Ucraina, ancora una chance per la pace
di Pietro Licciardi
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TRATTARE ADESSO DA UNA POSIZIONE DI FORZA O GIOCARSI IL TUTTO PER TUTTO? ZELENSKY E’ ANCORA UNA VOLTA DAVANTI A UN BIVIO
La guerra è sempre imprevedibile e mai è possibile sapere con certezza chi ne uscirà vincitore, anche se ovviamente vi sono fattori determinanti da considerare, come il numero di soldati che si è capaci di mandare al fronte e la quantità di armi che si riesce a produrre. Pure il morale di chi combatte ha il suo peso come abbiamo avuto modo di vedere nel conflitto russo-ucraino. Spesso, infatti, eserciti non numerosi e non poderosamente armati sono riusciti a resistere oltre ogni aspettativa. E’ stato così, ad esempio, per i Finlandesi che nel 1939-1940 inflissero all’Armata Rossa perdite enormi, anche se alla fine dovettero comunque cedere il 10% del proprio territorio.
Qualcosa del genere sta accadendo adesso con l’Ucraina, che dopo aver resistito – con il determinante aiuto occidentale – all’attacco iniziale russo, si è portata all’offensiva riprendendosi parte dei territori persi in Donbass e Lugansk oltre alla città di Kerson. Tuttavia, anche se in questa fase della guerra gli ucraini sembrano avere il morale alle stelle, e addirittura pensano a ricacciare gli invasori persino dalla Crimea, non ci si deve dimenticare che l’esercito russo, come ha dimostrato nella Seconda guerra mondiale, è un ottimo incassatore ed è in grado non solo di mobilitare ma, soprattutto, armare molti più uomini di quanto possa mai fare Kiev, ormai totalmente dipendente dagli equipaggiamenti occidentali.
Inoltre l’Ucraina non ha un apparato industriale in grado di sostenere una guerra prolungata mentre la Russia può attingere dagli enormi depositi di armi ereditati dall’Urss, che per quanto obsoleti sono sufficienti a sovrastare le capacità ucraine.
Il conflitto, dunque, sul piano militare può ancora risolversi a favore di Mosca, sempre che i suoi soldati adesso al fronte e assai demoralizzati, riescano a tener duro fino all’arrivo delle centinaia di migliaia di uomini già mobilitati e in addestramento. Vladimir Putin tutto questo lo sa e neppure lui ha mostrato la benché minima intenzione di sedersi ad un tavolo per trattare, ben sapendo che uscire da questa guerra con le sue capacità militari gravemente compromesse e senza aver raggiunto oltretutto gli obiettivi prefissati sarebbe una umiliazione talmente grave da far dimenticare al suo paese per molto tempo ogni velleità da grande potenza, Cosa inaccettabile non solo per il presidente della Federazione russa ma per l’intera sua nazione, che ha sopportato tutte le privazioni sofferte nei dieci anni successivi alla fine del comunismo e il successivo sviluppo economico al rallentatore solo perché è stato detto loro che la Madre Russia poteva ancora essere tra i grandi del mondo.
Tuttavia si stanno intensificando i segnali da parte di Stati Uniti e Cina di una certa insofferenza per un conflitto che sta rischiando di costare troppo. Gli Stati Uniti hanno raggiunto l’obiettivo di una Russia ridimensionata nelle ambizioni e nella potenza economico-militare, soprattutto grazie alle sanzioni i cui effetti si vedranno nel medio temine; basti sapere che l’80% delle componenti elettroniche delle armi russe viene dall’Occidente e sarà assai arduo ricostituire a breve le scorte consumate in questa guerra. Inoltre l’Europa si è ridimensionata come potenza economica ed tornata sotto il pieno controllo della Nato.
La Cina da parte sua si sta rendendo conto che questa guerra sta nuocendo parecchio ai suoi commerci e se pure a Pechino fa comodo una Russia più debole e dipendente dalla Cina, il prolungarsi del conflitto potrebbe avere gravi ripercussioni sulla stabilità interna della Federazione e magari portare ad una “balcanizzazione” di una parte dell’Asia pericolosamente vicina ai propri confini. Inoltre Pechino ha bisogno dei russi per garantirsi una copertura nucleare in chiave antiamericana.
Tutto questo potrebbe significare l’avvicinarsi di una soluzione politica, anche se la cosa andrebbe probabilmente di traverso ad entrambi i contendenti. Tra i segnali in tal senso la conferenza stampa di qualche giorno fa del generale Mark Milley, capo di stato maggiore congiunto dell’esercito americano, il quale ha fatto capire che i militari sono disposti ad appoggiare l’Ucraina ma fino ad un certo punto, soprattutto in considerazione del fatto che la guerra potrebbe andare avanti per anni e che l’Us Army non può privarsi delle scorte di armi e munizioni, dovendo sostenere la presenza degli Stati Uniti su ogni teatro del globo, che sta diventando una polveriera.
Questo, ovviamente, ha fatto arrabbiare parecchio gli ucraini, che non vorrebbero essere lasciati soli proprio ora che credono di poter vincere. E qui si ripropone per Zelensky e i suoi il dilemma. Un po’ come avvenuto poco dopo l’invasione, quando di fronte all’insuccesso russo gli ucraini avrebbero forse potuto contrattaccare con tutte le loro forze per costringere i russi ad una trattativa che forse avrebbe risparmiato parecchie morti e distruzioni. Allora scelsero di combattere a oltranza. Adesso, col paese devastato e centinaia di migliaia di vittime, arriva l’invito non troppo velato ad abbandonare la loro intransigenza e trattare finché si trovano ancora in posizione di forza o giocarsi il tutto per tutto, con l’eventualità che la situazione sul campo possa ribaltarsi, magari trovandosi anche senza più armi per combattere.
D’altra parte anche Putin avrebbe tutto l’interesse a cercare di uscire fuori da una situazione che sta diventando sempre più drammatica non solo per la sua carriera politica, probabilmente arrivata comunque al capolinea, ma per l’intera Russia.
Intanto ancora una volta costatiamo l’assoluta insignificanza di una Europa di speculatori e mercanti, unita solo dalla moneta, senza una visione politica comune. Spettro di quel fu quando a guidare il mondo erano le case regnanti e i loro ministri, forgiati da quella cultura e spirito cristiano che abbiamo voluto buttare a mare assieme alla dignità di tutto un continente.