L’inizio della vita, l’esperienza della sofferenza, la sorpresa gioiosa della resurrezione
di Nicola Sajeva
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E’ ANCORA CROCIFISSO
Sulla scena Gesù, Pilato, una folla anonima esagitata che pilotata dai gran sacerdoti, esprime una condanna senza appello: “Sia crocifisso, sia crocifisso!”.
Sacerdoti, anziani, scribi e tutto il Sinedrio non avevano riconosciuto in Gesù il Messia annunziato dalle scritture, avevano tenuto consiglio, lo avevano condannato a morte, lo avevano consegnato al governatore Pilato. Sacerdoti, anziani, scribi e Sinedrio li ritroveremo nella preghiera di Gesù: “Padre, perdonali, perché non sanno quella che fanno” (Lc 23,34). Una volontà di Dio spesso imperscrutabile scriveva così la pagina più importante della storia della nostra salvezza.
Una passione come passo obbligato tra due momenti di gioia: l’annuncio dell’Incarnazione “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia verso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,30-31) e il messaggio dell’angelo alle donne: “ Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5).
L’inizio della vita, l’esperienza della sofferenza, la sorpresa gioiosa della resurrezione. Quest’ultimo momento temporalmente è stato situato dalla Chiesa alle prima domenica dopo la maturazione di due importanti eventi cosmici: l’inizio della primavera e la luna piena; il risveglio della natura e la massima luminosità notturna del corpo celeste a noi più vicino vengono convocati per mettere il nostro cuore nelle condizioni ideali di accogliere tutta l’intensità di una gioia che, se noi lo vogliamo, non conoscerà tramonto.
“Sia crocifisso, sia crocifisso!”: ieri Gesù, oggi l’uomo; ieri Pilato, oggi il governatore di turno; ieri la folla anonima, oggi ognuno di noi con nome e cognome. La condanna è sempre la stessa anche se mille sono i modi dell’esecuzione: sia emarginato, sia abbandonato, sia messo alla gogna, rimanga precario per tutta la vita, gli sia negata la dignità, non gli sia permesso di nascere, sia affrettata la sua permanenza terrena. Il campionario delle motivazioni può essere più o meno grondante di falsa umanità, di conciliante e ipocrita perbenismo, di controverse teorie dove lo spazio concesso all’altruismo è sistematicamente destinato ad essere prima ristretto e poi definitivamente non praticabile.
“Sia crocifisso, sia crocifisso!”: questa la “condanna” che segna l’inizio della passione. La Chiesa propone occasioni di riflessione, di esame della propria vita, di confronto con il messaggio del Vangelo. Con manifestazioni religiose esterne convoca credenti e non, convoca i dubbiosi, i delusi, quelli che per i motivi più disparati si sono allontanati. In tutti, con coinvolgimento diverso, l’immagine dell’Addolorata e di Gesù trafitto in croce riescono a suscitare sentimenti di compassione, riescono a mettere in discussione scelte di vita, progetti, traguardi. In tutti, da sempre, la sofferenza dell’uomo è riuscita a suscitare pulsioni umanitarie, sentimenti di solidarietà concreta, pronta, calda che riesce mirabilmente a migliorare non solo la qualità della vita del nostro prossimo, ma anche la nostra.
“Sia crocifisso, sia crocifisso!”: non semplici spettatori di quanto la Chiesa, attraverso i riti di tutta la Quaresima riesce a proporci, non convinti difensori di u n materialismo che sembra proteggere al meglio la nostra esistenza, non sprovveduti automi, mossi dalla curiosità folkloristica, dalla voglia di viaggiare per scoprire i riti più noti o più abilmente sponsorizzati della Settimana Santa, ma uomini responsabili, pronti a tradurre ogni emozione vissuta in atti concreti di altruismo, in atti quotidiani rivestiti di costanza, in proposito di non confondersi vigliaccamente tra la folla anonima per gridare: “Sia crocifisso, sia crocifisso!”, uomini capaci di interpretare al meglio il personaggio del Cireneo, uomini disponibili a farsi carico del bisogno dell’altro non solo perché nostro fratello secondo l’indicazione del Vangelo, ma soprattutto perché uomo come noi con la dignità che ognuno di noi si augura gli venga riconosciuta.
Se questo seme riuscirà a germogliare nel contesto sociale dove operiamo la nostra vita avrà un senso, la nostra gioia sarà piena, la nostra testimonianza cristiana e umana sarà feconda: la Pasqua sarà veramente un passaggio verso la luce, verso la nostra risurrezione.