Quel cambio al vertice repentino nel governo della Nuova Zelanda
di Gian Piero Bonfanti
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È DAVVERO PLAUSIBILE CHE UNA “LADY DI FERRO” COME LA ARDERN POSSA AVER IMPROVVISAMENTE CAMBIATO DIREZIONE
È successo in Nuova Zelanda, dall’altra parte del mondo. Nei giorni scorsi il premier del Partito Laburista nonché Primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, ha presentato pubblicamente le sue dimissioni.
Il motivo? “Il mio mandato come primo ministro si concluderà entro e non oltre il 7 febbraio” ha dichiarato in conferenza stampa la Ardern. “Questi sono stati i cinque anni e mezzo più appaganti della mia vita, e certo ci sono state anche numerose sfide. Ma non me ne vado perché è stato difficile, se fosse stato così, probabilmente avrei lasciato il lavoro dopo due mesi. Lascio perché un ruolo così privilegiato comporta responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta a guidare e anche quando non lo sei. So cosa richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza energie per rendergli giustizia (…) L’unico aspetto interessante di questa storia è che dopo aver affrontato grandi sfide per sei anni, sono un essere umano. I politici sono umani. Diamo tutto quello che possiamo, finché possiamo. E per me, ora è arrivato il momento”. Infine, dopo aver ringraziato chi le è stato accanto in questi anni, si è rivolta al suo compagno: “Clarke, ora sposiamoci”.
Questa scena “struggente” è stata caratterizzata dal volto contrito e dalla voce emozionata della Ardern. Ma è davvero plausibile che una “lady di ferro” come la Ardern possa aver improvvisamente cambiato direzione?
La stessa che in cinque anni di mandato ha affrontato già nel 2019 l’evento terroristico nelle due moschee di Christchurch, dove persero la vita 51 persone. La stessa che abbiamo visto nove mesi dopo affrontare l’esplosione di Whakaari/White Island, un’eruzione inaspettata sull’isola vulcanica, al largo della costa orientale dell’Isola del Nord, che ha ucciso 22 turisti e ne ha feriti altri 25. È stata inoltre la prima premier del Paese a partecipare a un Pride, nel 2018 ed in seguito ad incontrare la regina Elisabetta, al vertice dei leader del Commonwealth dello stesso anno, indossando il korowai, l’abito tradizionale Maori.
Si può pensare che a 42 anni questa donna non abbia più energie da dedicare alla sua fervente carriera politica? Forse è più plausibile pensare che sia invece un problema a livello di leadership.
Il suo successore, Chris Hipkins, salvo imprevisti, prenderà il posto di Jacinda Ardern. Hipkins potrà restare nel ruolo di primo ministro per i prossimi otto mesi, sino ad agosto, dopodiché dovrà condurre il suo partito alle elezioni politiche.
Hipkins è noto per aver assunto durante la pandemia di coronavirus un ruolo guida nella gestione della crisi. In un Paese che aveva chiuso i propri confini per limitare il rischio di contagio e li aveva riaperti solo lo scorso agosto, Hipkins aveva ammesso l’anno scorso che le persone si erano stancate delle restrizioni descrivendo ormai “difficile” mantenere la chiusura. A lungo è rimasto all’ombra della Ardern, dopo che questa era diventata un’icona della sinistra, interpretando quest’ultima un nuovo stile di leadership pragmatica e declinata al femminile.
Tutto ciò appare una vera e propria mossa politica, anche se la narrazione ufficiale vuole far credere alla storia romantica che una testimonial di una sinistra dissoluta voglia improvvisamente voltare pagina ed intraprendere una vita morigerata al caldo del focolare domestico.
Se così fosse tanti auguri s.ra Ardern, siamo contenti per lei se è tornata ad apprezzare i valori tradizionali. Lascia perplessi che una leader così giovane di un paese che conta poco più di 5 milioni di abitanti possa ritrovarsi in 5 anni priva di energie per il suo ruolo politico.
Speriamo che la stessa sorte non sia riservata alla nostra quarantaseienne presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni. Lei ha infatti il compito gravoso di fare ripartire un paese come l’Italia, che conta ca. 59 milioni di abitanti e che versa in una condizione economica delicata grazie anche ad uno tsunami politico vissuto durante gli ultimi anni di governo.