In Italia per fare figli bisogna essere degli eroi
di Pietro Licciardi
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SECONDO UNA INDAGINE DI IREF-ACLI LE FAMIGLIE MONOREDDITO CON FIGLI HANNO UN FATTORE DI RISCHIO POVERTA’ RELATIVA 4,3 VOLTE MAGGIORE DI CHI NON HA FIGLI
Finalmente in Italia si è cominciato a parlare dei rischi connessi alla denatalità e di come invertire la tendenza ma tra il dire e il fare, come è noto, c’è di mezzo il mare, soprattutto se a governare sono i partiti di sinistra e centrosinistra i quali hanno fin qui dimostrato con dovizia di fatti che a loro dei figli e della famiglia non interessa un fico secco.
Adesso che il vento della politica ha finalmente cambiato direzione si spera che arrivino anche i fatti. Primo problema da affrontare è sicuramente quello che vivono tutte le famiglie con figli a carico ma che solo adesso, forse, sta per essere portato all’attenzione di chi ha responsabilità sociali e di governo: chi decide di diventare mamma e papà ha molte più probabilità di cadere in povertà, o quantomeno vedere sensibilmente ridotto il proprio tenore di vita; specialmente se è monoreddito.
E’ stata infatti presentata il 16 Maggio a Roma dall’Iref, l’istituto di ricerche sociali delle Acli, una ricerca effettuata su un panel di 668.107 dichiarazioni dei redditi presentate dal 2020 al 2022 da nuclei familiari ai Caf- Acli, distribuiti in tutte le regioni italiane, dalla quale risulta tra l’altro che fissato a 1 il rischio di povertà relativa di una famiglia bireddito, ovvero in cui entrambi i coniugi lavorano, i nuclei monoreddito hanno un fattore di rischio di 5,4, se poi vi sono carichi familiari il fattore di rischio diventa 4,3, sempre facendo 1 il fattore di rischio di chi non ha figli. Naturalmente la situazione si aggrava e di parecchio, anche se non è stato fatto un calcolo quantitativo preciso, per i nuclei monoreddito con carichi familiari, i quali si vedono sommare il fattore di rischio. Se oltretutto si vive al Sud c’è un ulteriore 2,8 col quale fare i conti. Se a mantenere la famiglia con il suo reddito è una donna, magari là dove l’uomo ha perso il lavoro o in caso di divorzio e separazione, il suo fattore di rischio diventa 4 e in presenza di altri fattori, come figli a carico o residenza in una regione del sud, la povertà diventa una quasi certezza
Per rendere ancora meglio l’idea la ricerca Iref ha mostrato che se i nuclei bireddito e senza figli hanno dichiarato nei tre anni in esame circa 32mila euro i nuclei bireddito con figli hanno dichiarato poco più di 22mila euro, che diventano un po’ più di 13mila euro per le famiglie monoreddito. Più “ricchi” di queste ultime perfino i separati o divorziati con figli, che hanno dichiarato circa 17.500 euro. C’è tuttavia da considerare che nel 2020 e 2021 hanno imperversato le restrizioni causate dalla pandemia, che hanno influito non poco sulle finanze degli italiani, ma insomma, il divario c’è ed è lampante.
Dai dati che Iref ha raccolto dai Caf Acli risulta inoltre che ben 58.708 famiglie (l’8,8%) erano nel 2020 in condizione di povertà relativa, mentre nel 2021 si sono rifotte di appena poche unità passando a 50.914 (7,6%). Sono infatti uscite da questa condizione 20.660 famiglie (il 3,1%) ma ne sono nel frattempo entrate 12.866. Tuttavia può ritenersi fortunato chi riesce a restare in questa situazione perché vi è anche un concreto rischio di passare dalla povertà relativa a una situazione di povertà vera e propria. Rischio che varia con l’età e che a quanto pare è maggiore per i giovani i quali fino a 29 anni hanno un fattore di rischio 3,5 posto che gli over 60 – i quali hanno ormai raggiunto la pensione -, hanno un fattore 1.
Secondo il ricercatore dell’Iref Gianfranco Zucca, coautore della ricerca assieme ad Alessandro Serini, sempre di Iref, in collaborazione con Enrico Bacozzi dei sistemi informatici del Caf-Acli, la questione non si esaurisce qui e probabilmente in futuro ci sarà da approfondire le dinamiche interne alla condizione di povertà delle famiglie
Tuttavia già con i dati di questa indagine, che rientra nell’ambito di una iniziativa organizzata dall’Area famiglia delle Acli, c’è ben poco da stare allegri, perché se le condizioni rimangono queste si avrà un bel dire “torniamo a fare figli”, ma chi sarà tanto incosciente, o eroico, da pensare di procreare? Specialmente tenendo conto che se si vuole invertire la tendenza suicida in atto si dovrebbe tornare ad avere famiglie non con uno o due, ma con minimo tre pargoli.