“La porta del cielo” e il ruolo di Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI)
di Franco Olearo*
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IL VIAGGIO SU UN TRENO VERSO IL SANTUARIO DI LORETO CHE METTE INSIEME IL DOLORE E LA SPERANZA CHE LO COMBATTE
Ebbene, si. C’era un tempo, subito dopo la guerra, nel quale il Centro Cattolico Cinematografico, patrocinato dall’allora mons. Giovanni Battista Montini, finanziava la produzione di film. La Porta del cielo è uno di questi. È un film collettivo di persone che salgono su uno dei treni bianchi diretti al santuario di Loreto carichi di speranza. Su questo sfondo agiscono i protagonisti dei quali, con flashback veniamo a conoscere la storia. Non si tratta solo di infermità fisiche come il giovane ragazzo gentile che chiede scusa per trovarsi su una sedia a rotelle o il famoso musicista con una mano rattrappita che ha dovuto rinunciare a ciò che più amava ma anche una domestica, una dolce vecchina che va a pregare perché ritorni la pace familiare in quella casa dove ha servito per tanti anni e ha visto crescere tutti i figli. Oppure l’operaio che non trova la forza di accettare la sua terribile colpa. Alla fine al santuario di Loreto si ritrovano tutti insieme, dietro il sacerdote che porta il Santissimo Sacramento a invocare la santa Madre di Dio la loro guarigione. Non si vedono miracoli ma tante trasformazioni dei cuori di chi finisce per accettare la propria infermità o ha il coraggio di confessare la propria colpa.
L’avventurosa realizzazione di questo film merita un film a sé stante. De Sica era stato convocato da Goebbels a Venezia dove sarebbe dovuto nascere la cinecittà della repubblica di Salò. Fu Maria Mercader, sua prossima seconda moglie, già ingaggiata per La porta del cielo, a salvarlo: insistette e ottenne da Giovan Battista Montini, che fosse lui il regista del film. De Sica a sua volta volle avere come sceneggiatore Cesare Zavattini (nella foto) anche se non fu facile convincere un miscredente come lui, a scrivere una storia dove si parlava di fede e di miracoli. Sempre Montini diede l’autorizzazione perché le riprese potessero venir realizzate all’interno della Basilica di San Paolo fuori le Mura, che godeva dell’extraterritorialità. Le riprese iniziarono ad ottobre del 1943 quindi un mese dopo l’armistizio dell’8 settembre, nel periodo in cui le truppe tedesche occupavano la città.
Fu l’occasione per nascondere nei sotterranei un numero imprecisato di persone ricercate (ebrei, renitenti alla leva, rifugiati politici) e le riprese si protrassero per ben sette mesi, in attesa che Roma fosse liberata. Come ha raccontato Christian De Sica nel suo libro Figlio di Papà, questi rifugiati «abusarono dell’ospitalità loro offerta bivaccando, cucinando, fumando e amoreggiando dove capitava, con scandalo dei monaci». Possiamo facilmente immaginarci le discussioni animate che si saranno svolte fra De Sica e Zavattini. Pur nella piena libertà di espressione del regista e dello sceneggiatore, le richieste del committente erano chiare: esaltate la fede di tanti malati che si recano ogni anno al Santuario di Loreto per implorare di essere liberati dalle loro sofferenze, l’abnegazione di tante crocerossine e tanti volontari che si pongono al servizio dei fedeli su quel treno che partendo dalla punta dello Stivale percorre lentamente tutta l’Italia e a ogni fermata lascia salire altri infermi.
Sviluppare un film apologetico che si concludeva anche con una guarigione miracolosa sarebbe stato più facile e avrebbe senz’altro soddisfatto il committente. Ma De Sica avrebbe tradito se stesso. De Sica ci fa calare da subito in un contesto realista: ecco che vediamo i fedeli assiepati nella stessa cabina che si lamentano perché uno di loro si è alzato ed è caduta una valigia dalla rastrelliera ma a poco a poco finiscono per comprendersi e alla fine sollevano insieme il ragazzo paraplegico che sta con loro perché possa guardare per un po’ il paesaggio dal finestrino. Fra le tante crocerossine che si prodigano fra i malati c’è anche quella inesperta che viene redarguita perché non si è messa la cuffia. La loro superiora si lamenta (di nobile origini: è una contessa) perché portano a lei solo problemi ma poi tutto si risolve per il meglio e verso sera queste ragazze biancovestite possono guidare la recita del rosario fra i vari scompartimenti.
Vittorio De Sica realizzò un ottimo film ma non piacque alla committenza, perché non c’erano guarigioni miracolose e fu presto ritirato dai cinema. Disponibile su Youtube.
*redattore/editore del portale FamilyCinemaTv
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