Tappato il “buco” ucraino se ne aprirà uno in Medio Oriente?

Tappato il “buco” ucraino se ne aprirà uno in Medio Oriente?

a cura di Pietro Licciardi

IN QUESTO MONDO ORMAI CAOTICO SI POSSONO APRIRE NUOVE CRISI OVUNQUE. IL PROBLEMA DEI CRISTIANI IN UCRAINA, MEDIO ORIENTE E IN OCCIDENTE. L’ANALISI DI MIRKO MUSSETTI

Con Mirko Mussetti, analista di geopolitica e geostrategia, autore di diversi libri e saggi, nonché collaboratore della rivista Limes e Inside Over, InFormazione cattolica analizza gli attuali nuovi scenari europei e mediorientali a un anno dall’inizio del conflitto russo-ucraino.

Dottor Mussetti, l’Onu sembra essere il grande assente, assieme all’Europa, in questo conflitto e nelle fasi che lo hanno preceduto. La dobbiamo dare per spacciata o magari riformata questa organizzazione può tornare ad essere un arbitro sulla scena internazionale?

«Secondo me l’Onu in questo momento ha poche carte da giocare, se non altro perché la Russia è un membro permanente del Consiglio di sicurezza, oltre al fatto che non dispone di proprie forze militari in grado di frapporsi tra le due parti e imporre una pace. Tuttavia l’Onu può alleviare gli aspetti collaterali del conflitto; pensiamo all’iniziativa sul grano, ovvero permettere ai cereali ucraini di lasciare il Paese attraverso il porto di Odessa. Ciò è avvenuto grazie all’iniziativa del segretario generale Antonio Guterres in collaborazione con la Turchia, sovrana degli stretti. Non dimentichiamoci che l’Ucraina è tra i principali esportatori di cereali e il primo in assoluto di olio di girasole. Gran parte dei paesi di Medio oriente e Africa sono esposti a questa granaglia per alimentare la propria popolazione quindi l’intervento dell’Onu è stato molto prezioso. Ma è un intervento che deve essere coltivato; ad esempio l’ultimo accordo sul grano scadeva a metà Marzo ed è stato prorogato di soli due mesi, questo perché a Maggio si è alle porte del raccolto estivo e fino a quel momento la Russia potrà fare pressioni e cercare di intavolare altri negoziati, magari per chiedere a sua volta di esportare il suo grano sottraendo i prodotti agricoli russi alle sanzioni. Diciamo che l’Onu non può risolvere il conflitto ma può alleviarne molti degli effetti nocivi. Gran parte del mondo, soprattutto quello meno sviluppato, ha bisogno delle derrate euroasiatiche, anche russe. Un altro modo in cui le Nazioni Unite sono intervenute è attraverso la propria agenzia internazionale per il nucleare. La questione attorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia è in qualche modo mediata e tenuta sotto osservazione da un organismo dell’Onu».

Gli Stati Uniti se ne sono andati dall’Afghanistan, hanno incassato un quasi nulla di fatto in Iraq e col pretesto della lotta all’Isis hanno sconquassato la Siria. Sono ancora affidabili come arbitri internazionali?

«Gli Stati Uniti stanno cambiando approccio da un punto di vista concettuale: prima ragionavano in modo imperialista, adesso in modo imperiale. Cosa voglio dire?  Prima esportavano il loro mondo di vedere in tutto il mondo senza limiti mentre adesso cercano di ponderare le energie fissando dei paletti, i confini della propria sfera di influenza per capirci. La dispendiosissima guerra in Afghanistan aveva un senso continuarla? Evidentemente no e gli Usa hanno deciso che quelle energie era meglio riservarle ad altri scenari. Ad esempio gli americani temono di dover far fronte ad altre crisi mondiali in zone per loro più strategiche; penso all’Indopacifico, a Taiwan e a molte altre aree. Come fanno a diventare più imperiali? Cercano di consolidare la sfera di influenza più culturalmente vicina a loro: l’Europa occidentale, ecco perché gli Stati Uniti tengono molto al consolidamento del fronte nord della Nato, per fissare uno spartiacque tra l’occidente e il mondo russo e cercano di farlo nel modo più razionale possibile, tirandosi indietro da altre parti del mondo un po’ meno strategiche. Sicuramente le guerre asimmetriche degli ultimi trent’anni hanno indebolito la diplomazia statunitense, lo vediamo in queste settimane in cui Iran e Arabia Saudita stanno addirittura normalizzando i loro rapporti grazie all’intervento della Cina. Gli Stati Uniti dunque non hanno ottenuto solo successi ma hanno anche subito qualche smacco in determinate parti del mondo, a partire dal Medio oriente. Perché questo? Perché stanno facendo delle scelte consapevoli: prima concentriamoci sull’Europa poi sul resto del mondo. Prima del Medio oriente venne addirittura l’Indopacifico, pensiamo all’alleanza tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti per cercare di contenere la Cina. Capiscono che non possono arrivare ovunque ma possono difendere la loro sfera di influenza. Anche a livello di parole d’ordine siamo ormai arrivati a west, contro il resto del mondo, o per dirlo meglio: democrazie contro autocrazie. Lo si vede leggendo gli articoli delle riviste di scienza politologica americane».

