Il santo eremita taumaturgico, il più amato dai Siciliani
di Francesco Bellanti
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SECONDO SALVATORE KAREK, SAN CALOGERO MORIVA NELLA NOTTE TRA IL 17 E IL 18 GIUGNO DEL 561 D.C., NELLA GROTTA DEL MONTE KRONIO (SCIACCA). SECONDO LA TRADIZIONE, AVEVA 95 ANNI
Oggi, 18 giugno, è la festa di san Calogero. Anni fa feci una ricerca antropologica su San Calogero che poi, a causa di altri sopraggiunti interessi, non pubblicai. Pensavo che fosse una cosa banale, invece venne fuori un saggio di circa 120 pagine. Voglio condividere con voi qualche pagina sul culto di questo santo che è il più diffuso in Sicilia.
Un Santo così popolare e radicato nella cultura popolare non poteva non trovare posto nella fantasia degli scrittori siciliani. Frequenti richiami al Santo nero e alla festa agrigentina di San Calogero sono presenti nel primo romanzo di Andrea Camilleri, Il corso delle cose, finito di scrivere nel 1968 e pubblicato molti anni dopo, prima da Lalli nel 1978, e poi, in epoca montalbaniana, da Sellerio nel 1998.
Il giornale la Repubblica, nel 2002, pubblicava un articolo sul creatore del Commissario Montalbano, che non ha mai fatto mistero di essere ateo, nel quale era scritto che lo scrittore empedoclino “ammette che nel suo personale paradiso deserto, privo di santi, c’è solo San Calogero, il “santo nero” il cui culto strambo è tuttora vivissimo in molti paesi e città della fascia meridionale della Sicilia. In realtà, la sua non sembra essere devozione, ma sincera affezione per questa singolare figura di eremita, giunto dall’Africa in un tempo remoto, nero e povero in canna, la cui santità è stata imposta alla gerarchia cattolica a furor di popolo”.
Come abbiamo già detto, San Calogero è veramente un Santo molto amato, non solo nella zona dell’Agrigentino ma anche in tutta la Sicilia. È il patrono anche di Porto Empedocle, città natale di Camilleri, la Vigata dei suoi romanzi montalbaniani e storici, e lo scrittore non si dà fastidio di ricordarcelo qua e là nei suoi libri. Anche perché riconosce di dovere al “santo nero” parte della sua ispirazione e della sua longevità. Lo scrittore empedoclino racconta, infatti, che i suoi genitori avevano perso più di un figlio in età infantile; al momento della sua nascita, avvenuta durante la processione del Santo, la balia lo ha affidato al Padre Protettore. Da allora sono passati più di novant’anni.
Prima di passare alla testimonianza di un altro grande scrittore siciliano, è doveroso ricordare che la diffusione del culto in tutta l’Isola fu favorita da Papa Clemente VII, che nel 1598 diede l’approvazione dell’Ufficio e della messa per la festa di San Calogero in Sicilia.
Una dozzina di città siciliane hanno come santo protettore San Calogero, una mezza dozzina sono quelle agrigentine. Lo conferma un ritornello molto diffuso nella provincia di Agrigento, soprattutto a Naro, che recita:
San Caloiro di Naro
Miraculi nni fa un migliaru,
San Caloiru di Girgenti
Miraculi un ni fa nenti,
San Caloiru di Canicattì
Nni fici unu e si nni pintì.
Anche Leonardo Sciascia in Kermesse, edito da Sellerio nel 1982, parla, alla voce Naro, di San Calogero. Kermesse, dice lo scrittore racalmutese, riprendendo un pensiero di J.L.Borges, (Ho l’impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato) è un libro frutto dell’amore “al luogo in cui si è nati, alle persone, alle cose, alle parole di cui la nostra vita, nell’infanzia, nell’adolescenza, si è intrisa”.
Dal punto di vista della materia trattata, Kermesse assomiglia un po’ a Museo d’ombre di Gesualdo Bufalino. Museo d’ombre, tuttavia, è un’opera più elaborata, più sistematica. Kermesse, invece, è più semplice, quasi fosse stata scritta di getto in particolari momenti e poi rimessa insieme così come scritta in origine.
