È necessario rifiutare ogni forma di panteismo e salvaguardare la trascendenza di Dio
di Daniele Trabucco e Filippo Borelli
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METAFISICA TOMISTA VERSUS METAFISICA SCOTISTA
San Tommaso d’Aquino (1225-1274), il più grande filosofo e teologo cattolico, nonchè il rappresentante più autorevole della scolastica medioevale, fin dall’opera giovanile “De ente et essentia” ha elaborato la sua “filosofia dell’essere” (Abbagnano), la sua metafisica: in ogni ente reale dobbiamo distinguere l’essenza (o natura o “quidditas”, composta sia dalla materia, sia dalla forma), ciò che rende quell’ente quello che è, o meglio ciò che è espresso nella definizione della cosa, e l’atto d’essere (in lingua latina “actus essendi”), ovvero, per dirla con il padre Cornelio Fabro (1911-1995), l’atto intensivo d’essere che è qualcosa di più della sua semplice esistenza (concetto, peraltro, non presente nella riflessione teoretica tomista), ma “la perfezione di ogni perfezione” (cfr. “De potentia”), l’atto della sostanza tutta intera.
L’essenza, dunque, è in potenza rispetto all'”actus essendi”. Per questo passaggio, spiega l’Aquinate, è necessario l’intervento creativo di Dio in cui solo essenza e “actus essendi” coincidono (si veda il libro dell’Esodo al capitolo 3,14) diversamente dalle creature che “partecipano” dell’essere di Dio. È questa la nota teoria della analogia dell’essere che consente a Tommaso di rifiutare ogni forma di panteismo, salvaguardando in questo modo la trascendenza di Dio.
Viceversa, il filosofo Duns Scoto (1266-1307), beatificato nel 1993 da Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005), ritiene, contro la distinzione tomista sopra menzionata, che, mentre il nostro intelletto può essere certo che il primo principio sia un ente, un qualcosa che esista, dubita, però, che questo sia finito o infinito, creaturale o divino, dal momento che questi concetti non sono inclusi in quello primo (cfr. Ord. I, d. 3, p. I, q. I-II, n. 27): è la teoria dell’univocitá dell’ente.
Ora, diventando totalmente analitica, la nozione di ente risulta totalmente vuota, pura determinabilità indeterminata. Per riscattarsi, allora, da questo esito letale, la metafisica, secondo la lezione fabriana, deve capire che l’ente, come insegna Tommaso, non si riduce né all’essere-in-atto della coscienza giudicativa pura, né all’essenzialità indeterminata del contenuto puro, perché entrambi sono fondati e non sono il fondamento; perciò bisogna ritrovare l’originale sinteticità dell’ente che compone sempre una essenza con il suo essere-in-atto reale, i quali dipendono a loro volta da un atto di essere irriducibile sia alla “quiddità” che esso fa essere, sia all’atto per cui l’ente stesso viene colto dall’intelletto.