Stato di emergenza: è tempo di aprire gli occhi
di Paolo Gulisano
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È TEMPO DI APRIRE GLI OCCHI, DI USCIRE DA QUELLA SORTA DI STATO DI IPNOSI REALIZZATA ATTRAVERSO I MEDIA E I SOCIAL
Abbiamo già dedicato un editoriale al fenomeno del grande reset pandemico, in particolare con riferimento all’esame di coscienza che è necessario che venga compiuto in campo cattolico, dove la gerarchia ecclesiastica fece una scelta del tutto acritica di adesione alle parole d’ordine e alle direttive che venivano dalle centrali di potere. Questo esame di coscienza, approfondito, attento, lucido, viene ora da un grande giornalista, per lunghi anni vaticanista e vicino a papa Benedetto XVI: Aldo Maria Valli, che ha appena dato alle stampe, per l’editrice Fede&Cultura, il volume Stato di emergenza.
Questo libro non è solo una preziosa testimonianza/documentazione per non dimenticare che cosa è avvenuto dopo il 1 gennaio 2020, ma anche un aiuto fondamentale per capire che cosa è realmente successo, e cosa potrà ancora succedere. E’ tempo di aprire gli occhi, di uscire da quella sorta di stato di ipnosi realizzata attraverso i Media e i Social. Valli analizza la tanta grossolanità di argomentazioni, ragionamenti e atteggiamenti di questi, che portarono ad una psicosi collettiva, indotta non solo da un certo tipo di informazione, ma anche da un certo tipo di condotta politica. Valli si chiede se era possibile che nessuno avesse avvertito il bisogno di pensare con la propria testa, anziché lasciarsi abbindolare tanto facilmente da spiegazioni che non spiegano e tesi precostituite? Possibile che ci fosse stata tanta disponibilità a cadere in preda alla paura che veniva inoculata quotidianamente?
La narrazione funzionale al dispotismo paternalista con cui il potere assicurava i sudditi che era in corso una vera e propria apocalisse biologica ma che ci avrebbe pensato lo Stato d uscirne con l’aiuto di aziende multinazionali filantropiche che avrebbero presto messo a disposizione una sorta di magico antidoto, si concentra sulla paura della malattia. Più ha paura di perdere la salute, più la pubblica opinione è disposta a trasformarsi in una immensa sala di ospedale, scrive Valli, “dove l’autocrate svolge il ruolo di prete-medico officiante il rito necessario alla guarigione.” Durante il periodo dello stato di emergenza, abbiamo visto che ciò che importa non è tanto l’ampiezza reale del pericolo, ma l’ampiezza percepita. Aldous Huxley, nella prefazione dell’edizione del 1946 di Brave New World, scrisse che “la rivoluzione veramente rivoluzionaria non si farà nel mondo esteriore, ma nell’anima e nella carne degli esseri umani”.
L’arrivo del virus, l’impreparazione morale fu ancora più evidente di quella dimostrata dalla politica e dal sistema sanitario. Quando tutta l’attenzione è rivolta al corpo in senso materialistico, come se si trattasse semplicemente di una macchina, ci si espone fatalmente al rischio della manipolazione. La pandemia, e torniamo a come è stata affrontata dalla Chiesa, trasse tutta la sua forza non tanto dalla sua oggettiva pericolosità, ma dalla debolezza spirituale dell’uomo contemporaneo.
In quel tempo, all’inizio delle chiusure che andarono sotto il nome di lockdown, sui balconi e alle finestre apparvero cartelli e striscioni che dicevano “Andrà tutto bene”. Parole che apparentemente volevano fare coraggio, ma tradivano un profondo senso di impotenza,esprimevano inoltre un insopportabile sentimentalismo che si tramutava in acquiescenza. L’onestà intellettuale è merce rara, così come la disponibilità a esercitare lo spirito critico. Più facile, più comodo, più rincuorante è aderire alla narrazione imposta dai persuasori, più o meno occulti che siano. Pur di lasciare che siano altri a pensare e a decidere per noi, si preferisce autoconvincersi che è giusto così e che a noi tocca solo obbedire.
L’anno della paura nera, il titolo che il Censis diede in quel tempo al suo rapporto sullo stato del Paese, fotografò piuttosto bene la situazione con questo sottotitolo: Meglio sudditi che morti: le vite a sovranità limitata degli italiani e le scorie dell’epidemia. Eravamo disposti a rinunciare alle libertà fondamentali perché terrorizzati. E la vaccinazione era diventata motivo di discriminazione. Se non l’accettavi, se obiettavi che i vaccini non avevano superato i test di affidabilità, se provavi a spiegare che prima di ricorrere a farmaci ancora non sufficientemente testati c’erano molte possibilità di intervento (le cure c’erano, così come i medici che le applicavano), se provavi a osservare che i fondi ingenti destinati all’acquisto dei vaccini potevano essere destinati a rinforzare il sistema sanitario e a consentire cure precoci, diventavi uno da scomunicare in senso letterale: da mettere fuori dalla comunità, dal consesso civile.
L’opinione pubblica si mostrava in preda a una dissonanza cognitiva secondo la quale la parola degli “esperti” che sostenevano le politiche di chiusura e di riduzione delle libertà non poteva essere messa in discussione. Eravamo alle prese con un fideismo cieco, che rifiutava di considerare la realtà per quella che era. Le autorità continuavano a presentare cifre in termini assoluti, evitando le percentuali e guardandosi dal fornire punti di riferimento e possibilità di confronto. Le cifre servivano ad alimentare il clima di allarmismo, a sua volta funzionale alla legittimazione di una serie di provvedimenti punitivi. Sia nei mass media sia nel confronto quotidiano tra amici, conoscenti e familiari, il dissenso fu patologizzato. Se non concordavi con la narrazione dominante eri un essere disgustoso, meritevole solo di disprezzo. Mentre chi aveva introdotto politiche punitive e inefficaci non era minimamente disposto a riconoscere i propri errori, colui che osava porre domande e sollevare dubbi era considerato un pericolo pubblico. Il fideismo imperante richiedeva che i grandi sacerdoti delle politiche di chiusura fossero posti su un piano intoccabile.
Aldo Maria Valli scrive che in quei momenti cercò di aggrapparsi al Magistero della Chiesa, che da sempre aveva avuto un pensiero chiaro: non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene. Ma gli uomini di Chiesa, scrive, si dividevano ormai in due categorie: quelli che si erano eclissati e quelli che dimostravano di credere ciecamente nel dio vaccino. In quel tempo dominava l’irrealtà. E chi cercava di mantenere una certa lucidità era additato come nemico. Era stato eretto un muro. La nuova Chiesa progressista, sempre pronta a parlare di discernimento e accoglienza, sempre inclina a dichiararsi contraria a ogni forma di “rigidità”, aveva dogmatizzato la narrazione dominante. Riflettere su quanto è accaduto servirà dunque a tenere desta anche per il futuro la nostra coscienza e la nostra mente.