Con una “socializzazione fredda” vogliono privarci della libertà

Con una “socializzazione fredda” vogliono privarci della libertà

di Pietro Licciardi

IN ITALIA E IN EUROPA MORIREMO SOCIAL-COMUNISTI?

Con la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’Urss e la fine della guerra fredda ci si era illusi che la nefasta ideologia comunista fosse anch’essa finita nella pattumiera della storia. Purtroppo non si sono fatti i conti col fatto che gli errori del comunismo hanno avuto ben sessant’anni di tempo per propagarsi come un cancro ovunque nel mondo, penetrando anche nelle società cosiddette democratiche ad opera dei partiti che si rifacevano alle dottrine di Marx ed Engels. Cancro che ha infettato anche i cattolici i quali, come in Italia con la Democrazia cristiana dagli anni del cosiddetto compromesso storico in poi, spesso si sono comportati come utili idioti, secondo la definizione attribuita a Lenin; ovvero hanno assecondato politiche e pensieri volti a orientare le società in senso socialista. E’ così che ad esempio sempre in Italia in virtù del mito – anche cattolico – della redistribuzione della ricchezza si è arrivati ad imporre tasse sempre più esose, mentre in Europa si è arrivati ad un dirigismo e controllo in campo economico e sociale paragonabile ai regimi sovietico e cinese, si pensi ai pedanti regolamenti in materia produttiva e commerciale e ai diktat sulle questioni, ad esempio, del gender.

In parole povere è in piena e continua attuazione ancora oggi quella che la Dottrina sociale della Chiesa definisce una “socializzazione fredda”, ovvero l’attuazione di un modello socialcomunista in forma larvata, operata non attraverso l’esproprio formale ma mediante lo svuotamento e la privazione dei diritti. Una definizione assai simile a quella di “guerra fredda”, ovvero quella situazione di pace apparente che però nasconde una guerra condotta con altri mezzi. 

La socializzazione fredda quindi è quella che all’esterno non si fa vedere, ma si attua in segreto, in modo poco appariscente. La proprietà privata non viene espropriata formalmente, ma svuotata e privata dall’interno dei suoi diritti discrezionali.

A questo proposito si pensi ad esempio all’esproprio di fatto che subisce il proprietario di una casa se ha la sfortuna di affittarla ad un inquilino insolvente o se la vede occupare abusivamente. Quando ciò avviene il proprietario ci mette anni per rientrare in possesso, quando ci riesce, del bene sottratto. Oppure alla tassazione sempre più pesante su beni essenziali, come la casa – su cui gravano tasse anche quando è sfitta e non produce reddito – e oggi anche l’automobile, che pone i proprietari sotto la spada di Damocle del sequestro se non riescono a far fronte agli obblighi fiscali.

Ma non sono queste le sole forme in cui si attua la socializzazione fredda. Lo scalzamento della proprietà privata può avvenire anche mediante la partecipazione del potere pubblico al capitale azionario delle società o di altre imprese; ovvero con l’acquisto di azioni da parte dello Stato o delle amministrazioni da esso derivate, che gli conferiscono un potere discrezionale su immense correnti monetarie e influenza sulle politiche industriali e occupazionali. 

Tra l’altro occorre qui notare che la socializzazione anche in questo ambito, a dispetto dei suoi cantori, non si è mai dimostrata in nessun luogo una esperienza proficua in quanto ovunque attuata ha causato il calo dei profitti, e ben presto – si pensi alle aziende in mano all’Iri per quanto riguardo l’Italia – non solo sono stati necessari salvataggi pagati a caro prezzo dai contribuenti ma sono state addirittura vendute; anzi, in qualche caso svendute, in seguito a “privatizzazioni” che hanno sottratto alla collettività industrie vitali per l’indipendenza e la sovranità nazionale, diventate a capitale straniero. 

Oltre alla democrazia economica pure lo stato assistenziale è uno strumento per la socializzazione fredda della società. Dove la democrazia economica pone la proprietà produttiva o la sua amministrazione sotto il controllo collettivo, ovvero statale, analogamente a quanto avveniva negli stati chiaramente socialisti, lo stato assistenziale si arroga la facoltà di dare la “sicurezza sociale” ai cittadini ma più si allarga la sfera della sicurezza più aumenta la richiesta dei mezzi di cui disporre per garantirla e quindi la tassazione.

La socializzazione “fredda” deve essere contenuta, o meglio, repressa, se non si vuole che la proprietà e l’economia diventino sempre più anonime e collettive, a scapito del bene comune dei cittadini. Si tratta di un compito molto arduo, perché molti sono ormai succubi dell’idea che un ordinamento collettivizzato sia preferibile ad uno “privatizzato” e il pubblico si oppone con tutte le forze per non vedersi privare del considerevole potere che ciò gli conferisce. Basti pensare al capillare e ferreo controllo sociale che assicura l’aver messo le mani sull’istruzione.

La cura per questo male di fondo non può che essere la diffusione e l’allargamento della proprietà privata, riattribuendo alle famiglie la proprietà sui mezzi idonei a produrre un reddito sufficiente a coprire le sue esigenze sociali medie; inoltre una reale ed effettiva autogestione ai professionisti in ogni campo e la corresponsabilità graduata attraverso la comproprietà e la cogestione nelle imprese. Soprattutto la tassazione deve corrispondere alle effettive esigenze del bene comune, senza imporre al cittadino di finanziare sprechi, corruzione, politiche di carattere ideologico o clientelare. Ma per combattere la socializzazione è necessario pure tornare a riprendere in mano la scuola mediante la libertà di educazione; tema purtroppo apparentemente cancellato dall’agenda dei vescovi e della maggior parte dei cattolici nostrani.

Tornare al controllo statale-sociale prettamente sussidiario, come deve essere in una società e ordinamento conforme alla natura ed al bene comune deve nuovamente essere una priorità, innanzitutto nostra di cittadini e di cattolici e in seconda battuta di quella parte della politica che ancora dice di rifarsi ai valori di Dio, patria e famiglia, perché ormai dovrebbe essere più che chiaro che in una società socialista, calda o fredda, non ci sono più né Dio, né patria e tantomeno famiglia. 

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