Un piano pedagogico-culturale comunista-leninista ammantato di retorica liberale
di Alvise Parolini
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IL DATAISMO: UN PROGETTO DI TEOLOGIA BIOPOLITICA
Più di due mesi fa, il sito web ufficiale dell’autorità amministrativa italiana indipendente Garante per la protezione dei dati personali, con un comunicato pubblicato in data 31 marzo 2023, aveva disposto il blocco operativo alla piattaforma ChatGPT, sviluppata e gestita dalla società statunitense OpenAI, a causa di una “perdita di dati (data breach) riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati al servizio a pagamento”.
Non siamo di fronte al primo caso, negli ultimi anni, di un massiccio furto di dati personali all’interno del mondo digitale: dal 2018 fino al 2021, si registrarono provvedimenti penali per hackeraggio ai danni di circa 798 milioni di account di Facebook-Meta, tenendo anche solamente in considerazione le violazioni ufficialmente imputate all’azienda: dallo scandalo “Cambridge Analytica” del 2018, ai big crushes della primavera (mezzo milione di utenti) e dell’autunno del 2021 (del quale fu protagonista l’hacker ucraino Alexander Solnchenko).
La nota del Garante evidenziava come “l’assenza di qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti esponga i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza”.
Ecco, dunque, come il grande leviatano della società liquida, attraverso una tecnocrazia soft, stia progressivamente realizzando il piano pedagogico-culturale del comunismo leninista, pur ammantandosi di retorica liberale: attraverso il prurito del “nuovo”, suscitare una tale attrattiva alla scienza umana da spingere, a poco a poco, le nuove generazioni al culto della tecnica, la tecnolatria, e gli sviluppi delle intelligenze artificiali paiono proprio presentarsi come ottime premesse per il raggiungimento di tale obiettivo.
Il regime tecnocratico, non sufficientemente pago del proprio potere-ombra, brama la propria celebrazione, la propria esaltazione e glorificazione presso le masse popolari, a tal punto da pretendere di sostituire, a livello psicologico, il ruolo del genitore e di Dio stesso, come, del resto da programma:
“La società borghese considera il bambino come proprietà dei genitori. […] Dal punto di vista socialista, questo diritto è infondato. […] Bisogna dunque biasimare duramente ed eliminare la pretesa dei genitori di servirsi dell’educazione familiare per trasmettere le proprie ristrette vedute ai loro figli. […] L’avvenire è dell’educazione sociale. Questo sistema educativo permetterà alla società comunista di formare nel modo migliore la generazione futura, con il minimo dispendio di tempo e d’energie” (Bucharin-Preobrazenskij, L’A.B.C. del Comunismo, 1919).
Quale tipo di uomo desiderava formare il marxismo-leninismo prima e l’ibrido capital-comunistico oggi? Un uomo “migliore”, formato “con il minimo dispendio di tempo e d’energie”?
L’uomo-dio. Antitetico dall’uomo divinizzato del cammino cristiano.
L’antropologo transumanista Yuval Noah Harari, nel suo libro dal titolo paradigmatico Homo Deus. Breve storia del futuro (2015), prevede che il processo di trasformazione evolutiva dell’essere umano porterà al superamento dell’Homo Sapiens, reso un giorno non lontano “obsoleto” da una nuova emergente specie cyborg all’interno di un orizzonte filosofico-religioso definito dall’autore “dataismo”, non appena gli algoritmi che gestiscono Google, Facebook ed Amazon si evolveranno in oracoli con pretesa di onniscienza. Dico “pretesa” poiché venendo presentata l’intelligenza artificiale come capace dunque di “intellezione assoluta”, essa non potrà però dimostrare di essere trascendente rispetto al pensiero ed all’agire umano, dipendendo, per quanto sofisticata e potente possa apparire, continuamente da entrambi, come emerge dal film distopico “Matrix”.
Inverandosi gli allarmi mossi da alcuni filosofi di formazione marxista, ma abbastanza acuti da denunciare profeticamente gli abusi del cosiddetto biopotere – come ieri esordiva il francese Michel Foucault (1926-1984) ed oggi continua, a sostegno della resistenza antimondialista ed antiscientista, il veneziano Giorgio Agamben –, sarà il famoso “microchip”, sottopelle o addirittura impiantato all’interno della scatola cranica, che analizzerà con costante precisione i dati biometrici del corpo ad esso direttamente connesso ed avendo la possibilità di stimolare ed influenzare le scelte della persona.
Il candidato “post-uomo” sarà chiamato, in forza di un di un intrusivo ma convincente brainwashing mediatico, ad adeguarsi obbligatoriamente alle esigenze di sicurezza e di prevenzione promosse dallo Stato, per mezzo di esortazioni presentate ad ogni cittadino come di interesse pubblico. Pure i riluttanti saranno costretti a collegarsi per poter sopravvivere, tollerati dal sistema di controllo nella misura in cui riusciranno a mortificare la propria ribellione.
Il lugubre panorama che si va a configurare viene ad assumere caratteri teologici, con una propria rivelazione (percezioni ed immagini suscitate stimolando la corteccia celebrale), un proprio decalogo (ripetuto a mo’ di adagio o di un mantra sia a livello conscio che inconscio), una propria ascesi (necessità percepita di perfezionare il culto al proprio idolo), come anche un proprio vangelo (stimolo missionario come piena realizzazione dell’oltreuomo nietzschiano).
Ciò che il giurista tedesco Karl Schmitt (1888-1985) definì col termine “teologia politica” – ovvero il fatto che lo Stato si proponga come un modello metafisico utilizzando concetti teologici secolarizzati –, potrebbe essere qui esasperato, chiaramente in chiave polemica, attraverso la denuncia di un progetto di “teologia biopolitica”. Il perno si sposterebbe, dunque, dall’ambito della gestione efficiente del consenso esteriore delle masse a quello, comunque accarezzato dagli stessi regimi nazisti e comunisti, del dominio capillare su tutti gli atti interni, di volontà, dell’uomo.