Solo una autentica neutralità può favorire il contenimento o la cessazione delle ostilità
di Daniele Trabucco* e Filippo Borelli**
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LA GUERRA TRA RUSSIA ED UCRAINA: TRA LEGITTIMA DIFESA E NEUTRALITÀ DEGLI STATI TERZI
Ad oltre un anno dall’inizio del conflitto tra Federazione Russa e Repubblica di Ucraina vi è da chiedersi quale sia il contesto giuridico internazionale di riferimento.
La regola generale, prevista dall’art. 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite del 1945 stabilisce il divieto della minaccia e dell’uso dell’intervento militare, da parte degli Stati, nel regolare le loro controversie.
Unica deroga ammessa consiste, qualora un ordinamento giuridico statale subisca un attacco armato, nel ricorso alla forza per legittima difesa. Tale diritto, contemplato dall’art. 51 della Carta dell’ONU, prevede, però, due condizioni:
1) esso spetta allo Stato aggredito fintantoché il Consiglio di Sicurezza «non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale» (sappiamo quanto questo sia difficile per la particolare composizione dell’organo);
2) deve, ha precisato la Corte internazionale di Giustizia nel 1986 in merito al caso Nicaragua, consistere unicamente nell’adozione di misure proporzionali all’attacco armato e necessarie a respingerlo.
Ora, il regime giuridico delle ostilità in corso tra Kiev e Mosca rileva anche sugli Stati terzi al conflitto, tra i quali l’Italia, gli altri Paesi membri dell’Unione Europea, gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica del Nord etc. Questi, in quanto non coinvolti direttamente nella guerra, al di là delle ripercussioni della stessa sul piano geopolitico, si trovano in una posizione di neutralità la quale, pur registrando una minore applicazione nella prassi contemporanea dal momento che l’ordinamento internazionale si è sempre più avvicinato all’idea di un vero e proprio obbligo di cooperazione verso la parte lesa, non è venuta meno. Infatti, se è vero, da un lato, che oggi il discrimine tra Stato aggredito e Stato aggressore legittima aiuti militari e, dunque, l’invio di armi, ai Paesi vittime di un attacco bellico, dall’altro lato non mancano, tra gli studiosi del diritto internazionale, voci critiche a riguardo (si rinvia al saggio del noto internazionalista greco Constantine Antonopoulos, Non-Partecipation in Armed Conflict, Cambridge University Press, 2022).
Non solo alcuni Stati, come quelli dell’America Latina, hanno assunto una posizione nettamente «neutralista» verso il conflitto in corso per non compromettere i loro rapporti politici, economici e commerciali con la Russia, la Repubblica Popolare Cinese, l’India ed il Sudafrica, ma la stessa attenuazione del concetto di neutralità comporta l’uso strumentale della stessa al fine di ampliare la portata del diritto di legittima difesa il quale dovrebbe coinvolgere unicamente le parti del conflitto bellico.
Pertanto, solo una autentica neutralità può favorire il contenimento o la cessazione delle ostilità ed evitare un loro allargamento ad altri Paesi. Da ultimo, ci si deve chiedere, ammessa la liceità dell’invio di armi come sostiene la dottrina maggioritaria, se siano realmente rispettate le condizioni di cui al Trattato sul commercio delle armi (c.d. TCA) ed alla Posizione comune n. 944/2008 del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, ossia il loro non utilizzo per compiere crimini di guerra o crimini contro l’umanità (artt. 6 e 7 del TCA).
L’assenza, al momento, di notizie in questa direzione non toglie, comunque, agli Stati una costante vigilanza sull’impiego di quanto viene trasferito.
*Costituzionalista
**Avvocato