Guerra russo-ucraina, domande inevase e riflessi in Medio Oriente
a cura di Pietro Licciardi
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L’ANALISTA MIRKO CAMPOCHIARI: «SE L’EUROPA NON AGISCE È QUALCUN ALTRO A FARLO. NEL CASO DELL’UCRAINA SONO STATI GLI AMERICANI»
Con Mirko Campochiari, analista storico- militare, collaboratore di Limes e animatore del canale youtube Parabellum, già apprezzato ospite della nostra testata torniamo sulla guerra russo-ucraina per cercare di chiarire alcune questioni sulle quali forse non è stata fatta sufficiente chiarezza.
In Dombass c’era uno scontro in atto da ben otto anni e nonostante fosse prevedibile che degenerasse nessuno ha pensato di intervenire. Perché secondo lei?
«Nell’ultimo anno il conflitto in Dombass era arrivato ad una fase di stallo. Gli accordi di Minsk erano inattuabili per la mancata volontà delle parti e poi abbiamo la confessione della Merkel secondo la quale servivano per prendere tempo, ovvero erano una pezza per rimandare nel futuro una eventuale soluzione. Nessuno ci voleva mettere le truppe, nonostante fossero bastati poche migliaia di caschi blu per impedire ai russi di invadere. Nessuno ha mai rispettato il cessate il fuoco e l’ingerenza russa era ovvia. Sappiamo che gli addestratori della Wagner erano nel Donetsk e Luhansk per istruire i separatisti, che erano finanziati anche dai russi. Dall’altra parte l’errore di Kiev è stato di gestire la situazione col peggio che avevano: le milizie più ideologizzate come Pravyj Sektor e il battaglione Azov. Cosa può mai andare storto se da una parte hai dei nazionalisti separatisti e dall’altra nazionalisti ucraini? Era benzina sul fuoco e nessuna dalle due parti sapeva gestire la situazione. Non credo in Europa fossero ben consci delle dinamiche interne ucraine. Ormai dopo otto anni è pure difficile determinare le colpe e sciogliere questa matassa è praticamente inutile; possiamo solo tentare di rimettere insieme i cocci, che poi sarà la parte più difficile. Sia che vincano i russi sia che vincano gli ucraini entrambi dovranno gestire una parte della popolazione che non vorrà stare né con gli uni né con gli altri e dal mio punto di vista si comincerà da capo»
L’Europa ha dimostrato la sua inconsistenza politica, l’Onu c’è e non c’è, nel senso che non ha impedito la guerra ma ha favorito ad esempio gli accordi sul grano. A questo punto è saggio lasciare ai soli Stati Uniti il ruolo di sceriffi del mondo?
«Un errore di fondo è considerare l’Europa come una entità. In geopolitica c’è questa legge di base: non esistono vuoti e se l’Europa non agisce sarà qualcun altro a farlo; in questo caso gli americani. La situazione attuale è più a detrimento nostro in quanto una guerra simmetrica sul continente dovrebbe essere una responsabilità nostra e il fatto che permettiamo agli americani di dirigere la giostra è colpa nostra e non possiamo che guardarci allo specchio. In questi vent’anni ci siamo crogiolati nell’idea pacifista di togliere fondi agli eserciti e oggi ci troviamo incapaci di agire. Sarebbe bastato schierare le nostre truppe sui confini per far capire ai russi che “non un passo oltre”, ma questo non ce lo possiamo permettere; anche per le difficoltà di una alleanza in cui ogni Paese ha suoi interessi che è difficile coniugare. Per l’America è più facile in quanto sanno benissimo quale gioco devono fare e che non rischiano del loro. E’ vero che questa guerra non l’hanno cercata perché la loro missione principale è controllare cosa avviene in Asia; pertanto si trovano in una situazione in cui vorrebbero arrivare alla pace prima possibile, ma non sanno come non avendo studiato la situazione. Io tendo a non parlare di proxy war, guerra per procura, perché se lo fosse sarebbe stata organizzata certamente meglio; semmai è una proxy opportunity, nel senso che si sono adattati a ciò che è successo. La deficienza europea è data dal non affrontare il buco politico che esiste in Europa. Abbiamo una unione monetaria ma politicamente non siamo considerati come una entità da altri attori come la Russia o la Cina, i quali avendo un peso specifico molto maggiore dei singoli Paesi europei tendono a fare accordi bilaterali essendo molto più facile che interagire con l’intera Europa. Sono problemi nostri di cui ci dobbiamo occupare e forse questa situazione ci darà una bella sveglia anche per la costituzione di un esercito europeo»
Il Papa è intervenuto qualche tempo fa dicendo in sostanza che la Nato ha ignorato gli avvertimenti di Putin, che riteneva le ripetute manovre militari ad Est una minaccia e una provocazione. Ora, Bergoglio è un sudamericano e probabilmente non ha particolari simpatie per gli yankee. Ma forse la Nato poteva essere un po’ più prudente considerando che facilmente la presenza di truppe occidentali vicino ai suoi confini poteva essere presa per una provocazione da una Russia che per oltre quarant’ anni ha vissuto con l’incubo di una guerra con la Nato. Che ne pensa?