Parlando della voce Narisi, lo scrittore de Il giorno della civetta, dopo avere parlato della voce Narisi “Narisi. Di Naro, grosso comune in Provincia di Agrigento: distante da Racalmuto circa venticinque chilometri ma molto frequentato dai racalmutesi e perché andavano a vendervi il sale (e infatti a Naro i racalmutesi sono semplicemente chiamati “salinari”) e perché ogni anno molti vi si recavano (e vi si recano) in pellegrinaggio per rendere omaggio a un miracolosissimo santo cui i naresi dedicano un fanatico culto”, parla anche del “santo nero” in termini entusiasti, fatto non raro quando si discute di santi in Sicilia.
“Nero di volto e di veste, bianca la lunga barba, un lungo bastone in mano, San Calogero Eremita è considerato in tutta la provincia il Santo che sa meglio intercedere per la guarigione delle ernie. L’altro San Calogero venerato ad Agrigento, e ancor meno quello venerato a Sciacca, nessuno che non sia di Agrigento o di Sciacca li prende sul serio: Si dice: “San Caloriu di Girgenti / fa li grazi e si nni penti / San Caloriu di Naru / fa li grazi a cantaru “(San Calogero di Agrigento / fa le grazie e se ne pente, / San Calogero di Naro / fa le grazie a quintali: con generosità, con abbondanza”.
A parte la lieve variante sul ritornello – ma tante sono le varianti su questo ritornello come vedremo – lo scrittore di Racalmuto poi dà un cenno interessante sui rapporti tra i naresi e gli abitanti dei comuni vicini. “Su Naro e sui naresi ci sono a Racalmuto tre detti: Il primo riguarda la festa di San Calogero: “A Naru ca c’è la riebbrica”( a Naro che c’è la replica). La “riebbrica” della festa: poiché il 18 giugno c’è la festa grande; otto giorni dopo, il 25, la replica. Ma più dimessa, senza l’accorrere dei devoti dai paesi vicini. La frase si usa dire ai bambini quando tornano a chiedere un dolce o la ripetizione di un gioco. Ai grandi quando, non soddisfatto il primo, ricorrono per un secondo prestito: di denaro, di utensili. Spesso abbreviata in “A Naru”, ed esclamativamente.
Per la cronaca, Sciascia alla voce Narisi parla anche di altre dicerie del paese di San Calogero.
“Il secondo detto è alquanto, per i naresi, offensivo: “aviri du porti comu li narisi”. Avere, cioè due porte come i naresi: poiché tale era, secondo i racalmutesi, la rilassatezza dei costumi a Naro, il libertinaggio in cui si viveva, che le case tutte venivano funzionalmente costruite con due porte: una da cui entra il marito ed una da cui esce – al rientro del marito – l’amante. Si dice di chi ha la moglie amante. Si dice di chi ha la moglie infedele e finge di non sapere; ma anche di chi ha doppiezza di carattere.
Il terzo, “a iddu ca è narisi” (letteralmente: a lui, poiché è Narese), vale: dategli addosso, picchiatelo; oppure: lo picchiarono tanto, in molti ingiustamente. Ricorda, mi è stato detto a Naro, un momento di rivalità, intorno al 1850, tra Naro e il vicino (e più grande, e più ricco) paese di Canicattì: e scoprire un Narese a Canicattì, era tutt’uno col caricarlo di botte”.
Ma torniamo a San Calogero. I naresi non saranno felici delle ultime osservazioni di Sciascia sulle loro costumanze, ma lo saranno senz’altro per il famoso detto, anche se c’è una variante che tuttavia sembra essere diffusa solo ad Agrigento:
San Caloriu di Naru
fa miraculi pi dinaru,
San Caloriu di Girgenti
fa miraculi pi nenti.
Non intendiamo tuttavia dilungarci sugli innumerevoli detti e ritornelli, sulle preghiere al Santo venuto da lontano. O sui miracoli che, a sentire in giro, e a leggere di qua e di là, sono davvero tanti, e non solo di ernie di cui parla Sciascia.
Di santuari vorremmo parlare, almeno dei tre più importanti – di Agrigento, di Sciacca, di Naro -, e di tutta la religiosità ad essi connessa, fatta di storia, fede sincera, tradizioni popolari, e talvolta anche di superstizione”.