La Russia non voleva la Nato alle porte ma dopo l’invasione, o la tentata invasione, dell’Ucraina c’è la rincorsa ad entrare nell’alleanza. Putin ha sbagliato i conti a quanto pare…

«Sicuramente per tutto il 2021 le parole chiave di Putin erano le linee rosse, questo per fare capire alla Nato: non espandetevi verso i nostri confini. Oggi vediamo che la Nato è effettivamente a ridosso dei confini della federazione russa, quindi si tratta di una sconfitta politica di Putin abbastanza indiscutibile, tuttavia all’epoca cercava la neutralità dell’Ucraina e cercava di forzarla anche disponendo le truppe sul suo confine. Lo stesso negoziatore Sergei Riabkov disse che se continuava così la Russia sarebbe stata costretta ad una “mossa tecnico-militare”. Noi non gli abbiamo creduto e alla fine la mossa tecnico-militare abbiamo scoperto essere una vera e propria guerra. Il peccato originale sta nel fatto che nel 2021 abbiamo detto no alla neutralità e oggi stiamo qui a parlare della neutralizzazione dell’Ucraina. Di sicuro comunque vada a finire per l’Ucraina sarà una fregatura, a partire dalla ricostruzione che con ogni probabilità non ci sarà, tanto per capirci. Per quanto riguarda l’allargamento a est della Nato è una sconfitta per Putin ma c’è da dire che prima della sicurezza c’è qualcosa che vale ancora di più per le nazioni ed è la percezione della sicurezza. La Finlandia è entrata nella Nato per sentirsi più sicura e non perché lo sarebbe diventata realmente. Entrando nella Nato, per cominciare, può essere un obiettivo della dottrina nucleare russa, cosa che prima non era; poi avrà un confine molto più militarizzato, che prima non aveva. L’aumentata percezione di sicurezza è data dal “sacro” articolo cinque della Nato, che in caso di aggressione fa intervenire in soccorso tutti gli altri membri dell’alleanza. In realtà da un punto di vista geostrategico la Finlandia è sacrificabile come tutte le altre repubbliche baltiche. La strategia Nato per queste repubbliche – dove non sono presenti basi permanenti – infatti prevede che in caso di invasione russa avrà centottanta giorni di tempo per riconquistarle. Molto probabilmente sarà così anche per la Finlandia. Quindi non è aumentata la sicurezza ma solo la percezione che ha della propria sicurezza, a discapito di altro; ad esempio sia sotto il profilo economico che culturale. Sotto il profilo economico di fatto la Finlandia si trova in una periferia dell’Europa e i voli aerei verso la Cina non possono più attraversare la Russia, anche le rotte mercantili diventeranno più dispendiose con un grande problema economico per il Pese. Prima la Finlandia poteva collegarsi con l’Estonia mediante la ferrovia, ora che è entrata nella Nato non più. Dal punto di vista culturale invece la Finlandia ha cominciato a tirare su un muro verso la Russia ma così facendo divide la Carelia e si separa i careliani, che sono una popolazione di lingua finnica e culturalmente legati alla Finlandia; in tal modo rinuncia ad un pezzo di anima, figuriamoci gli abitanti della Moldovia verso il Volga. La Finlandia ha fatto delle rinunce economiche e culturali molto forti per sentirsi strategicamente più sicura; questa è la situazione. La sicurezza si paga».