«Secondo me più che di espansione della Nato bisognerebbe parlare di “dilemma della sicurezza” nel senso che quanto più aumento il mio senso di sicurezza tanto più abbasso quello dell’avversario innescando una escalation. Io tendo a considerare le alleanze come un prodotto, nel senso che gli americani – che sono una potenza militare – esportano sicurezza e chi non ha potenza la compra. Un paese come la Finlandia non può sentirsi sicura con accanto la Russia che è militarmente su un altro livello, perciò “compra” sicurezza. Ma questo innesca anche dei processi. Ad esempio: se tutti entrano nella Nato e qualcuno rimane fuori chi può essere invaso? Quello che è rimasto fuori, quindi tutti cercano di entrare nell’alleanza la quale acquista ancor più valore. E’ chiaro che chi al suo interno sostiene i maggiori costi e fornisce maggiore sicurezza ha anche una posizione di predominio e gli altri devono cedere qualcosa, nella fattispecie libertà geopolitica e geostrategica. Non è un caso che l’ingresso nella Nato avvenga in modo democratico, attraverso un voto. Tuttavia alleanza militare rimane e benché difensiva dall’altra parte come tale è percepita e sappiamo che gli Stati Uniti hanno la maggiore capacità al mondo di proiettare le proprie forze e nulla vieta che la Nato possa diventare in un attimo l’opposto di quello che dichiara. Secondo me in questo processo di ricerca di sicurezza o si fanno le cose bilateralmente o inevitabilmente i Paesi che si trovano fuori dai giochi, in questo caso l’Ucraina, diventano appetibili per chi vuole espandersi senza entrare in collisione con una alleanza militare. Non credo perciò che saranno solo la Finlandia e la Svezia a entrare nella Nato in cerca di sicurezza in cambio di una minore libertà. Ma saranno scelte consapevoli. Non so dunque quanto la Nato abbia provocato, anche perché se guardiamo alle dimensioni della Russia e dell’Ucraina può una esercitazione di poche migliaia di uomini come era Rapid Trident minacciare la Russia? Può un esercito convenzionale invadere una potenza atomica? No, lo sappiamo tutti. Quindi cosa teme la Russia? Anche per quanto riguarda l’eventuale dispiegamento di armi nucleari, i russi hanno missili a Kaliningrad ma la Nato non ha invaso quel territorio per la paura di quelle armi atomiche, che pure a livello tattico potrebbero distruggere Londra e Berlino ben prima che la Nato possa colpire Mosca. Le ragioni della guerra in Ucraina dunque sono ben altre e riguardano la sfera di influenza. L’Ucraina è passata da avere presidenti filo russi a presidenti filo europei e semplicemente la Russia non tollera che l’Ucraina le venga portata via dal giardino di casa».
A causa della guerra in Ucraina la Russia si sta disimpegnando dal Medio Oriente dove la situazione resta tesa anche perché sta crescendo la componente sunnita su quella sciita col rischio di nuove guerre intra-islamiche. Noi occidentali siamo portati a non tenere in considerazione il fattore religioso nelle questioni internazionali, nonostante due terzi del mondo metta la religione al primo posto. Riusciremo mai così facendo a fare politiche efficaci? Ci spostiamo sul Medio Oriente perché forse non tutti sanno che Damasco è mille chilometri più vicina a Roma di Kiev.
