È falso e fuorviante presentare l’eutanasia (ma anche l’aborto) come un diritto umano
di Maria Bigazzi
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DELLE TRISTI VICENDE INVITANO A RIFLETTERE SU QUANTO OGGI VI SIA UN’IDEA DISTORTA DELLA VITA E DI COME LA SOFFERENZA PSICHICA E FISICA SIA UN PESO INSOPPORTABILE PER CHI IN ESSA NON TROVA CHE UN DOLORE FINE A SE STESSO
Quando la Vita viene concepita come qualcosa priva di significato, dolorosa, dove ogni evento lontano dal concetto di felicità turba l’equilibrio zoppicante su cui ci si appoggia, il primo passo è cadere nella disperazione, arrivando al punto di desiderare la morte per porre fine a tutte le sofferenze e dimenticare ogni cosa.
Con questa mentalità è stato accolto il principio del fine vita, come già era accaduto con l’aborto, presentato come soluzione ai problemi di una gravidanza difficile o indesiderata.
Ma quando il concetto di sofferenza e giustizia viene completamente stravolto, si arriva al punto di vivere situazioni come quelle accadute in Belgio, tornate alla ribalta nei giorni scorsi e che riguardano due casi di eutanasia autorizzate per due donne; una perché vittima di stupro e l’altra, Geneviève Lhermitte, tristemente famosa per il delitto da lei compiuto nel 2007, quando armata di coltello uccise i suoi cinque figli di età compresa tra i 3 e i 15 anni in assenza del marito che si trovava in Marocco, cercando poi di suicidarsi senza riuscirci. Dopo 26 anni ha richiesto e ottenuto l’autorizzazione di ricorrere alla eutanasia all’ospedale Léonard de Vinci di Montigny – le – Tilleul, a circa 60 km da Bruxelles, per porre fine alla sua esistenza.
L’altro caso sopra citato riguarda Nathalie Huygens, di cinquanta anni, vittima di uno stupro nel settembre del 2016, sposata con un uomo che le è rimasto accanto fedelmente anche nel periodo difficile dopo il triste accaduto, assieme al quale ha due figli di ventidue e venticinque anni.
La donna nel 2021 ha ufficialmente richiesto di ricorrere all’eutanasia, dopo che i sanitari incaricati di valutare il suo caso e dossier “hanno giudicato il suo stato psicologico conforme ai criteri per accedere” al fine vita, come riporta Le Figarò.
In entrambi i casi, l’eutanasia viene presentata come la soluzione per porre fine ai tanti problemi esistenziali che si incontrano lungo la vita. E qui sta il paradosso: in una società in cui la morte viene vista come qualcosa di innominabile e da esorcizzare attraverso una vita dissoluta ed egoista, si arriva al punto di presentarla poi come rimedio quando si vuole scappare dal mondo e lasciarsi dietro ogni problema.
In tutto questo dove sta la dignità dell’uomo? La vita diventa un oggetto manipolabile e senza senso quando a mancare è l’essenza stessa del vivere che viene solo dal Creatore, il quale ci ha fatto anche dono dell’intelligenza e della ragione per arrivare a comprendere a cosa è chiamato l’uomo e quale sia il suo fine ultimo. Lontano da questa verità vi è il vuoto, il non senso, la disperazione, la morte dello spirito.
Le tristi vicende sopra riportate invitano a riflettere su quanto oggi vi sia un’idea distorta della vita e di come la sofferenza psichica e fisica sia un peso insopportabile per chi in essa non trova che un dolore fine a se stesso, ma ciò riflette in generale il pensiero pericoloso che oggi dilaga nelle diverse società e che trova conferma in leggi apertamente contro l’uomo, contro la sua dignità e vera libertà, che come ben sappiamo non consiste nel fare ciò che si vuole senza alcun limite, ma nel rispondere a determinati doveri e criteri conformi al pieno e vero rispetto dell’uomo nella sua interezza.
È falso e fuorviante presentare l’eutanasia, ma anche l’aborto, come un diritto umano che rende l’uomo libero di scegliere della propria vita, in quanto tali pratiche rappresentano la violenta violazione dello stesso diritto alla vita, dell’uguaglianza fra le persone e dello Stato di diritto che vede il suo fondamento nel pieno rispetto dei diritti inalienabili della persona, ovvero il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale.
Tale rispetto deve essere sempre tenuto in considerazione anche nei confronti di chi si trova in stato vegetativo, a cui devono essere garantite “tutte le cure e i trattamenti necessari, tenendo conto del valore intrinseco e della personale dignità di ogni essere umano, valori non soggetti a cambiamento in qualunque circostanza concreta della vita” (“Trattamenti di sostegno vitale e lo stato vegetativo. Progressi scientifici e dilemmi etici”, 17-20 marzo 2004, Giovanni Paolo II).
La nostra società promuove le pratiche di fine vita come una conquista civile e un diritto, violando in questo modo il valore della vita umana, ma allo stesso tempo esalta in modo quasi idolatrico la salute e la cura del corpo facendola diventare un vero e proprio culto. A tal proposito il magistero della Chiesa Cattolica ci ricorda che la salute è sì un dono di Dio di cui dobbiamo ragionevolmente averne cura, ma allo stesso tempo sottolinea che non deve diventare un valore assoluto, per non incorrere in una visione distorta e neo-pagana, “che tende a promuovere il culto del corpo, a sacrificargli tutto”.
Ancor di più preoccupante è il fatto che se uno Stato come il Belgio autorizza l’utanasia per casi che non riguardano malattie fisiche o gravi problematiche psichiche, per le quali abbiamo già sottolineato non vi è comunque alcuna scusante, ciò fa ben comprendere come tali pratiche diventino “pane quotidiano” e soluzioni facili per qualunque situazione di sofferenza del momento.
E quando la vita viene presa così alla leggera significa che per il pensiero comune essa non ha più alcun valore, dunque non è meritevole di rispetto, e i frutti marci di tale concezione li vediamo già ora.
Il.Diritto civile è Mio.
E me lo gestisco Io !
Sembra una barzelletta.
Ma i “gestori dell’ignoranza”, sanno come sfruttarlo.