Una legge è ingiusta se non rispecchia l’ordine naturale
di Daniele Trabucco
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GIUSNATURALISMO VERSUS HEGELISMO
Non credo all’hegelismo, ma al giusnaturalismo classico. Per Hegel (1770-1831), infatti, e per la filosofia idealistica in generale, esiste una identità tra ciò che é razionale e ciò che é reale con la conseguenza che l’unica realtà (tolto lo spettro kantiano del nuomeno o cosa in sé) é lo Spirito o l’Assoluto.
Pertanto, tutto ciò che avviene ha in se stesso la sua giustificazione, essendo un momento dialettico dello Spirito, e, dunque, é buono e sempre giusto.
Io ritengo, invece, sulla scia dei Maestri classici (Aristotele, Cicerone, Tommaso d’Aquino, Rosmini) e contemporanei (Castellano, Gentile) che un atto, una regola di condotta, una legge sia giusta (e non valida secondo i criteri del formalismo giuridico) nei confronti di un ente nella misura in cui rispetta l’ordine teleologicamente (Berti) inscritto in esso.
Negare questo ordine significa cadere nell’indifferentismo per cui ogni ente può essere qualsiasi cosa anche se, in concreto, esso potrà realizzare unicamente i fini inscritti nella propria natura (da non confondere con quella biologica).
A me pare che il pensiero hegeliano ponga diversi problemi di natura teoretica. L’Idea in sé di Hegel (il primo momento dello Spirito a prescindere dalla sua realizzazione nella natura e nello spirito) é infinita, universale, ma vuota in ordine al contenuto: è pensiero puro, finito, oggettivo, privo di determinazioni, è puro apparire.
Giustamente scrive il prof. Cornelio Fabro (1911-1995): “si deve subito osservare che il primo passaggio non è affatto un passaggio, ma una semplice constatazione formale d’identità intenzionale ed il passaggio è puramente semantico, cioè verbale, e nient’affatto reale-costitutivo. Quell’Essere immediato ch’è completamente indeterminato, vuoto, astratto… non è affatto, e non può essere chiamato Essere in nessun modo”.
In altri termini, esso, in quanto assolutamente indeterminato, cioè vuoto, si rivela già identico al non-essere e non c’è bisogno di farlo “passare” nel non-essere, nell’altro da sé, nella natura. Dunque, conclude Fabro, venuto meno questo passaggio, va all’aria anche il secondo”, mettendo in questo modo in crisi la stessa dialettica hegeliana.