In Etiopia la guerra per il Tigray spacca anche la Chiesa
di Habte Weldemariam (*)
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NELLA CHIESA COPTA SI E’ CONSUMATO UNO SCISMA CHE POTREBBE INASPRIRE E ALLARGARE IL CONFLITTO
L’Etiopia dal 2018 è di nuovo in guerra. Un conflitto iniziato per riportare il Tigray sotto il controllo di Addis Abeba ma che sta avendo conseguenze dirompenti anche per la Chiesa locale. Il 26 gennaio 2023 infatti il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Etiopica Tewahdo (EOTC), nella sua riunione straordinaria convocata nella capitale etiope, ha scomunicato tre arcivescovi e 25 “vescovi”, accusati di aver ordinato illegalmente e, così facendo, di aver infranto il dogma ecclesiastico della chiesa e le leggi di Fetha Negest (“Giustizia dei Re”), un codice legale compilato per la prima volta dalla Chiesa ortodossa copta in Egitto e poi adattato e ampliato dalla stessa nel XV secolo d.C. I “vescovi ribelli” hanno quindi dichiarato la loro intenzione di istituire un sinodo rivale e si sono vendicati scomunicando diversi arcivescovi tra cui il Segretario generale del Sinodo, sua grazia Abune Petros.
Quali sono le richieste dei tre arcivescovi e di quelli da loro illegalmente nominati? Cosa c’è dietro l’attuale scisma? La risposta va cercata in una combinazione di fattori: politici, ideologici e di relazioni internazionali che poco hanno a che fare con la religione. Le richieste degli autori dello scisma sembrano vertere su questioni amministrative, etniche e linguistiche. Ad esempio, il fatto che le liturgie e gli insegnamenti non siano condotti in volgare sta causando la perdita di fedeli; inoltre l’enorme corruzione e i problemi amministrativi all’interno della chiesa non vengono adeguatamente affrontati. La gerarchia della chiesa poi è dominata da ecclesiastici Amhara, che non sarebbero troppo solleciti verso gli altri gruppi etnici.
Probabilmente però l’azione scismatica dei tre arcivescovi e del loro gruppo è semplicemente una cortina fumogena che cela una agenda politica etnocentrica ed esclusivista. Un po’ come avvenne anni fa quando un altro gruppo ecclesiale tentò di istituire un patriarcato separato per la regione di Oromo.
Una volta il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, ha paragonato l’EOTC a uno Stato. Una metafora ovviamente, ma data la sua storia, il numero di adesioni (si stimano da 50 a 60 milioni di fedeli ) e sebbene secondo l’attuale Costituzione non esista una religione di Stato in Etiopia, l’EOTC è de jure e de facto Chiesa di Stato. Dall’introduzione del cristianesimo fino al 1974, la Chiesa Etiope e lo Stato sono stati due facce della stessa medaglia: lo Stato fungeva da strumento politico per la Chiesa e la Chiesa da strumento ecclesiastico per lo Stato. Ma quando negli anni Sessanta anche in Africa si diffuse il principio dell’autodeterminazione dei popoli, pure in Etiopia le politiche “imperiali” etiopi vennero messe in discussione e sorsero movimenti di liberazione dal Tigray all’Ogaden, sostenuti dall’Eritrea che già combatteva per la propria indipendenza.
Decenni di guerra civile, culminati nella vittoria guidata da due movimenti di liberazione: Tigray People’s Liberation Front (TPLF) e Oromo Liberation Front (OLF) provocarono nel 1975 la fine dell’Impero Etiopico, ma anche nel 1991 del regime comunista militare che ne prese il posto mentre la nuova amministrazione fu riorganizzata su base etnica. Tuttavia la crescita esponenziale dell’islam e del protestantesimo ha reso problematica la fusione delle diverse entità etniche con il cristianesimo ortodosso etiope Tewahdo, come avrebbero voluto gli Amhara, i Tigrigni, e gli Agaw del Nord del Paese
Così nell’attuale clima politico-religioso in Etiopia è quasi impossibile distinguere tra rivalità etniche e rivalità politiche o religiose e lo scisma nella Chiesa Tewahdo è un’altra prova delle minacce che l’Etiopia sta attualmente affrontando, vale a dire l’etnocentrismo, che deriva dalla fusione dell’etnicità con la politica, e l’estremismo religioso che risulta dalla fusione dell’etnicità con la religione.
Il Santo Sinodo un paio di settimana fa, rispondendo alle osservazioni del primo ministro etiope Abiy’ Ahmede del presidente Abey Ahmed, ha rilasciato una dichiarazione con cui ha dato l’ultimatum al governo intimando di «adempiere alle responsabilità assegnate dalla Costituzione, salvaguardando il primato istituzionale della Chiesa, i diritti e gli interessi che le sono attribuiti dalla legge, e correggendo opportunamente le azioni illegali».
Insomma, la guerra in corso nel Tigray iniziata per motivi etnici è ora ulteriormente inasprita dalla spaccatura in seno alla Chiesa. Spaccatura che rischia di frammentare e disgregare l’intera Etiopia con conseguenze per la stabilità anche del Corno d’Africa.
(*) Co-fondatore di Associazione Scritti d’Africa
ed ex presidente del Centro Studi Africani in Italia.