Considerato il rimescolamento che c’è stato sul piano internazionale con la guerra russo-ucraina non è che una volta tappato il buco in Europa se ne apre in altro in Medio oriente, considerata la situazione in Libano e in Siria? Penso soprattutto alla sorte dei cristiani

«Il mondo è talmente caotico che possono scoppiare crisi grossomodo ovunque, questo è il grosso problema che riguarda anche i cristiani, sia in Ucraina che in Medio oriente. Abbiamo visto in Ucraina la crisi scismatica per il controllo dei monasteri iniziata nel 2018 e che si sta protraendo oggi col tentativo di impossessarsi di monasteri appartenenti al patriarcato di Mosca. La chiesa numericamente più grande d’Ucraina oggi e sotto attacco ma per motivi geopolitici e nazionalisti: la chiesa ortodossa autocefala di Kiev cerca di usurpare i monasteri e allontanare il clero sgradito. Questo crea anche situazioni incresciose: ci sono madri che non riescono a celebrare il funerale del figlio morto in Dombass o monasteri vengono dati alle fiamme. Per quanto riguarda i cristiani in Medio oriente il problema nasce da noi occidentali, perché con l’abbattimento dei grandi stati monocratici e di polizia come Iraq e Siria si è ceduto il passo ad altre forze politiche. Nel regime di Saddam Hussein lo stesso Saddam era ateo mentre il suo vice Tareq Aziz era cristiano, quindi i cristiani convivevano nelle strutture di potere del Medio oriente. Oggi non più, perché frange religiose stanno cercando di trasformare la religione in politica mentre prima i regimi anche dittatoriali non avevano interesse ad avere forme di potere alternative. Prima il Vaticano poteva parlare con Bagdad o Damasco, oggi fa più fatica, perché non sa a chi rivolgersi. Prima esisteva uno Stato, per quanto a noi sgradito, con delle regole, oggi non più- Dopo l’11 Settembre abbiano creato molti più problemi per i cristiani in Medio oriente. Prima il cristiano magari benestante e borghese lavorava dentro gli apparati statali, oggi non più e la cosa è ancor più complicata dal nostro nuovo modo di concepire l’Occidente. Penso ad esempio al fatto che abbiamo appena celebrato la Pasqua. Il famoso motore di ricerca Google di solito ad ogni festività, persino in occasione della giornata nazionale del gatto, crea delle grafiche particolari e divertenti, ma per la Pasqua la pagina è rimasta bianca, quasi a dire che non è importante, anche se celebrata da miliardi di persone nel mondo. Quindi il vero problema che abbiamo è che l’Occidente è anticristiano, il quale celebra giornate religiose minori di altre religioni ma non la più importante della religione che contraddistingue l’Europa. Siamo noi i primi che in nome della laicità rinunciamo a parti importanti della nostra cultura, anche religiosa. Quindi prima di andare a cercare i problemi dei cristiani in Medio oriente dovremmo capire che cosa resta del cristianesimo in Occidente. Il cristianesimo è anche un’arma politica, pensiamo ai politici americano che cercano il voto cattolico o di come i protestanti cercano di insinuarsi in un continente storicamente cattolico come il Sudamerica. E’ una situazione complessa quella dei cristiani, che sono in sofferenza un po’ ovunque».

C’è chi ritiene Putin un nostalgico che vorrebbe ripristinare i vecchi confini sovietici, chi invece un nuovo za. Lei per quale delle due versioni propende?

«Sicuramente Putin non è un comunista, sicuramente la sua carriera si è svolta all’interno dell’Unione sovietica, tuttavia secondo me i suoi riferimenti storico sono lo zarismo, sottolineati dalla ritrovata importanza che assegna all’ortodossia russa. L’Unione sovietica promuoveva l’ateismo mentre sotto l’impero degli zar la religione ortodossa era unificante. Nel panslavismo promosso da Putin il ruolo religioso è molto importante: lo vediamo sempre al fianco di Kirill per giustificare l’invasione dell’Ucraina. Quindi direi che tra i riferimenti storici prevale un po’ di più lo zarismo e probabilmente anche nella concezione dei confini la Russia non vuole tornare ad essere una Unione sovietica, nel senso che non vuole tornare necessariamente a controllare il Kazachistan, l’Uzbechistan o l’Estonia; semplicemente vuole cercare di  controllare il proprio mondo russo in confini che somigliano a quelli che c’erano con Caterina II, spingendosi fino alla Transnistria e magari fissando come confine più occidentale il fiume Dnestr. Questo è l’obbiettivo: inglobare l’Ucraina in quanto affiliata al mondo russo e assorbire gradualmente la Bielorussia. Putin non vuole però tornare all’epoca dell’Unione sovietica, che era tenuta in piedi da un partito unico, quello comunista, che non c’è più. Piuttosto deve tenere insieme tutte le anime del mondo russo, anche etniche e ritiene di farlo suscitando uno spirito nazionalista».

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Lei è nel sbaglio, non sa chi è Putin,chi sono i russi.