L’Etiopia ritrova la pace e l’unità
di Habte Weldemariam (*)
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FIRMATO L’ACCORDO CHE FERMERA’ LA GUERRA NEL TIGRAY ED EVITA LO SCISMA DELLA CHIESA COPTA
In questo mondo martoriato ogni tanto anche qualche buona notizia. Buona soprattutto per il popolo etiope, che dopo due anni di guerra per il controllo della regione del Tigray costato cinquecentomila morti, milioni di sfollati e ridotto alla fame almeno altre cinque milioni di persone ritrova la pace e soprattutto vede rientrare la minaccia di scisma nella Chiesa copta, come ha riportato InFormazione cattolica in un precedente articolo.
Dopo una settimana dura di trattative che si sono svolte a Pretoria in Sud Africa gli emissari del governo etiopico di Abey Ahmed ‘Alì e i rappresentanti del Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf), l’organizzazione militare della etnia Oromo che lottava per l’indipendenza e la scissione dall’Etiopia hanno infatti firmato un accordo. In seguito a ciò anche il patriarcato della Chiesa copta ha inviato una lettera di perdono ai vescovi del Tigray che avevano manifestato l’intenzione di indire un sinodo che avrebbe spaccato l’unità del clero copto ortodosso e adesso anche la riconciliazione in seno alla Chiesa sembra fattibile.
Questa notizia non può che farci gioire, se si pensa che il cristianesimo si diffuse in Etiopia prestissimo, subito dopo che un ministro della Regina Candace si fece battezzare da San Filippo, come ricordato nel capitolo 8 degli Atti degli Apostoli, anche se sappiamo per certo da fonti storiche attendibili riportate da Rufino (345-410) che fu durante il regno del Re Ezana, nel 330 circa, che il cristianesimo divenne religione ufficiale del Regno di Axum. Questo dopo la missione apostolica di due fratelli di Tiro, Frumenzio e Edesio, arrivati quasi per caso in Etiopia. Frumenzio fu poi ordinato primo vescovo d’Etiopia da Sant’Anastasio di Alessandria. Subito dopo, i Nove Santi Romani consolidarono la fede cristiana nel regno introducendo la vita monastica e traducendo nella lingua etiope le Scritture e molti altri testi religiosi.
La Chiesa etiope è rimasta amministrativamente parte della Chiesa copta ortodossa di Alessandria dalla prima metà del IV secolo fino al 1959, quando le fu concessa l’autocefalia e un proprio patriarca: Cirillo VI di Alessandria. L’Occidente la definisce, non del tutto correttamente, copto-ortodossa, mentre è una Chiesa addirittura precedente al Concilio di Calcedonia, come quella armena, ed una delle poche chiese della cristianità che conserva il culto primitivo, tanto è vero che se vogliamo vedere come si viveva ai tempi di Cristo, sia socialmente che spiritualmente, bisogna andare in Etiopia.
Il motivo di questa conservazione si spiega in parte con la posizione geografica del Paese ma anche alla sua storia, che ha portato l’Etiopia ad un virtuale isolamento dal resto del mondo cristiano a partire dal VII secolo, conservando la forma di culto ricevuta nel IV secolo, tanto che essa è stata chiamata “l’isola della cristianità in Africa”, riuscendo a conservare la fede e la tradizione anche quando l’avanzata dell’Islam ha spazzato via nel VII secolo le fiorenti comunità del Nord Africa
Oggi, la Chiesa ortodossa etiope Tewahdo è la più grande delle Chiese ortodosse orientali. Tewahdo (ተዋሕዶ) è una parola Geʽez che significa “uniti come uno“. Questa parola si riferisce alla credenza ortodossa orientale nell’unica natura perfettamente unificata di Cristo, umana e divina, in contrasto con la credenza delle due nature di Cristo: natura divina e umana non mescolata, ma non separata, chiamata unione ipostatica, sostenuta dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa orientale, anglicana, luterana e dalla maggior parte delle altre chiese protestanti.
Anche l’Etiopia, in quanto cristiana, è stata ed è un modello di tolleranza e rispetto, consentendo la pacifica coesistenza di diverse religioni, in particolare tra cristiani e musulmani, che in alcune circostanze vivono in armonia anche all’interno dello stesso spazio e contesto familiare. Lo stesso Maometto in occasione della seconda egira del 615 d.C. così esortava i suoi seguaci in fuga dalla persecuzione dei Quraysh alla Mecca: «Se andate in Abissinia troverete un re cristiano sotto cui regno nessuno è perseguitato. È un regno di giustizia in cui Dio vi farà trovare sollievo da quanto state soffrendo». In quel periodo l’impero di Axum era uno dei più grandi regni cristiani conosciuti sulla terra e il suo dominio si estendeva fino all’Arabia meridionale, l’attuale Yemen.
(*) Co-fondatore di Associazione Scritti d’Africa
ed ex presidente del Centro Studi Africani in Italia