L’ombra di Caravaggio

L’ombra di Caravaggio

di Franco Olearo*

L’OMBRA DI CARAVAGGIO“: UN VIAGGIO NELLA VITA DISORDINATA E TRA LE OPERE DEL GRANDE ARTISTA CHE SVELA, NONOSTANTE QUALCHE SEMPLIFICAZIONE STORICA, LA SUA GRANDEZZA DI PITTORE

È indubbio che in questo periodo la produzione filmica italiana stia rivisitando le nostre glorie letterarie e artistiche (con lo sguardo interessato – o angosciato? – di tanti studenti delle scuole superiori). Dopo Dante di Pupi Avati, dopo La stranezza di Roberto Andò sulla figura di Luigi Pirandello (1867-1936), ora è arrivato nelle sale L’ombra di Caravaggio di Michele Placido. Un’impresa indubbiamente coraggiosa perché la fiction su RaiUno del 2008 diretta da Angelo Longoni e interpretato da un ottimo Alessio Boni sembrava aver detto l’ultima parola. Anche in quella serie così come nella versione filmica di Placido, ritroviamo un Caravaggio irrequieto, immorale, violento e amante di prostitute, in conflitto con la chiesa post-trentina. Ma il lavoro del 2008 si concentrava in particolar modo su alcuni aspetti delle sue tecniche pittoriche e le influenze con le correnti artistiche del tempo.

L’ombra di Caravaggio sembra voler riassumere la vita dell’artista dal suo arrivo a Roma alla sua morte con il pretesto narrativo di un inquisitore che cerca di indagare sul suo passato. In realtà il personaggio-Caravaggio non modifica con il tempo il suo carattere (è sempre un incorreggibile gaudente e violento attaccabrighe) ma sono piuttosto le sue opere che prendono vita e le possiamo seguire in questo film, dalla prima intuizione del maestro, dalla preparazione del modello in studio fino alla sua presentazione (spesso controversa) in pubblico. Se è stato comunque necessario raccontare i momenti cruciali della sua vita (l’assassinio di Ranuccio Tomassoni, la protezione di Costanza Colonna, i rapporti con le prostitute Lena e Annina, le sue fughe a Napoli e poi a Malta), sono le sue opere che parlano per lui e che esprimono la sua visione del mondo. Una visione che, come lui ripete, è rigorosamente ricavata da ciò che è reale ma in realtà le sue opere esprimono la sua stessa, personale, interpretazione del reale. È questo il tema dominante del film. Quando viene presentata al Papa e al pubblico La Morte della Vergine (è stata ritratto il corpo di Annuccia, pescata ormai morta dal Tevere) il giudizio è stato inesorabile. A parte lo scandalo di una donna morta rappresentata con i piedi nudi e con il ventre gonfio, «non ci sono gli angeli né il cielo; è una madonna terrena, non la beata»: è la sentenza del Papa.

Il Caravaggio ha una visione opposta; lui amava dipingere il dolore dell’umanità, i poveri che popolano la notte e le donne che vendono il loro corpo: sono loro, proprio per la loro condizione, a esser più vicini a Nostro Signore perché più bisognose della sua misericordia. Caravaggio sarebbe quindi appartenuto alla corrente pauperista all’interno della Chiesa Cattolica e la sequenza nella quale incontra san Filippo Neri convaliderebbe questa interpretazione. In realtà il film non si attarda ad approfondire teorie filosofico-religiose ma ci mostra un Caravaggio che partecipa alla vita del popolo romano, fra allegre bevute all’osteria, incontri con prostitute e festini orgiastici della nobiltà locale, in una Roma del Seicento molto ben ricostruita. Il regista sembra in questo modo volerci dire che il Caravaggio-persona e le sue opere sono la stessa cosa. Non avrebbe potuto realizzare opere ingabbiate in qualche forma stilistica del tempo (come il manierismo) ma lui è tutto sé stesso nelle sue opere e loro sono Caravaggio.

Il protagonista Riccardo Scamarcio, con la sua capigliatura scomposta, interpreta bene un Caravaggio sanguigno ma anche capace di profonde riflessioni. Al contrario il tema del conflitto Caravaggio – Chiesa, impersonificata quest’ultima nell’inquisitore “ombra” subisce una eccessiva-rozza semplificazione (viene comunque mostrato che Caravaggio gode di sostenitori anche fra i prelati). Ecco che l’inquisitore esclama: «Nel mondo cristiano è in atto uno scontro titanico fra ordine e disordine, Dio e il caos, ma voi insinuate il dubbio e la Chiesa non vuole che la gente dubiti». E poi afferma, orgogliosamente: «Voi ragionate come se la Chiesa di Roma non esistesse ma esiste! I nobili ricchi che vi affidano i lavori sono ricchi perché noi lo permettiamo; sono nostre le chiese dove le esponete, sono nostre le storie che raccontate. Decidiamo noi tutto. Rinunciate alla vostra arte». Al rifiuto dell’artista segue una conclusione sulla sua morte che non è storicamente accertata.

*redattore/editore del portale FamilyCinemaTv

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Grande artista, ma molto “terreno”: le sue opere non parlano del trascendente, ma solo del terreno.
Tobia