Nella repubblica armena dell’Artsakh si rischia una catastrofe umanitaria
di Pietro Licciardi
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120MILA PERSONE OSTAGGIO DELL’ARZEBAIJAN NELLA QUASI INDIFFERENZA DI UNIONE EUROPEA E STATI UNITI, CHE MENTRE SI MOBILITANO PER L’UCRAINA ABBANDONANO AL PROPRIO DESTINO GLI ARMENI
Nonostante l’aggressione dell’Arzeibaijan all’Armenia iniziata il 13 Settembre scorso sia molto simile a quella che ha scatenato il conflitto russo-ucraino, dell’Armenia si continua a non parlare. Solo qualche giorno fa i media sono usciti dal letargo per riportare la notizia che “manifestanti” azeri hanno bloccato l’unica strada che collega la repubblica dell’Artsakh all’Armenia impedendo gli spostamenti e l’afflusso di rifornimenti ai circa 120mila abitanti causando una crisi umanitaria.
Per aggiornarci sulla situazione ancora molto drammatica di quell’area abbiamo intervistato ancora una volta Emanuele Aliprandi, il quale fa parte del direttivo della Comunità armena di Roma, analista geopolitico specializzato nelle dinamiche della regione del Caucaso, su cui ha pubblicato diversi libri, e che alle vicende del Nagorno-Karabakh ha dedicato il volume Pallottole e petrolio, edito da Amazon dove oltre a fornire una cronaca della guerra dell’autunno 2020 Aliprandi illustra anche le problematiche post conflitto.
Ci aggiorni sull’attuale situazione. Si combatte ancora?
«Quella di Settembre è stata una operazione militare massiccia che in un paio di giorni ha causato la morte di almeno 250 armeni con anche alcune efferate esecuzioni da parte degli azeri. Successivamente la situazione si è un po’ normalizzata, nel senso che una parte dei soldati dell’Arzebaijan sono tornati nei loro confini mentre una parte è rimasta sul territorio armeno; l’Unione europea ha mandato una squadra di osservatori che hanno monitorato per tre mesi la linea di confine che però si estende per 450 chilometri ed è difficile che un manipolo di funzionari possa ave avuto la situazione sotto controllo, tuttavia sembra siano riusciti a scoraggiare ulteriori azioni azere. La situazione quindi è rimasta stabile seppure estremamente tesa»
Tuttavia vi è stata una novità: il blocco da parte degli azeri dell’unica strada che collega la repubblica armena del Artsakh all’Armenia. Questo dal punto di vista politico e umanitario che significa?
«Il 12 dicembre si è aperto un nuovo capitolo: la strada che collega la città di Goris a Stepanakert, capitale de facto del Nagorno Karabak, è stata bloccata da dei sedicenti ambientalisti, tra i quali peraltro sono stati individuati dei militari azeri in abiti civili, che protestano per certe attività minerarie in Artsakh. La strada è l’unico collegamento tra la piccola repubblica ha con l’Armenia e quindi col resto del mondo e tutto il transito di persone e merci si svolge su questa arteria. Ora, i problemi ambientali dell’Arzeibaijan sono ben altri, a cominciare dalle coste del Caspio inquinatissime dallo sfruttamento petrolifero, e quindi si tratta chiaramente di un pretesto. Comunque sia nessuna motivazione, anche la più nobile può giustificare l’isolamento di 120mila persone, che dal 12 Dicembre non solo non si possono più muovere – ci sono intere famiglie rimaste divise e bambini del Karabak che l’altra domenica sono andati a vedere la finale dell’Eurovision song contest a Yerevan che non sono più potuti tornare indietro e adesso sono da soli in Armenia – ma non ricevono più merci. Arrivano foto di supermercati con gli scaffali ormai vuoti e anche la benzina scarseggia. A causa della mancanza di medicine tutte le operazioni chirurgiche programmate sono state posticipate e si ha notizia di pazienti deceduti. La situazione ormai è destinata a sfociare in crisi umanitaria. In più per quattro giorni gli azeri hanno interrotto la fornitura di gas con le temperature che sono ormai prossime allo zero, anche se per fortuna dopo un po’ di proteste internazionali quel blocco è stato rimosso».
