Chi canta prega due volte. È ancora vero?

Chi canta prega due volte. È ancora vero?

di Pietro Licciardi

PER IL MAESTRO STEFANO BURBI IL CANTO DEVE AVVICINARE A DIO E NON ESSERE UNA ESIBIZIONE FINE A SE’ STESSA 

Tra i motivi del crollo verticale della frequenza della Messa, e non siamo certo noi gli unici a dirlo, c’è la sciatteria e la banalizzazione della celebrazione liturgica, troppo spesso “animata” da canti e accompagnamenti musicali più adatti ad essere eseguiti in una sagra paesana che in un rito sacro.

Su questo argomento InFormazione cattolica ha interpellato il maestro Stefano Burbi, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale che dirige stabilmente l’Orchestra dei filarmonici di Firenze ed è composer in residence alla Canadian Chamber Academy di Toronto oltre ad essere autore di oltre mille brani di musica sinfonica, musica sacra e da camera nonché di varie colonne sonore e cinque musical

Maestro, lei da buon cattolico la domenica va a Messa. Cosa pensa della musica che spesso si ascolta nelle parrocchie?

«Dopo il Concilio Vaticano II si è assistito ad un rapido cambiamento delle abitudini musicali in ambito ecclesiastico ma personalmente non mi sento di dare un giudizio. Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte e quindi non posso criticare il modo con cui un fedele desidera pregare e cantare in quanto nasce da una esigenza personale e spirituale da un certo punto di vista insindacabile. Un conto è il livello artistico di una esibizione e altro conto è l’intenzione di fronte a Nostro Signore. Dare un giudizio troppo negativo su questa moda – che io personalmente non condivido – mi porterebbe anche a giudicare l’intenzione che uno ha verso Dio e questo non sarebbe corretto. E’ vero che certe critiche sarebbero legittime e persino doverose ma è anche vero che il modo di pregare nasce da un atteggiamento individuale sul quale dovremmo astenerci dal giudicare» 

Lei ha citato Sant’Agostino.  A me è capitato di ascoltare a Messa Imagine di John Lennon, il cui testo che non mi sembra granché adatto ad una celebrazione liturgica. Lei crede che oggi, assistendo ad una Messa “moderna” Agostino direbbe la stessa cosa?

«Imagine è una canzone che dice “non ci dovrebbero essere religioni” ed è indubbiamente un tantino contraddittorio. Diverso se si tratta di prendere la sola melodia. In tal caso si potrebbe assimilare al fenomeno dei travestimenti musicali da cui non fu immune neppure il grande Bach. I corali che noi cantiamo, ad esempio a Pasqua, sono in realtà canti popolari il cui testo era del tutto profano che sono stati rivestiti con un testo sacro. Fintanto si tratta di questo si può capire. Negli anni Settanta ricordo canzoni degli Eagles, come Hotel California, le cui melodie erano rivestite con testi sacri, magari eseguiti anche bene. Io ovviamente preferivo la Messa di don Lorenzo Perosi o il canto gregoriano ma non potevo criticare l’intenzione e devo dire che l’inserimento di questi canti in qualche modo ha coinvolto altri giovani e alla fine un risultato è stato ottenuto».

Non pare però che la chiesa sia il luogo più adatto per ascoltare i Beatles o gli Eagles, sia pure “travestiti”…

«La critica è giusta ma è anche vero che se si critica troppo pesantemente si rischia di allontanare dei giovani per i quali questa potrebbe essere una porta attraverso la quale cominciare un percorso. Per questo resto abbastanza cauto pur dovendo scindere il giudizio estetico da quello, diciamo, umano. Dal punto di vista estetico chiaramente ritengo che avvicini più a Dio una melodia cantata come si deve e un coro polifonico rispetto a delle chitarre e delle voci non educate, tuttavia non possiamo rischiare di creare una esclusione. Anche se non amo il termine “inclusivo”, spesso abusato, perché non si può includere ciò che non è accettabile e spesso ci sono dei canti in chiesa che sono inaccettabili; esibizioni fini a sé stesse, al solo scopo di mettersi in mostra. Talvolta ho visto dei sacerdoti esibirsi in performance molto discutibili e da stigmatizzare, perché il sacerdote deve dare l’esempio. Se accetto un sacerdote che permette a un giovane di dare il proprio contributo alla celebrazione liturgica con il canto e la chitarra accetto meno volentieri il sacerdote che si esibisce per il gusto di essere trasgressivo o non convenzionale, per attirare tutto sommato l’attenzione su di se»

Pare di capire quindi che lei non è del tutto contrario al canto “moderno” nella liturgia purché sia almeno ben eseguito e con testi non banali.

«Non è questione di essere favorevoli o contrari ma in questo caso non potendo io decidere cosa si può o non si può eseguire in chiesa mi limito a prendere atto del tipo di musica che viene fatta e mio astengo dal giudizio, purché sia fatta in buona fede e non disturbi troppo il raccoglimento che in una chiesa ci deve essere»

Lei non è un liturgista ma è sicuramente uno che se intende, anche perché di brani sacri ne ha scritti. Quale dovrebbe essere la caratteristica della musica e del canto sacro, per essere veramente tale?

