Una menzogna contro natura tiene in scacco l’intera società
di Maria Bigazzi
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LA PROPAGANDA MARTELLANTE SPINGE A FAR CREDERE CHE NON ESISTE PIÙ ALCUNA DIFFERENZA BIOLOGICA TRA MASCHIO E FEMMINA…
L’autore russo Aleksandr Solzenicyn scriveva che “il rifiuto di partecipare alla menzogna è la chiave della liberazione”, ed è proprio la menzogna che oggi tiene in scacco l’intera società.
Lo abbiamo potuto constatare in diversi ambiti in questo ultimo periodo, ma c’è qualcosa di ancora più grave che riguarda la persona nella sua integrità e dignità.
Da tempo assistiamo a una propaganda martellante che spinge a far credere che non esiste più alcuna differenza biologica tra maschio e femmina, ma che bisogna realizzarsi in ciò che ci si sente di essere.
È il modello che viene presentato ai giovani oggi e che colpisce in particolare quelli che stanno attraversando un momento di difficoltà e quindi già psicologicamente più maneggevoli.
I casi sono molteplici, molti dei quali arrivano dall’America dove il cambio di sesso è permesso già da tempo, mietendo un numero spaventoso di vittime di cui pochi parlano, ma riportato da alcuni studi anche recenti.
In Italia con la legge 164/1982 è stato attribuito al tribunale il compito di dichiarare, con sentenza, la rettificazione del sesso attribuito al soggetto. Il diritto prescrive che il tribunale provvede dopo aver accettato con il supporto di competenze medico-psicologiche la presunta differenza di sesso da quello apparente, e dopo aver valutato la necessità o meno di procedere con un intervento chirurgico sugli attributi sessuali esteriori. La variazione di sesso è registrata poi negli atti dello stato civile.
Tale legge è stata modificata dal dlgs n. 150/2011 e in seguito dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 221/2015, la quale “ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1, della l. n. 164/1982 (sulla rettificazione dell’attribuzione del sesso), precisando che il trattamento chirurgico non deve essere considerato quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.
Ciò ha aperto a un nuovo termine oggi molto utilizzato ma che non ha alcun significato, ovvero la cosiddetta “disforia di genere”, definita dal pensiero comune come “una condizione di disagio provocato dalla sensazione di non appartenere alla categoria di genere a cui si è stati attribuiti nel momento della nascita. Un vissuto di incongruenza rispetto alla propria identità di genere che provoca disagio e sofferenza”.
Si tratta del punto di partenza per passare poi al cambio di genere che si concretizza oggi soprattutto con l’assunzione di ormoni che modificano i connotati senza ricorrere alla chirurgia ma che comunque agiscono in modo invasivo e visibile sul corpo della persona, portandola a un cambiamento con conseguenti gravi problemi a livello sia fisico ma anche psicologico.
Sono tanti i casi di giovani che si sono affidati alle cliniche per il cambio di genere, iniziando la terapia e trovandosi a un certo punto, dopo una apparente soddisfazione, in una situazione di grande disagio, con gravi ripercussioni sull’intero fisico e mentalmente provati al punto di togliersi la vita.
Questa purtroppo è la triste realtà, conseguenza della pericolosa e falsa propaganda che vuole presentare come normalità un’azione che è contro la natura stessa dell’uomo e che comunque non cambierà mai il suo essere, il cui DNA corrisponde sempre e solo a uno dei due sessi esistenti, maschile o femminile.
Eppure, tale pratica non sembra destare preoccupazione, anzi, è diventata qualcosa socialmente accettabile ed espressione di libertà.
Anche in Italia non mancano i casi, ultimo quello riportato su alcuni siti online nei primi giorni di gennaio in cui si racconta la storia di una giovane ragazza di Capoterra che ora, dopo aver fatto per diversi mesi la terapia a base del testosterone (ormoni che vanno a sopprimere il ciclo mestruale e diminuiscono significativamente la produzione di estrogeni dalle ovaie, contribuendo cambiare progressivamente anche la voce), si identifica in un maschio, cambiando anche il suo nome.
La ragazza nella video intervista ripercorre in modo molto veloce e frammentario il periodo che l’ha portata a cominciare la terapia, ritenendo che già dalla seconda media percepiva un malessere che pensava dovuto a un problema legato al suo essere fuori dal peso normale. A suo dire, si è accorta poi che si trattava invece di un disagio causato dal non identificarsi nel proprio sesso. Non mancano le accuse al paese di appartenenza giudicato da lei chiuso mentalmente e alla Chiesa, ritenuti indietro con i tempi e motivo di freno nel dichiararsi trans.
È molto triste sentire come la stessa ragazza racconta e invita anche gli altri a non avere paura di intraprendere tale strada e di fare senza paura “coming out”, perché – afferma – “ci sarete solo voi dal primo all’ultimo giorno della vostra vita, e non ci sarà nessuno che sarà con voi quanto tanto voi stessi”.
Senza volerlo la ragazza ha ben delineato cosa porta il seguire tale menzogna: alla solitudine e al non sentirsi mai a posto con sé stessi, perché ci si ritrova a vivere in un corpo che non è il proprio. Non è il suggerire di essere ciò che si vuole che aiuta a superare i tanti malesseri presenti in alcuni giovani generati da fattori esterni, ma il fare conoscere la grandezza e bellezza della dignità della persona, di ciò che si è e che ognuno è chiamato a essere fin dal momento in cui viene concepito, come irripetibile, originale e unico. Ciò si concretizza nel riconoscere la propria dignità dovuta all’essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio.
Oggi, in un mondo globalizzato e iperconnesso, i grandi problemi che caratterizzano la nostra società sono la solitudine e l’egoismo che si ripercuotono sul prossimo, con il proporre e l’accettare modelli menzogneri che mirano a ferire l’uomo nella sua intimità.
Tutto questo è inoltre una grande fonte di business che miete continuamente vittime, soprattutto di giovane età, e che viene proposto anche come soluzione al tanto denunciato quanto inesistente problema della sovrappolazione, per cui vengono portate avanti aberranti teorie e pratiche in cui si vuole ridurre il numero delle nascite attraverso la sterilizzazione, aborti, e pratiche contro la Vita dal concepimento fino alla vecchiaia, dove rientra anche l’eutanasia per ridurre i soggetti anziani, considerati assieme ai malati e ai disabili come “inutili e di peso”.