Ha appena detto che qualche protesta a livello internazionale comincia ad esserci…
«vedendo le rassegna stampa della vicenda si comincia un po’ a parlare. C’è stato anche l’intervento del Pontefice, che domenica scorsa ha ricordato la situazione critica e il rischio umanitario. Forse al di là di tante belle parole di principio occorrerebbe che le istituzioni si muovessero, in primo luogo l’Unione europea, per obbligare l’Arzeibaijan a rimuovere il blocco»
Quella in corso insomma più che una protesta somiglia ad un assedio. Un po’ esagerato dirlo?
«I primi manifestanti che si sono presentati sulla strada tra Goris a Stepanakert erano si in abiti civili ma molti erano militari ed ex militari, poi sono arrivati addirittura dei soldati dell’Arzebaijan i quali non dovevano stare lì in quanto a seguito dell’accordo del 2020 quella zona doveva essere di esclusiva competenza della forza di pace russa, circa duemila uomini, schierati per scongiurare una ulteriore guerra».
Potrebbe esserci una qualche soluzione per l’attuale crisi?
«Il capitolo è complicato, perché ci sono molti interessi in gioco. Russia e Arzebaijan a Febbraio hanno firmato un accordo di stretta cooperazione in quanto per tutta una serie di ragioni la Federazione ha molto bisogno degli azeri per una serie di motivi principalmente economici e commerciali. Uno di questi è che il gas russo continua ad arrivare in Europa attraverso l’Arzebaijan, il quale peraltro applica un congruo ricarico sul prezzo. Anche l’Armenia del resto ha forti legami con la Russia. Dall’altra parte abbiamo invece una Europa e un Occidente che anche approfittando della situazione drammatica in Ucraina e dell’indebolimento politico e militare russo stanno cercando di portare l’Armenia quanto più vicino possibile all’Occidente. Questo processo però si blocca nel momento in cui lo stesso Occidente guarda con troppa attenzione ai rapporti con l’Arzebaijan. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha definito la repubblica di Ilham Aliyev un partner affidabile ha dato una patente di affidabilità ad un paese che è al 158esimo posto per libertà di informazione e democrazia mentre Aliev è appena un po’ più su del leader nordcoreano Kim Jong-un. Insomma se l’Europa dà dell’affidabile ad un leader che con la sua famiglia è da trent’anni alla guida del suo paese vuol dire che l’unico suo interesse è quello economico ed energetico e quindi riuscire a spostare la bilancia delle influenze per quanto riguarda l’Armenia avendo una tale attenzione per l’Arzebaijan è molto difficile».
Sembra di capire che il rischio per gli armeni è di contare poco o nulla…
«Si parla tanto di buoni principi, di questioni umanitarie ma nella ipocrita politica internazionale di questo ci si interessa fino a un cero punto. Stati Uniti ed Unione europea spingono molto per la pace con l’Arzebaijan ma più che una pace sembra vogliano una resa incondizionata degli armeni e mentre si pensa a questo ci sono anche mire azere sull’Armenia meridionale per creare un collegamento tra Turchia e Arzebaijan per realizzare il sogno dei Giovani Turchi dell’Impero Ottomano che spinse al genocidio armeno. Soprattutto non si tiene conto del destino dei 120mila armeni che si trovano nel territorio conteso i quali hanno tutto il diritto di stare lì e di essere indipendenti»
Anche perché gli armeni dell’Artsakh che fine dovrebbero fare?
«In effetti parliamo di 120mila persone di lingua armena, cristiani che stanno in un territorio dove sono considerati un nemico e dove a scuola si insegna ad odiarli. Alcuni esponenti politici azeri, a cominciare dallo stesso presidente Aliev, hanno detto che gli armeni avrebbero gli stessi diritti degli altri arzeibaijani, il che fa un po’ sorridere dato che gli arzebaijani di diritti ne hanno molto pochi. In realtà ciò a cui si punta è una de-armenizzazione di questo territorio».