Il prof. Eugenio Capozzi: “L’Italia non ha un’effettiva sovranità politica o economica”
di Matteo Orlando
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IN LIBRERIA “STORIA DEL MONDO POST-OCCIDENTALE – COSA RESTA DELL’ETÀ GLOBALE?”. LO STORICO EUGENIO CAPOZZI: “DEBITO PUBBLICO, INGRESSO NELL’UE, PRESSIONE SUBÌTA DA MERCATI INTERNAZIONALI E AGENZIE DI RATING, SUBALTERNITÀ CULTURALE AD ÉLITES OCCIDENTALI, HANNO BLOCCATO QUASI TOTALMENTE LA LIBERTÀ DI AZIONE DELL’ITALIA”
La fase storica successiva alla guerra fredda, prevalentemente definita “età della globalizzazione”, cominciava con la diffusa aspettativa di una affermazione del modello politico, economico e culturale occidentale a livello planetario, rispecchiata da un assetto di potenza unipolare a guida statunitense.
A distanza di più di un trentennio, il bilancio storico del periodo smentisce totalmente quella previsione. L’aspirazione unipolarista si è infranta davanti al riemergere di conflitti etnico-nazionalistici, religiosi e di civiltà, ed è stata sostituita dalla realtà complessa di un mondo strutturalmente multipolare, in cui l’Occidente si è decisamente ridimensionato, ed è tornata in luce con forza la geopolitica.
In “Storia del mondo post-occidentale – (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, CZ, 182 pagine, cartaceo ed Ebook) il professor Eugenio Capozzi, Professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, studioso della storia del costituzionalismo occidentale, della cultura politica liberale, conservatrice e cattolica, della partitocrazia e l’antipolitica nella storia italiana, dei conflitti ideologici in Occidente nel secondo Novecento e nel XXI secolo, si occupa di un problema particolarmente attuale.
Informazione Cattolica ha intervistato il professor Capozzi.
Cosa le fa pensare che il mondo si stia spostando da una articolazione unipolare (americanocentrica) ad una multipolare?
Alla fine degli anni Ottanta il potere economico mondiale era ancora saldamente nelle mani dei paesi industrializzati occidentali, pur con la prima ascesa delle economie asiatiche. Ma la globalizzazione degli scambi creò le condizioni per la crescita spettacolare di paesi giovani e popolosi, ricchi di manodopera a basso costo, e/o molto dotati di materie prime, tra cui soprattutto Cina e India, ma anche Russia e nazioni dell’Indocina, dell’Africa, dell’America Latina. Questo riequilibrio economico tra vecchie e nuove potenze industriali produsse anche un riequilibrio politico, con la formazione di poli di potenza regionali, e un riequilibrio culturale, con una tendenza di molti paesi emergenti a rivendicare la propria identità anche in maniera conflittuale rispetto all’occidentalizzazione americanocentrica. A lungo l’Occidente, ancora sotto l’impressione vittoriosa del post-guerra fredda, non comprese o sottovalutò l’evoluzione verso un mondo multipolare. Così ha cercato, e ancora cerca, di imporre attraverso le istituzioni, la governance globale o la forza la propria visione della modernizzazione, con scarso successo e molte frustrazioni.
Perché la globalizzazione sembra fallita?
Perché la globalizzazione, nata come estensione planetaria del modello di mercato, di diritto/diritti, di società di massa occidentali, il cui esito avrebbe dovuto essere una integrazione a tutti i livelli con il superamento degli Stati nazionali, si è tradotta in un mondo più frammentato e conflittuale, tra ritorno al protezionismo, ritorno della geopolitica e della politica di potenza, corsa alle materie prime, “scontro di civiltà”. Non è che sia fallita la globalizzazione in se stessa, che è stato un momento di rimescolamento, connessione e riequilibrio dei poteri mondiali; ma più che altro è stata deformata la percezione e la rappresentazione che gli occidentali a lungo ne hanno avuto. Essa non ha corrisposto alle loro aspettative e, contrariamente a quanto pensavano, era una fase non di plenitudo temporum, ma di transizione.
Quale futuro attende l’Italia in un ottica non più globalista e multipolare?
Se l’Italia avesse una effettiva sovranità politica o economica, sarebbe logico che tentasse di sfruttare la propria peculiare posizione geopolitica e culturale di collegamento tra Europa dell’Ovest e dell’Est, Europa e Mediterraneo/Medio Oriente/Africa, Occidente e area latina, configurandosi come paese di dialogo e mediazione, come peraltro spesso aveva fatto durante la guerra fredda; e sarebbe altrettanto logico che cercasse di valorizzare nelle aree del mondo emergenti il proprio know how, la propria tecnologia, le proprie caratteristiche imprenditoriali. Ma a partire dagli anni Novanta il debito pubblico, l’ingresso nell’Ue, la costante pressione subìta dai mercati internazionali e dalle agenzie di rating, la subalternità culturale alle élites occidentali legate all’alleanza tra dirigismo statale e mega-corporation digitali hanno bloccato quasi totalmente la libertà di azione dell’Italia, e ne hanno mortificato ogni potenzialità, riducendo la sua politica a una “esecuzione di compiti a casa” da parte di vincolanti esterni. Una gabbia che condanna il nostro paese a stagnazione, decadenza, depressione, aggravata da fenomeni sociali dalle conseguenze catastrofiche come il crollo demografico, particolarmente acuto per un incrocio di fattori culturali e psicologici.