Informare, senza illudere o mentire. In Italia è un’utopia?
di Pietro Licciardi
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COS’E’ LA PROPAGANDA E COSA LA MENZOGNA? UN ARGOMENTO CHE LA GUERRA E LA PANDEMIA DA COVID-19 HANNO FATTO DIVENTARE ATTUALE
Affrontiamo con Ugo Poletti, direttore del The Odessa Journal, argomento che ha trattato anche nel suo recente libro Nel cuore di Odessa: la menzogna nell’informazione, realtà diventata purtroppo attuale non soltanto in occasione della guerra russo-ucraina. Ricordiamo infatti come durante la pandemia da Covid-19 tv e giornali hanno affrontato la questione in maniera allarmistica e a senso unico, dando poco spazio a domande e fatti non allineati con la narrazione ufficiale.
Partiamo da quanto ha scritto nel suo libro. Ormai sappiamo che l’iniziale insuccesso russo è dovuto al fatto che hanno cercato di invadere l’Ucraina con meno di duecentomila uomini, assolutamente insufficienti per un paese così vasto. E’ evidente che si aspettavano di non combattere ed essere accolti dalla popolazione come liberatori ma così non è stato. E’ stato il frutto di un autoinganno?
«Ci siamo trovati di fronte a qualcosa di clamoroso. Se devo mentire ai miei amici o partner internazionali è chiara la convenienza ma qui la menzogna è stata rivolta alle stesse persone su cui si faceva affidamento. Un conto è la propaganda, ovvero condire la verità per non scoraggiare la propria popolazione, che in guerra è quasi un’arma necessaria; ma altra cosa è informare male i propri soldati su quello che li aspetta. Questo è qualcosa di drammaticamente criminale ma anche autolesionista».
Perché ai soldati russi non è stato detto di prepararsi a combattere un importante nemico armato?
«L’impreparazione e l’insuccesso dell’operazione militare io l’ho identificata in una incapacità da parte del sistema di leggere la realtà. Ciò nasce dal fatto che quando uno Stato sposa una verità, un dogma, un po’ come ai tempi dell’Unione sovietica, diventa schiavo di questa verità e non riesce più a riconoscere la realtà».
Qual è la vera differenza tra una vera e propria menzogna di regime e una verità, manipolata a fini propagandistici o per tenere alto il morale di una nazione in guerra?
«Nella propaganda si mente ma temporaneamente. Da bambini ci dicevano che le bugie hanno le gambe corte e in ciò vi è una parte di saggezza, nel senso che posso anche mentire ma sapendo che prima o poi qualcuno scoprirà la menzogna. La bugia può allora essere piccola e magari passare inosservata; oppure temporanea, nel senso che adesso non posso dirti che abbiamo perso una battaglia ma alla prossima vittoria lo dico in modo da far digerire meglio il colpo. E comunque c’è anche la questione della reputazione: non vale la pena mentire perché di chi dice regolarmente bugie non ci si fida più. Proprio questo dovrebbe essere il senso che limita la propaganda. Diverso invece è ciò che abbiamo scoperto in questa guerra in cui uno Stato ha aggredito sulla base di alcune convinzioni che non ha più potuto sconfessare. Molti avranno visto il film su Chernobyl in cui c’è una scena pazzesca in cui il regime sovietico non può ammettere che c’è stata l’esplosione di un reattore e questo ha impedito di soccorrere la centrale con i mezzi appropriati. Un altro esempio di come la bugia non è più un aiuto e un supporto ma danneggia chi la sta dicendo».
In Italia ma anche nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti le principali testate giornalistiche sono sembrate alquanto coinvolte nel conflitto, addirittura qualche tv non ha esitato a usare immagini false o tratte da videogiochi per descrivere una realtà almeno all’inizio molto meno drammatica di quella reale. Cosa pensi di questa tendenza a costruire narrazioni per avvalorare tesi precostituite da parte dei media anche in paesi virtualmente democratici come quelli europei?
