Per un’interpretazione cristiana del pensiero di Friedrich Nietzsche
di Alessandro Puma
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IL FILOSOFO E LA CROCE
Di fronte al pensiero di Federico Nietzsche, la gente comune, ma anche gli stessi filosofi, si trovano più o meno nella stessa condizione di smarrimento degli apostoli di Gesù quando, durante l’ultima cena, ha lavato loro i piedi.
“Quello che sto facendo adesso non lo capite, ma lo capirete dopo”, come Cristo dice ai suoi seguaci nel Vangelo di Giovanni (Gv 13, 1-15); lo stesso si può dire per il pensiero di Nietzsche che, anche se per sua stessa affermazione, è sempre stato definito ‘anticristiano’, in realtà può donarci una versione del cristianesimo che non manca mai di costituire quell’aspetto rivoluzionario e innovativo che l’insegnamento cristiano porta da sempre con se.
“Io sono nato postumo, nessuno può capire il mio pensiero e non voglio seguaci”, si può dire parafrasando il pensiero di Nietzsche. Questo perché il filosofo tedesco (anche se tecnicamente era un filologo) ha voluto scardinare le basi sui quali il pensiero filosofico si è sempre adagiato, in virtù di quella sclerotizzazione dello stesso sistema di pensiero occidentale che, basandosi sulla morale e sui valori condivisi (virtù = felicità) da Socrate in poi, ha negato, secondo il suo punto di vista, una considerazione della vita che invece, combattendo questa sclerosi dei luoghi comuni, sarebbe investita di un senso di attesa e di novità che la renderebbero davvero degna di essere vissuta. Non una volta, ma addirittura più volte, come sottintende la dottrina dell’eterno ritorno.
Nulla di più lontano dalla dottrina di Nietzsche, può dunque essere rappresentato da quella smania tecnologica che prevede un programma utilitaristico di organizzazione della vita che pervade, oggi più che mai, ogni aspetto della nostra esistenza. Figuriamoci, poi, quanto può essere lontano un tale pensiero dalla barbarie razzista – anch’essa programmatica – di quel nazismo che si era impossessato, pervertondolo, dell’idea del ‘superuomo’ nietzschiano.
L’errore – relativo – di Nietzsche sarebbe stato quello di addebitare questa sclerosi decadentista (la cosiddetta décadence) proprio al cristianesimo o, per meglio dire, a un’interpretazione del cristianesimo che, con il passare dei secoli, ha coinciso con questa considerazione della società servile e rinunciataria, che non vede più il senso del novum perché, con la sua privazione del rischio e del pericolo, non ha più nulla da offrire.
Ma chi potrebbe accusare Gesù di essere stato servile e di non aver cercato il pericolo, pur di far valere le sue idee, cioè pur di mostrare la verità del Padre che consiste – anche – nella libertà dai vincoli della società?
Così, anche nell’apparente suo privilegiare Dioniso su Cristo, soprattutto nella sua opera Così parlò Zarathustra Nietzsche si sforza di scrivere un nuovo tipo di Vangelo, senza però riuscirci, e questo spiegherebbe come mai quest’opera risulti ostica e non coinvolgente come altri suoi scritti, quali La Gaia scienza e La nascita della tragedia. Poiché, come afferma un altro filosofo come Gide, Nietzsche “fu geloso del Cristo”.
Ed é con una certa simpatia che, secondo il teologo Jaspers, Nietzsche guarda a Gesù nel suo “dionisiaco” opporsi alla farisaica morale ebraica.
Secondo Jaspers, infatti, nel suo libretto Nietzsche e il cristianesimo “Nietzsche […] si impadronisce deliberatamente di Gesù per sostenere la propria posizione ‘al di là del bene e del male’, il suo amoralismo in lotta contro la morale: ‘Gesù si è schierato contro i censori, voleva essere il distruttore della morale’ (qui Jaspers cita Nietzsche). E ancora: “Gesù diceva: ‘Che cosa ci importa la morale, a noi, figli di Dio?’ ed esplicitamente: ‘Dio come al di là del bene e del male’.
“Nello stesso modo, anche il problema dell’eternità presente, della beatitudine vissuta, che Gesù ha risolto con le sue regole di vita, è un problema che Nietzsche fa proprio.
“La grande figura opposta a Gesù era per Nietzsche Dioniso. Quasi tutte le parole di Nietzsche sono rivolte contro Gesù, in favore di Dioniso. La morte di Gesù sulla croce esprime per lui il declino della vita e costituisce un’accusa contro di essa, mentre Dioniso fatto a pezzi significa per lui la vita che cresce e si rinnova senza posa con tragica allegria. Ma pure, prolungando una sorprendente ambiguità, Nietzsche ha potuto – anche se di rado – far suo l’atteggiamento di Gesù; e addirittura nei biglietti scritti durante la sua follia, così carichi di senso, è arrivato a firmare non solo col nome di Dioniso, ma anche ‘il Crocifisso’”.
Il suo eccesso di cerebralismo, la sua mancata vita sociale e la conoscenza delle donne, le terribili emicranie e la vista scarsa di cui soffriva, la sua stessa vita quasi completamente priva di eventi significativi – se non per l’amicizia, poi titanicamente rifiutata, che lo legava a Wagner – costituiscono, per Nietzsche, la sua croce.
Che lui, quasi eroicamente, sopportava, sognando di quella volontà di potenza e di quel superuomo che lui non poteva, tristemente, poter essere nella sua esistenza.
Ed é questo che, negli ultimi anni della sua lucida follia, lo faceva sentire più affine a Cristo che non al suo fantomatico superuomo.