«Intanto deve essere scritta bene. Non importa se a tre o quattro voci o che sia una monodia; basta che crei un ponte verso Dio. Ovviamente la musica liturgica classica, con la sua polifonia e intrecci melodici, è quella per ovvie ragioni più indicata. Sarebbe bello poter fare una sintesi durante la Messa, con alcune parti in cui si eseguono canti più semplici e altre dedicate ad esecuzioni più elevate. Una ricetta non ce l’ho ma se dovessi dar retta al mio gusto estetico eseguirei Bach, Mozart e altre composizioni di questo tipo. Tuttavia se sfortunatamente un gruppo di giovani chiedesse al proprio parroco di cantare certe canzoni i cui testi non siano disdicevoli io non mi opporrei. Naturalmente a patto il risultato sia accettabile».

Il più delle volte si giustificano certe canzonette con la necessità di “animare” la Messa dei ragazzi. Ma lei crede, in base alla sua esperienza, che un tipo di musica e canto, come ad esempio il gregoriano, sia veramente roba da “indietristi” o da vecchi bigotti?

«Per quanto mi riguarda non tutto ciò che viene dopo è progresso. Anzi, delle volte se si torna indietro si va avanti e in campo musicale liturgico da un punto di vista prettamente musicale c’è stato un regresso. E’ ovvio che un coro a quattro voci e una Messa di Palestrina o Perosi sia avanti mille anni luce rispetto ad una canzone moderna per quanto rivestita. Il problema è che al giorno d’oggi sono i pastori che seguono il gregge e non viceversa. Questo è il problema principale, per cui siamo arrivati al punto che un parroco teme di dire no ai giovani per paura che smettano di frequentare la parrocchia. E’ triste ma è reale. Un sacerdote ad un certo momento deve pensare alle anime o alle orecchie? Così cerca di fare una sintesi cercando di non fare diventare divisivo anche l’argomento della frequenza alla Messa. Io non credo la Messa abbia bisogno di essere “animata”, ma che debba essere meditata e questo chiede l’inserimento di musiche adatte, ovvero scritte apposta per questa funzione. Poi ci sono anche altre istanze da non bocciare aprioristicamente, per non rischiare fratture tra fazioni quando l’ecclesia deve essere la comunità di tutti».

Secondo lei perché in tante chiese ha fatto irruzione così tanta bruttezza? E’ il popolo che non è più educato al bello o sono i preti ad aver tradito per primi la bellezza e la profondità della musica sacra?

«il problema riguarda tutta la popolazione, laica ed ecclesiastica. Nelle scuole l’educazione musicale è messa non in secondo ma quarto piano pertanto è impossibile pensare che nelle scuole si insegni il gusto al bello. In televisione poi sono proposti modelli musicali di basso livello pertanto è evidente vi sia una certa situazione, che sarà difficile cambiare; almeno fino a quando le persone non avranno il desiderio della bellezza sarà un vero problema. Un tempo i concerti duravano cinque o sei ore, oggi un pezzo se dura più di tre-quattro minuti è ritenuto lungo, perciò bisogna mettere in conto una diversa percezione»

Una volta era la Chiesa che educava al bello e metteva a disposizione dei ceti più umili l’arte più sublime e la musica più bella. Non sarebbe il caso debba essere nuovamente la Chiesa a rieducare alla bellezza?

«Il fatto è che un tempo l’arte era ars artis, lavoro. La Chiesa non offriva l’opera d’arte pensando che fosse un’opera d’arte perché allora la chiesa era veramente la casa di Dio e i dipinti di Giotto ad Assisi nessuno immaginava sarebbero diventati oggetto di studio per i musei, che peraltro non esistevano. Semplicemente gli affreschi erano offerti ai fedeli perché conoscessero attraverso le immagini la vita di Francesco. Perché oggi non si fanno più fontane monumentali come la Fontana di Trevi a Roma? Perché un tempo portare l’acqua nelle città era un evento celebrato con le fontane. Oggi l’acqua l’abbiamo a casa e non abbiamo bisogno di un rubinetto che sia anche un capolavoro ma che sia essenziale e funzionante. Lo stesso per la musica. Un tempo non c’erano disc jokey, fonografi o MP3 e quando c’era un evento da celebrare si scrivevano appositamente canzoni e tutto era eseguito dal vivo. La musica era necessaria alla società, come l’architettura, la pittura e l’arte in genere. La Chiesa offriva la bellezza perché era congenita e necessaria alla espressione umana. Come senza le fontane non ci sarebbe stata l’acqua, senza gli affreschi di Giotto non si sarebbe potuta tramandare la vita di Francesco. Oggi dell’arte non abbiamo più bisogno e non fa più parte delle necessità sociali; è diventata uno sfizio e un intrattenimento. E’ difficile quindi tornare indietro. Bisognerebbe far capire che abbiamo ancora bisogno della bellezza e la Chiesa, perché no?, dovrebbe ricominciare a offrire il proprio immenso patrimonio musicale che rimane il più delle volte chiuso in un cassetto per essere tirato fuori solo nelle grandi occasioni».

Qui l’intervista integrale

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Ammiro il discorso molto diplomatico del Maestro Burbi, che personalmente stimo molto, però come religiosa, preferisco un canto più Religioso. Nella mia comunità, purtroppo, si è dato molto spazio al canzonettismo.. canti mediocri sia musicalmente che nel testo, che di preghiera non hanno proprio nulla. Di chi la colpa di un modo piuttosto mondano di “pregare”? La stessa salmodia, ahimè, che strazio. Ringrazio, comunque, il Maestro, del suo chiaro pensiero.
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