo scopo di dimostrare ai cristiani della Galazia l’importanza della retta comprensione, acquisizione e applicazione del messaggio del Vangelo. Tutti i cristiani in virtù del battesimo vengono immessi nella morte di Cristo e sono resi partecipi anche della Resurrezione. Pertanto, in forza della fede in Cristo non sono più soggetti alla Torah e alle sue prescrizioni rituali. Detto questo, occorre precisare che il decalogo all’interno della Torah preserva la sua perenne validità ed attualità educativa in ordine all’agire etico dei cristiani. (Cf. Giuseppe Pulcinelli, Paolo, scritti e pensiero. Introduzione alle Lettere dell’Apostolo, San Paolo Edizioni (1 ottobre 2013), pp. 2402-2552). La tentazione di impantanarsi negli aspetti legalistici della fede non è estranea al panorama culturale e spirituale odierno.
Farsi un’idea distorta di Dio, interpretare in maniera fuorviante la sua Parola, piegare le istanze della fede ai propri interessi, sono rischi più che mai attuali… Paolo con il suo messaggio, la coerenza della sua testimonianza e la solidità del suo insegnamento, ricorda però che è possibile vivere la fede cristiana con il giusto equilibrio e il giusto senso della misura.
Attraverso la lettura delle sue epistole si può cogliere la profondità della sua fede e della sua unione con Gesù Cristo. La sua fede, il suo zelo e il suo coraggio, irradiano e abbagliano cosi proprio come la luce del sole splende nel cielo in piena estate. Si legga questo estratto che ben compendia l’insegnamento paolino alle chiese della Galazia:
Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio. Gal 4,4-7.