Il 18 e non il 25 Aprile è la data che tutti gli italiani dovrebbero ricordare

Il 18 e non il 25 Aprile è la data che tutti gli italiani dovrebbero ricordare

di Pietro Licciardi

LA SCONFITTA DEL FRONTE SOCIALCOMUNISTA NELLE ELEZIONI DEL 1948 FU UNA VERA VITTORIA DI POPOLO, VANIFICATA IN SEGUITO DAL “PROGRESSISMO” DELLA  DC 

Il 18 Aprile del 1948 l’Italia andò alle urne per scegliere se vivere libera, in una Repubblica democratica che stava lentamente e faticosamente risollevandosi dalle immani distruzioni della guerra, o schiava sotto il tallone comunista e nella povertà come quella parte d’Europa sciaguratamente lasciata sotto l’occupazione sovietica. Ci riferiamo ovviamente a quelle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato che videro il cosiddetto Fronte democratico popolare, che riuniva i partiti laicisti e di sinistra a cominciare dal Pci di Togliatti, contrapposto alla Democrazia cristiana. 

Per la Dc fu un trionfo, ottenendo cinque milioni di voti in più di quelli avuti appena due anni prima in occasione del voto per l’Assemblea Costituente. Il Fronte popolare nel 1948 ebbe appena il 30% dei suffragi. Ma più che dei democristiani fu una vittoria del mondo cattolico, che si mobilitò in massa grazie anche all’azione benemerita dei Comitati Civici di Luigi Gedda, cattolico doc, che incoraggiato da Papa Pio XII riuscì a far comprendere al popolo quale era la vera posta in gioco: scegliere non solo tra la libertà e l’oppressione ma soprattutto tra la possibilità di professare la propria fede o condannarsi alla persecuzione e sicuramente al martirio, come avvenuto ovunque hanno governato i comunisti. 

Quel voto tra l’altro evitò probabilmente anche una nuova guerra civile, essendo l’Italia stata assegnata a Yalta all’area di influenza degli Stati Uniti, che mai avrebbero tollerato dei comunisti al governo.

L’attivismo di Gedda e del Papa non fu perdonato sia dalla Dc che dalle sinistre. Gedda fu emarginato dalla vita politica e dal partito mentre Pio XII fu condannato ad una damnatio memoriae che ancora lo perseguita, specialmente tra i cosiddetti cattocomunisti e cattolici “progressisti”.

Non è un caso quindi se oggi l’Italia repubblicana, che tutto deve a quel popolo e a quel voto, non si sogna neppure di ricordare, figuriamoci festeggiare, il 18 Aprile. Al contrario da quasi settant’anni si celebra in pompa magna quel 25 Aprile 1945 che in realtà fu l’inizio della sudditanza dell’Italia, liberata non dalla Resistenza, la quale ebbe un ruolo assai marginale a dispetto di tutta la retorica che è stata messa in piedi negli anni, ma dalle truppe Alleate con il concorso, semmai, delle truppe cobelligeranti del Corpo italiano di liberazione agli ordini del Re.

Insomma, si festeggia la sconfitta militare nella seconda guerra mondiale e il conseguente inizio della nostra sudditanza in Europa, che prosegue tutt’oggi, e si ignora una vera vittoria, che tra l’altro evitò al Paese la burocratizzazione in stile sovietico che quasi certamente avrebbe impedito il boom economico che in pochi anni trasformò l’Italia da paese povero e agricolo qual era, in una potenza industriale dispensatrice di benessere sociale.

Purtroppo Non fu una vittoria duratura. Nella Democrazia cristiana prevalse dopo poco più di un decennio l’ala progressista, impregnata di quel modernismo cattolico che poi avrebbe prevalso anche nella gerarchia ecclesiastica, con simpatie di sinistra che sempre più in accordo coi socialcomunisti cominciò quel processo di secolarizzazione e socializzazione fredda dell’Italia che ha portato oggi alla semiparalisi in campo economico, alla disarticolazione del mondo cattolico e all’irrompere delle ideologie anticristiane. In poche parole all’apparente trionfo di quella Rivoluzione che fu impedita in quel fatidico 18 Aprile 1948.

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