Sciocchezze, idiozie e cialtronerie trovano sconfinati spazi mediatici
di Sergio Caldarella
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VIVIAMO IN UN MONDO IN CUI IL PENSIERO È STATO SOPRAFFATTO
Quello in cui ci è ormai dato vivere si presenta come un mondo in cui il pensiero è stato, da tempo, estradato e sopraffatto in modi innumerevoli e reso non soltanto nullo, ma anche impossibile da perseguire o comunicare su larga scala. Per la sciocchezza, l’idiozia, la cialtroneria ed il vacuo vi sono, invece, possibilità enormi, sconfinate, un tempo persino inconcepibili – lo spazio della hybris (ὕβρις) era, in passato, quello che definiva, in genere, il violento ed il tiranno, dunque una dimensione della tracotanza dalla quale l’individuo civile o πολίτης, il cittadino, si sottraeva.
Gli unici spazi di comunicazione apparentemente culturali oggi rimasti sembrano, invece, riservati unicamente a coloro i quali obbediscono, consciamente o inconsciamente, al potere costituito ed all’ideologia dominante e l’abdicare del pensiero alla forza appare, ormai, come la sola regola rimasta per garantire anche un minimo di partecipazione sociale attiva, giungendo al punto in cui la socialità viene contrabbandata come sinonimo di conformità.
Tutto questo significa, in altri termini, che viviamo nell’era dell’obbedienza più assoluta la quale ama, però, proclamarsi come l’epoca più libera della storia, una «libertà» millantata attraverso il consumo, i mezzi di comunicazione di massa ed una gestione politica partitocratica eterodiretta da oligarchie commerciali.
È proprio nel dominio dell’economia sulla politica che si palesa, infatti, il predominio effettivo dell’apparato economico commerciale su quello sociale; un’inversione innaturale che rivela un controllo primario di gruppi di potere di non eletti su un’oligarchia partitica la quale, dietro la parvenza di una formalità democratica, mantiene il controllo sulle popolazioni sottoposte ai diversi ordinamenti giuridici. È proprio nella precipua scomparsa del pensiero dall’arena pubblica che si manifesta la radicalità del dominio del potere in quest’epoca macabra.
Il vuoto di senso che la dissoluzione culturale imposta dalla volontà di potenza introduce nella società umana diventa, poi, anche un buco maligno nel cuore, nell’anima e nella mente degli esseri umani, un’assenza spaventevole in cui si riesce a trovare spazio, tempo e fondi per quasi ogni credenza e ideologia, ma non più per il pensiero autonomo, la critica, il rispetto per le idee, la reverenza per la conoscenza e, in conseguenza, la reverenza per la vita (Ehrfurcht vor dem Leben).
In tale amaro contesto, quel che domina è il trionfo più squinternato dell’opinione (δόξα) in cui prevale una doxa bieca ed orribile ritagliata a misura dell’ego e capace di trasformare qualunque verità in infamia ed offesa e qualunque menzogna nella più sgargiante delle verità. Günther Anders, con la sua lucida precisione, aveva già osservato: Die Lüge hat sich wahr – gelogen, la bugia ha mentito se stessa come vera.
Attraverso il tragico vuoto di senso, posto dalla modernità al centro delle società umane, viene resa possibile l’inversione di qualsivoglia aspetto del vivere trasformando, secondo arbitrio, ogni cosa nel suo contrario ed arrivando, politicamente, all’istituzione di una paradossale democrazia totalitaria, denominata invece come «democrazia capitalista».
Nella sostanza, «democrazia capitalista» significa soltanto che il cittadino, il singolo, non ha più alcun potere politico, né alcun controllo sulle direzioni della società in cui vive ed in cui, da elemento attivo, diventa un mero sottoposto al quale, ogni quattro anni, viene richiesto di mettere una crocetta su questo o quell’altro candidato di partito.
Finché vi saranno abbastanza cittadini mantenuti in uno stato di soggezione culturale, disinformazione ed indottrinamento, costoro rimarranno intrappolati in una visione del mondo costruita ad arte, con il solo fine di favorire, oltre ogni limite, i pochi che detengono i mezzi e sarà sempre possibile, proprio per quei pochi, mantenere un saldo controllo sulla socialità intera.
Tale meccanismo non può essere facilmente contrastato unicamente attraverso la proposta di contenuti autenticamente culturali, ossia indifferenti all’ideologia, grazie ai quali offrire strumenti concettuali e di confronto con altri modelli interpretativi capaci di consentire lo sviluppo di pensieri autonomi.
La capacità di pensiero autonomo, dunque critico, potrebbe certo consentire al cittadino di scrollarsi di dosso l’apparato di opinioni che gli è stato impartito per carpirne il consenso e la partecipazione se non fosse che, nel momento in cui questi è integralmente parte di un sistema dell’indottrinamento e di «manifattura del consenso», anche la sua capacità di riconoscere contenuti culturalmente validi è stata non soltanto danneggiata, ma diretta altrove.
Rimediare al massiccio, capillare e scientifico condizionamento che la società contemporanea è in grado di imprimere sui propri membri è impresa indubbiamente titanica e certamente di difficile realizzazione quantitativa.
L’Ecclesiaste lamenterà: «Ho visto degli schiavi a cavallo e dei prìncipi andare a piedi come degli schiavi» (10:7), l’emblema forse più evidente di una società del contrario che, già allora, si presentava con lo stesso volto di oggi, ma senza la radicalità e capillarità ideologiche e materiali raggiunte dai satrapi moderni.
Qualunque trasformazione all’interno di un sistema della confusione è ancora confusione, così l’incremento abissale dello sproloquio contemporaneo genera sempre più rumore, sempre più allontanamento dal pensiero e da se stessi. Senza pensiero non rimane più la possibilità di fondare alcunché e la koinè che è possibile creare attraverso la costruzione di un discorso condiviso, un’ermeneutica in cui vi siano riverberi concettuali e non mera sofistica dello pseudo-interesse ed eterogenesi dei fini, scompare insieme a ciò che rendeva la vita umana ricolma di un senso indipendente e, dunque, piena e vera.
Il disagio e l’angoscia dell’essere umano contemporaneo sono anche il prodotto della deprivazione di un senso autonomo della sua esistenza propria che, rivoltandoglisi contro, giunge a soggiogarlo rendendolo simile ad una barchetta sperduta in un oceano ormai inconcepibilmente estraneo e fondamentalmente ostile.
Tutte quelle prospettive autenticamente umane offerte dal pensiero naufragano, allora, nel mare dell’interesse materiale con cui si vuol vestire l’anima e si pretende di ritagliare i contorni dell’individuo. In un cosmo di tal fatta non ci sono più numi né voci e non rimane nulla di caldo e accogliente: «Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte?», declamerà Friedrich Nietzsche (La gaia scienza, 125).
Sì, si è fatto più freddo perché gli esseri umani sono stati spaventosamente allontanati gli uni dagli altri, perché all’alto è stato fatto corrispondere il basso ed alla vita si è fatta corrispondere una mera sopravvivenza nel mezzo di un pandemonio pieno di cose e di un nulla incapace di risposta alcuna.