«Pensiamo alla situazione dell’Italia durante l’emergenza Covid-19. Io immagino un governo sotto pressione, che però deve prendere delle decisioni dando l’impressione di averle prese giuste, perché un governo che non agisce crea panico nel paese. In queste situazioni estreme la comunicazione deve aiutare il governo e anche in tempo di pace supportarne le decisioni. Nel caso del Covid sono state sospese delle libertà personali e dei diritti e il popolo italiano lo ha accettato ma la comunicazione doveva rassicurare sul fatto che fossero misure necessarie. In una situazione di grande emergenza e pressione se la comunicazione comincia a dubitare si perde il controllo della società. Io le considero forme di propaganda per fortuna temporanea e passata l’emergenza si riaprire il dibattito».
Ma compito dei giornalisti è anche quello di farsi delle domande, che servono pure a dare un aiuto a chi deve decidere. Nel caso dell’emergenza Covid-19 invece stiamo vedendo adesso che molte delle misure prese erano largamente ingiustificate mentre a suo tempo chi cercava di mettere in guardia sul fatto che c’era la possibilità di causare grossi danni, anche alla salute, con determinate misure è stato praticamente messo a tacere
«Non vorrei sembrare favorevole alla propaganda, perché facendo anch’io il giornalista non la condivido ed è chiaro che la libertà e il coraggio di certo giornalismo è importantissimo per impedire che un regime libero si trasformi in autoritario. Prima volevo solo spiegare come talvolta anche una democrazia usa la comunicazione in una certa maniera, dopodiché per fortuna c’è il coraggio del giornalista. Però bisogna distinguere tra chi dissente solo per contrapposizione, senza fondamenti, e chi porta argomenti fondati. Come dicevo prima ci vuole coraggio perché chi va controcorrente spesso si becca conseguenze poco piacevoli».
Riassumendo, cosa porta un certo apparato a costruire false verità? E’ questa una caratteristica dei soli regimi dittatoriali e ideologici?
«I regimi come era quello sovietico si reggono su di un pensiero che non può essere messo in discussione e se ciò avviene il regime diventa fragile, perciò il controllo della comunicazione ha bisogno di essere totale. Lo abbiamo visto in Russia, dove anche solo dire che quella che si sta combattendo è una guerra porta guai. Un regime democratico non ha queste paure e da noi se anche ci fosse la costruzione di alcune verità utili ad una parte politica, se lo Stato funziona, ci sarebbe un giornalismo con la possibilità di riportare una opinione completamente diversa. Fino a quando avremo su un singolo fatto diverse opinioni e testate che si possono anche “picchiare” tra loro proponendo uno studio della realtà diverso siamo salvi».
E qui probabilmente chiamiamo in causa il ruolo dei social e di internet. In Italia c’è stata una forte flessione nella vendita dei giornali e anche gli ascolti tv sembra siano diminuiti, mentre invece vanno forte i canali come Youtube che forniscono informazione “alternativa”, anche se spesso e volentieri sono accusati di “complottismo”, proprio perché cercano di fornire una informazione diversa da quella “ufficiale”.
«Ormai i social si sono affermati come una fonte di comunicazione alternativa molto più veloce e dinamica dei media tradizionali. Un conto è la stampa quotidiana che scrive il giorno prima o lo studio televisivo che prepara la trasmissione con una propria linea editoriale e un conto sono i social i quali hanno due caratteristiche: utilizzano i video, i quali eccitano molto di più l’attenzione, e consentono il protagonismo. In una diretta Youtube posso scrivere le domande e partecipare e anzi, la cosa divertente che ho visto è che le persone che seguono la diretta a lato possono dialogare tra loro, come se fossero tutti in un salotto. I social hanno portato una comunicazione di buona qualità, con opinioni ed esperti che hanno dato qualcosa in più rispetto a ciò che porta la televisione. Sulla questione ucraina io sono stato invitato da tv, radio, giornali e poi dai social e credo di avere il polso della situazione. Ebbene, anche voi di InFormazione cattolica avete ospitato Mirco Campochiari di Parabellum il quale sulla questione militare offre aggiornamenti di una qualità superiore a quella dei media tradizionali. Attenzione però, in questa libertà anarchica ci sono anche persone che si creano dei ruoli e si divertono a dire di essere in possesso di verità che altri nascondono. Da questi però bisogna difendersi dandosi piccole regole in modo da non lasciarsi condizionare da “verità” che non hanno alcun fondamento».
Ad esempio?
«Se una persona è preparata e ha studiato la storia, conosce bene i temi, certi trucchi intellettuali li scopre. Purtroppo taluni social portano avanti verità assolutamente inconsistenti che catturano un certo numero di persone che non hanno gli strumenti».
