Giornata della Memoria: basta per evitare il male?
di Antonio Cecere
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DELLA RICORRENZA DEL 27 GENNAIO FACCIAMO IL PUNTO PARTENDO DA ALCUNE CONSIDERAZIONI NATE IN SENO ALL’ESPERIENZA DI CHI, OGNI GIORNO, SI RITROVA A FIANCO DEI PIÙ GIOVANI
In questi giorni ho iniziato a spiegare Nietzsche in quinto. Seguendo i suggerimenti di un testo, Philosophia ludens, Edizioni Meridiana, messo a punto dalla brava prof.ssa Annalisa Caputo dell’Università di Bari, ho chiesto ai ragazzi di rappresentare, stile dramma poliziesco con tanto di omicidio, ritrovamento e poi interrogatori la Morte di Dio dal testo de La Gaia Scienza. Inutile dire che fra le varie interpretazioni classiche ho aggiunto quella mia per cui Nietzsche guarda il futuro e traduce quello che sarà poi il Novecento, utilizzando a tal scopo un raffronto con i passi scritti da Wiesel nel suo La Notte, in cui la morte di Dio è rappresentata da un bambino, Pipel nel testo, che viene impiccato. E alla domanda conseguente su dove sia Dio ecco la risposta: «È appeso lì, a quella forca!». Un tema quindi, quello nicciano, che se ampliato guardando al Novecento e ai giorni odierni risulta facilmente identificabile come una diagnosi senza prognosi benigna, espressione di un malessere che prima o poi l’umanità avrebbe dovuto conoscere nel pensiero del filosofo tedesco.
Comunque sia, in una delle scene realizzate in classe dai tre gruppi di ragazzi in una è apparso Dio, vestito come tutti, a parte solamente una immagine sacra a fare capire chi fosse sul petto, mentre gli altri ragazzi si divertivano, urlavano e chiacchieravano del nulla. Chi rappresentava Dio implorava di ascoltarlo, di sentire cosa volesse comunicare, ma nessuno si degnava di guardarlo. Anzi, lo deridevano, lo spingevano e lo vedevano come un pazzo. A un certo punto nella scena cade e tutti gli passano da sopra, ridendo anche del suo essere inerme a terra, finché arriva un altro ragazzo che vede questo ragazzo sul pavimento, ormai morto. Dopo il breve interrogativo su chi fosse, tutto torna alla solita caciara, con l’espressione detta da una allieva che “solo le passioni sono vita” e che non c’era tempo per altro. Mentre Dio restava a terra, esanime, senza che nemmeno qualcuno chiamasse i soccorsi. La scena è poi continuata con la ricerca da parte della polizia dell’identità del morto che poi scoprono da un documento essere Dio. Ma la parte rilevante sui cui mi sono soffermato è stata quella precedente.
Ho quindi riflettuto sul fatto che forse i ragazzi, pur se nel gioco e nello scherzo, hanno azzeccato il nostro modo di vivere. I poveri Cristi di ogni giorno sono dimenticati, scartati come qualcosa di inutile, da tutti. In cui il folle è chi crede, non chi dice di non credere per la maggior parte della società. E ho pensato che forse quello che uno Zarathustra di Nietzsche dovrebbe dire oggi è la “morte dell’umano, dell’uomo” e non di Dio. Il che dovrebbe farci riflettere sulla dinamica che ci allontana dall’essere persone per conquistare il divenire individui, quasi a segnalare, cosa che poi mi ha scritto un caro amico, che in realtà uccidere Dio, eliminarlo dal nostro orizzonte di vita è proprio questo che comporta: la morte di ciò che è veramente e propriamente umano lasciando così l’umanità in balia dei propri istinti ed egoismi, dell’ “io voglio”, che lungi dall’essere il trionfo dell’Uomo, come lo stesso Nietzsche pensava, è in realtà la sua fine, la sua morte. Il relativismo dello scarto è ogni giorno presente, esaltando come divinità il Nulla, l’influencer di turno, una visione personalissima di ciò che io desidero e che deve essere accettato per forza, nonostante esistano valori universali riconosciuti.
A questo aggiungo un’altra cosa, nel mio solito giochino sui paradossi che faccio nelle classi quando ho ore di sostituzione. Seguendo un classico esempio della dottrina del doppo effetto chiedo agli allievi dapprima chi salverebbero fra 1 minatore e 10 altri minatori intrappolati, dove la deviazione dell’acqua di una falda acquifera porta inevitabilmente al salvataggio di 1 o 10 e alla morte dell’altro/altri. Dopo altri paradossi simili, dallo scegliere fra la persona che più si ama al mondo e 10 sconosciuti così come quello di scegliere fra la persona più buona al mondo e 10 fra i peggiori malavitosi, pedofili, terroristi giungo all’ultimo paradosso, più personale. In questo caso ultimamente mi è capitato, per due volte, di notare che molti ragazzi (90% circa), alla domanda piena di lusinghe e promesse di carriera e denaro se avrebbero fatto da medici degli esperimenti mortali su bambini ebrei al tempo immediatamente antecedente l’avvento al potere del partito nazista hanno detto sì affermando che “se non faccio io gli esperimenti li farà qualcun altro”. Il paradosso avviene immergendoli nel pieno dell’agonia della democrazia di Weimar del 1932 e i medici vengono posti di fronte anche alla minaccia in caso di no della perdita futura della vita e a benefici futuri per i bambini tedeschi. Naturalmente si gioca con la storia, che normalmente non è conosciuta. Non sapendo del Progetto T4 e di quanto poi sarebbe avvenuto, non comprendendo subito che in quel tempo ci sarebbero state ancora elezioni libere andando Hitler al potere solo nel 1933, l’immedesimazione ha portato a risultati sconvolgenti. Se vari ragazzi, non ragionandoci su, esprimono un sì, addossandosi omicidi perché altrimenti li avrebbero fatti altri, fa pensare. Poi si è dialogato di questo e mi è stato riferito dai ragazzi, ammutoliti, che nessuno avesse pensato davvero alle conseguenze del paradosso: sarebbero tutti stati a favore del Nazismo in quel tempo. Qualcuno ne è rimasto terrorizzato, specie sentendo le risposte del sì, mentre la minoranza diceva no. Nonostante le Giornate della Memoria abbiamo ancora il seme del non ragionamento che ci pervade, dove il seguire l’istinto della risposta facile arriva. Certo, era un gioco di paradossi. E quei ragazzi sono fra i più combattivi nel difendere i diritti delle minoranze nelle manifestazioni. Ma la loro risposta in quelle ore di sostituzione è stata quella.
A dimostrazione forse, come poteva pensare Nietzsche, che se muore la ragione morirà anche la fede e di conseguenza l’uomo. Insegnando da vari anni più vado avanti nelle classi a fare la serie dei paradossi bioetici e più emerge questa indifferenza sulle conseguenze, sui fini e i doveri in ragazzi sempre bravissimi, in gamba, ma in cui la dimensione morale, anche nel gioco, si assottiglia. Al che mi è giunta in testa la domanda: vuoi vedere che forse Friedrich aveva visto il futuro davvero ed è diventato pazzo per non guardare? E chi è il vero folle oggi?