«Io vedevo la laicità dei paesi arabi – Iraq, Libia e Siria – come fattore di stabilità anche per le varie frange religiose al loro interno. Quando hanno cominciato a destabilizzarsi hanno preso il potere gli estremisti. Certamente quando l’Occidente è intervenuto non ha tenuto assolutamente conto di ciò. In Iraq si poteva appartenere a qualsiasi minoranza religiosa senza avere problemi, così come in Siria. Il secondo di Saddam era un cristiano, Saddam era laico e magari un terzo poteva essere mussulmano. Noi di questi fattori non teniamo conto, anche in Ucraina. Si, facciamo vedere il video del pope al quale viene messo il braccialetto da detenuto al piede ma poi non ci interessa molto di quel che avviene dal punto di vista religioso. Poi gli americani dal punto di vista culturale non sanno molto del paese che vanno ad occupare. Alcuni militari italiani hanno raccontato che quando erano in Afghanistan dovettero loro spiegare alcune usanze del posto perché il manualetto che era stato fornito agli americani era completamente sbagliato. Ma quando si entra in un Paese e se ne sa poco non si sa neppure bene come gestirlo. Questo è sintomatico della nostra mancanza di sensibilità religiosa pure in ambiti geopolitici e geostrategici»
Putin, secondo diversi osservatori, sembra avere una chiara nostalgia non tanto della Russia sovietica quanto della Russia imperiale zarista. Alla luce di ciò l’obiettivo russo – ormai fallito – era di riannettere l’Ucraina o provocare un cambio al vertice che riportasse il Paese nell’orbita russa piuttosto che occidentale? E soprattutto quanto è plausibile pensare che non si sarebbe limitato all’Ucraina?
«Sono venuti fuori dei documenti che dimostravano l’interesse russo nei confronti della Moldavia e della Transnistria e secondo me è abbastanza palese che ci sarebbe stato un dopo Ucraina nei piani di Mosca. L’Ucraina doveva cadere dopo due settimane e ormai abbiamo delle prove empiriche di questo, come la famosa colonna con equipaggiamenti per l’ordine pubblico che dimostra come i russi si aspettavano di doversi occupare più della popolazione che di fare una guerra. La stessa campagna militare non era improntata per una guerra di lunga durata e l’intenzione era probabilmente di fare quello che era stato fatto con la Crimea: mettere l’Occidente davanti al fatto compiuto. Ci sono stati tanti calcoli sbagliati, come il considerare il ritiro americano dall’Afghanistan un segno di debolezza e che gli Usa non si sarebbero impelagati in qualcosa di così problematico dopo quella figuraccia. Che Putin abbia una certa nostalgia del suo periodo nel Kgb e nell’aparatnik sovietico è abbastanza ovvio essendosi formato lì e lo si vede dal fatto che all’inizio le truppe russe entrarono all’inizio in Ucraina con la bandiera sovietica. In qualche caso è anche una nostalgia giustificata; ricordiamoci della gestione ucraina di certe zone molto depresse, dove non arrivavano le pensioni e c’erano problemi, che può aver fatto rimpiangere a qualche cinquantenne o sessantenne le sicurezze sociali del sistema sovietico, anche se magari non era felicissimo di vivere in quel regime. C’è una parte della Russia che è spaccata tra nostalgici e più giovani che vogliono uno stile di vita europeo e occidentale e secondo me il pericolo più grosso che ha percepito Putin è proprio questo. Da una parte ha perso l’Ucraina durante Sochi e non voleva che questo fosse il suo lascito politico: venire ricordato come lo zar che ha perso quella ex repubblica. Dall’altra l’Ucraina, essendo così affine e vicino alla cultura occidentale, era da lui percepita come un laboratorio; se l’avvicinamento all’Occidente avesse funzionato lì probabilmente nel tempo avrebbe attecchito anche in Bielorussia e Russia e questo credo sia il problema più grosso per un sistema come quello messo su da Putin. Quindi per me sono da considerare tutti questi fattori messi assieme e non dò credito all’ipotesi che Putin sia improvvisamente impazzito. Lui ha calcolato ma ha calcolato male».