Quando ero studente i miei insegnanti dicevano che per farsi una propria opinione su un certo argomento bisognava leggere diversi quotidiani. Poi ho scoperto che non è affatto vero. Bisogna piuttosto farsi una cultura per comprendere anche il significato di certe parole, che sono le stesse per tutti i giornali ma con significati diversi. Quando ad esempio la sovietica Pravda usava la parola “libertà” le attribuiva certamente un significato diverso da quello di un quotidiano occidentale…
«La cultura personale è importante. Se uno conosce la storia, la geografia anche un po’ di economia deve subito diffidare quando sente qualcuno che sbaglia storia, geografia ed economia. A me è capitato. Nella maggior parte dei siti che si basano sulla invenzione dopo un po’ ci si accorge che qualcuno sta parlando sbagliando i riferimenti storici. E’ la regola numero uno per capire se si ha a che fare con un mezzo di comunicazione credibile. Un social è serio soprattutto se quando fa delle affermazioni fornisce le fonti; bisogna infatti diffidare di chi dice: un amico mi ha detto… Oppure è successo anche che uno, siccome aveva sposato la figlia di un generale russo, sapeva tutto sulla strategia russa; come se un generale raccontasse ogni cosa al genero che oltretutto lo spiattella su internet. Ci sono inoltre due regole, una filosofica: il famoso rasoio di Occam, utile per salvarsi dalle stupidaggini: su ogni evento possono esserci diverse interpretazioni ma quelle più spericolate e azzardate si tagliano così alla fine rimane la spiegazione più semplice, che è anche la più realistica. Questo include il fatto che molti dei complotti a ben vedere, prendo ad esempio gli americani, prevedono che questi o sono troppo stupidi o troppo intelligenti. Se si immagina che tutto un apparato complesso come quello statunitense in cui specialisti, intellettuali e scienziati elaborano teorie sia tutto stupido è chiaro che chi ha elaborato questa teoria è inconsistente. Come è inconsistente l’ipotesi dell’azzardo. Ovvero dei complotti pensati come partite a poker. Facendo l’esempio della guerra russo-ucraina: gli americani hanno fatto finta di ritirarsi incoraggiando i russi ad attaccare così avrebbero compattato la Nato e indotto sempre i russi a logorarsi. Ragionamento bellissimo ma che si basa su un azzardo: chi poteva garantire che gli europei si sarebbero compattati? Non si basa una strategia di politica estera sulla probabilità che si verifichino uno dopo l’altro certi fattori. Sono queste le piccole regole che io adotto nei confronti dei social network: credibilità di chi parla, le fonti, niente ragionamenti troppo arzigogolati che il rasoio di Occam taglia, e dubitare dei complotti».
Alla fine quale lezione trarre dall’evento storico che stiamo vivendo?
«L’evento storico che stiamo osservando è utile per ripensare certi valori. Stiamo infatti drammaticamente scoprendo che chi dice troppe bugie non ne trae un vantaggio. Normalmente si mente per avere un guadagno o per essere in vantaggio in una relazione. Invece abbiamo scoperto che uno Stato che si basa sulla bugia costante si fa del male. La cosa che a me più stupisce e rattrista è vedere che un intero sistema che consideravamo minaccioso potente e forte con una catena di bugie ha creato un disastro che ha causato la morte di molte persone. Se il leader della Federazione russa dice che ha un esercito forte che vincerà facile ha creato le condizioni perché muoiano tanti soldati inutilmente dal momento che l’esercito non era forte, la corruzione non ha fatto arrivare gli equipaggiamenti e la popolazione non era affatto festosa. La cosa drammatica che mi ha stupito ancora di più che quando si è visto che il era nudo alla menzogna se n’è aggiunta un’altra. Come ha scritto Bertrand Russel la cosa terribile di chi dice menzogne è che poi non si fida più neppure della verità. Concludo con una storia personale. Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere un parroco a cui ho voluto molto bene che una volta mi disse: se Cristo è verità noi dobbiamo essere testimoni di questa verità. Questa cosa mi è ritornata nel senso che se nel mondo c’è un disegno – al quale personalmente credo – ogni volta sono obbligato a farmi un esame di coscienza se dico una bugia, perché la bugia diventa un veleno che fa del male».