Si avvicina San Valentino ma ricordiamo Perugina come esperienza esemplare di welfare aziendale
di Vincenzo Silvestrelli
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IMPARIAMO DAL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO: IL WELFARE AZIENDALE È UNA CARATTERISTICA PRECOCE ED ORIGINALE DELLA MIGLIORE IMPRENDITORIALITÀ ITALIANA
La Perugina, fabbrica della cioccolata, è stata un esempio di imprenditorialità geniale tipicamente italiana. È un caso studiato anche per la presenza di un archivio aziendale ben custodito che ha consentito di ricostruire la storia aziendale e il succedersi delle generazioni con una certa precisione.
La famiglia Buitoni, originaria di Sansepolcro in Toscana, iniziò l’attività con la produzione della pasta e dei confetti. Il trasferimento a Perugia vide, nel tempo, il predominio del ramo umbro della famiglia e la creazione di una fabbrica dolciaria che, nel tempo, divenne la principale azienda nel settore, superando anche la concorrenza di più titolate aziende del nord Italia.
Le ragioni del successo si possono trovare in un costante aggiornamento dei prodotti con una grande genialità nell’idearne di nuovi come la caramella Rossana e il tipico cioccolatino Bacio Perugina, famoso in tutto il mondo.
Altre scelte di successo riguardarono il posizionamento nei mercati nazionali con attenzione a quelli del sud Italia e di Roma e la scelta del settore del “lusso” nel settore della cioccolata, curando la qualità del prodotto e la sua confezione, come confermato anche dalla speciale edizione per San Valentino 2023 dei Baci Perugina “Amore e Passione” in collaborazione con Dolce&Gabbana.
La cura dei dettagli fu accompagnata dall’ingresso diretto nel settore delle confezioni attraverso l’acquisizione di una tipografia e di presenze rilevanti nel settore delle ceramiche. Ancora oggi a Deruta (Perugia) è possibile vedere gli esempi della lunga collaborazione fra l’azienda e i ceramisti locali, un’eccellenza nel loro settore. Artisti di prestigio nazionale i ceramisti vennero chiamati a far parte di un comitato che doveva sviluppare il bello nella creazione delle confezioni.
Un’altra delle ragioni di questo successo fu l’organizzazione del lavoro. Nella seconda metà degli anni Venti la fabbrica fu ristrutturata secondo le modalità della catena di montaggio, lasciando però il lavoro di qualità e “quasi” artigianale” nei settori più delicati come il confezionamento. Questa riorganizzazione, che anticipò i tempi, consentì alla azienda di rimanere sul mercato anche durante la grande crisi del 1929.
La riorganizzazione del lavoro del primo Novecento comportava la perdita di autonomia del lavoratore rispetto alla situazione artigianale. La catena di montaggio è un modo di lavoro spersonalizzante e quindi foriero di alienazione e conflitti sociali. Nel caso della Perugina questo però non avvenne. L’azienda aveva sviluppato un “welfare aziendale” in anticipo sui tempi ma estremamente gradito ai dipendenti. L’azienda, anche per l’ispirazione dell’imprenditrice Luisa Spagnoli (1877-1935), non proprietaria dell’azienda ma legata a Giovanni Spagnoli, promosse varie iniziative per il personale che mantennero in azienda un clima positivo. Furono ad esempio create una cassa-mutua malattie, una cassa interna di deposito dei risparmi, la possibilità di anticipo ai dipendenti per l’acquisto della casa o altre necessità, il servizio mensa, il trasporto tranviario scontato e molteplici iniziative di dopo-lavoro. Non mancavano anche la filarmonica per l’insegnamento della musica e corsi per apprendere le principali lingue internazionali allora in uso.
Si trattava, insomma, di provvidenze non previste dalla legge che però contribuirono a creare un ambiente positivo in fabbrica.
Durante il fascismo l’azienda divenne un esempio e fu anche visitata da Mussolini. Il personale, essenzialmente femminile, poteva contare inoltre su una sala di allattamento dove le operaie potevano accudire i neonati. Questa iniziativa fu sviluppata, nel secondo dopoguerra, con l’istituzione di un vero e proprio asilo aziendale. Interessante anche la storia di questa struttura. Dopo l’acquisizione della Perugina da parte della Nestlé essa fu chiusa perché non rientrava nelle politiche della multinazionale. Dopo alcuni anni però l’asilo fu ripristinato con un significativo calo delle assenze del personale dipendente.
La visione di Luisa Spagnoli e di Giovanni Buitoni nella gestione del personale erano state quindi più efficaci di quelle della grande e “moderna” Nestlé...