Quando la solidarietà viene rinchiusa in categorizzazioni non evangeliche
di Nicola Sajeva
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LA SOLIDARIETÀ È UNO DI QUEI VALORI CHE NON SI POSSONO E NON SI DEVONO IMBRIGLIARE NELLE PASTOIE UNILATERALI INTESSUTE ORA DA UNO, ORA DA UN ALTRO GRUPPO DI PERSONE
“Solidarietà corporativa”: non sono riuscito a trovare un altro aggettivo che riuscisse a trasmettere meglio le negatività di una tendenza che evidenzia un certo concetto di solidarietà.
La solidarietà è un grande valore universale; è il sentimento che ci porta a prendere in considerazione tutte le possibilità di apertura verso i mille bisogni che, purtroppo, vengono continuamente alla luce dal ristagno di situazioni esistenziali innescate dalle forze del Male. Per i credenti tutto ciò rappresenta il triste retaggio della primordiale disobbedienza nei confronti del Creatore che aveva preordinato il tutto sognando un’armonia perfetta dove luci, suoni, colori ci avrebbe suggerito un eterno inno di lode. E delegando ad altri una ricerca alternativa di motivazioni che possano dare una spiegazione ai mali presenti nel nostro quotidiano, mi avvio a varcare la soglia del tema annunciato.
Dell’aggettivo corporativo assumerò solo qualche riflesso del suo significato, solo qualche riverbero intuitivo, solo quanto basta ad aiutarmi a definire una solidarietà, per me, molto riduttiva.
La solidarietà è uno di quei valori che non si possono e non si devono imbrigliare nelle pastoie unilaterali intessute ora da uno, ora da un altro gruppo di persone. Una solidarietà che porta a concentrare l’apertura del cuore verso un solo aspetto della realtà, determina accanimenti spropositati, offensivi di ben altre, e forse più importanti, sfaccettature rivelatrici di uno spettro su cui prendono posto tutte le tristi vicende umane. Una solidarietà che prende posto nel nostro cuore sotto la spinta di un problema che ha attraversato la nostra vita o la vita di un nostro familiare, assume sempre contorni egoistici.
Se il problema assolutizza tutta l’attività e porta a disconoscere altre realtà, partecipa senz’altro alla formazione di un comportamento stagno sempre limitante e perciò capace solo di spuntare le ali del cuore. Concedetemi di considerare anche dal punto di vista cristiano la solidarietà. Alla luce del messaggio evangelico questo apprezzabile sentimento che ci porta a riempire un vuoto, a soddisfare un bisogno viene attrezzato stupendamente di potenzialità molto esaustive.
Il concetto di Carità innestato sulla solidarietà riesce infatti a determinare un vero salto di qualità: tutto viene orientato in maniera molto diversa e prende corpo un’apertura a 360° che non lascia inascoltata, offendendola, la voce più flebile, la necessità più nascosta, il richiamo più lontano. E’ necessario scegliere orizzonti vasti per essere in grado di vedere lontano dove le necessità primarie non riescono ad essere soddisfatte, dove tante mamme non riescono ad approntare l’indispensabile per i loro figli e, impotenti, sono spettatrici indicibilmente infelici della morte delle loro creature. Quando ci muoviamo a praticare la solidarietà dobbiamo tenere conto di tutte le realtà: non farlo rappresenta un vero peccato di omissione.
Queste riflessioni trovano la loro motivazione dalla constatazione del persistere, nel nostro contesto sociale, di una solidarietà che non sono riuscito a definire meglio se non con l’aggettivo “corporativa”. Questa definizione mi ha portato ad evidenziare alcune grigie nebbie che, più o meno intense, non permettono agli occhi del cuore di scorgere, anche nel nostro quartiere, il disoccupato, il dimesso dal carcere, la donna abbandonata dal marito, la ragazza madre, il malato terminale, il bambino che ha bisogno degli occhiali, l’invalido al quale è stato sospeso l’assegno, il malato costretto a pagare le medicine non prescrivibili o che ha bisogno di una visita specialistica. Ignorando questi ed altri bisogni, volgendo altrove lo sguardo non permetteremo al valore della solidarietà di esprimere tutto il suo splendore.