Resistettero all’assedio delle soverchianti milizie rosse grazie all’Immacolata
di Diego Torre
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JOSÉ MOSCARDÓ ITUARTE, HIDALGO Y CABALLERO
La lettura dell’articolo di Matteo Castagna sull’assedio dell’Alcazar di Toledo del 1936, in cui i nazionalisti sostenitori di Francisco Franco, resistettero all’assedio delle soverchianti milizie rosse, apparso su Informazione Cattolica del 17 luglio, mi ha spinto ad approfondire il tema facendomi trovare alcuni particolari degni di interesse.
Mentre il colonnello Moscardò, comandante dei nazionalisti, rifiutava la resa dell’accademia ai repubblicani consapevole che per rappresaglia avrebbero fucilato suo figlio Luis, l’altro figlio, Pepe, veniva fucilato a Barcellona. Quest’ultimo era riuscito a sfuggire alla Milizia, e stava per salire in treno per raggiungere Toledo, quando gli cadde la medaglia della Madonna che portava con sé. Una devozione a Maria SS. che gli fu fatale. Riconosciuto venne arrestato e fucilato come spia fascista. Moscardò seppe di Pepe, per sua fortuna, soltanto ad assedio finito.
Un problema che angustiò gli assediati sin dall’inizio fu la fame. Erano in 1760 di cui circa 500 civili, e fra essi donne e 211 bambini (altri 2 nacquero durante l’assedio). Rimasero asserragliati in 70 giorni di torrida estate castigliana in un territorio completamente controllato dai rossi. Moscardò, interpellato ripetutamente, rispondeva che Dio avrebbe provveduto. E che si scopre? Nella terra di nessuno, compresa fra il castello e le barricate repubblicane vi erano centinaia di sacchi di grano, immagazzinato da anni, di cui si era persa memoria. L’unico a saperlo era proprio uno degli assediati. Verificata la buona notizia Moscardò si ritirò in preghiera per ringraziare la Madonna, e per buona parte dell’assedio, i nazionalisti, strisciando di notte, si rifornirono sotto il naso delle sentinelle nemiche.
A due mesi dall’inizio dell’assedio i repubblicani terminarono lo scavo di una galleria che doveva raggiungere le mura dell’Alcazar e la riempirono con 5 tonnellate di TNT. Gli assediati erano terrorizzati all’idea di morire sepolti fra le rovine o nel successivo attacco che i nemici avrebbero sferrato. L’imperturbabile colonnello giocò il suo asso nella manica: fece trasformare in cappella il locale minacciato e in prossimità del presunto punto d’esplosione fece posizionare la statua della Madonna. Quando avvenne l’esplosione una nuvola di polvere immensa si sollevò alla presenza della stampa “amica”, compresa la Paramount, presente per testimoniare la “fine” dell’assedio. Traballò l’intera fortezza, una donna negli scantinati partorì una vispa bambina in quel preciso momento e partirono le colonne d’assalto per “finire” gli assediati, che… erano rimasti tutti miracolosamente illesi.
Il crollo avvenne solo di una parte della fortezza, le macerie caddero fuori dal perimetro e divennero un ostacolo insormontabile per le colonne d’assalto dei repubblicani, carro armato e autoblinde comprese. Respinto sorprendentemente l’attacco Moscardo ispezionò il luogo dello scoppio e vi trovò molte donne in preghiera dinnanzi alla statua della Madonna lievemente danneggiata; e si unì a loro, in ginocchio.
Un uomo particolare Moscardò, ricorda il libro di Cecil D. Eby, “L’assedio dell’Alcazar”.
“Alto, riservato, dalle maniere gentili, un poco goffo, piuttosto puntiglioso: abbastanza felice con poche persone che conosceva bene, ma timido in compagnia. Aveva un grande senso del dovere. Era religioso. In una nazione dove il tratto fondamentale era l’imprecisione, lui era rigoroso”, così lo descrive il maggiore inglese Geoffrey McNeill-Moss. Sicuramente era il prodotto umano della hispanidad più tradizionale, che affonda le sue radici nel cattolicesimo più ortodosso.