Quel “santo in camice bianco” che fu Giuseppe Moscati

Quel “santo in camice bianco” che fu Giuseppe Moscati

di Don Gian Maria Comolli*

«UN SANTO PER AMICO», LA NUOVA COLLANA DELL’EDITRICE CATTOLICA ARES, DEDICATA NELL’ANNIVERSARIO DELLA CANONIZZAZIONE (25 OTTOBRE 1987) A GIUSEPPE MOSCATI, IL “MEDICO DEL CORPO E DELLO SPIRITO

Le Edizioni Ares di Milano hanno lanciato una nuova collana intitolata: “Un santo per amico” con la finalità di far conoscere in modo semplice ma approfondito alcuni uomini e donne che la Chiesa ha proclamato santi, cioè modelli da proporre ai cristiani quali esempi di fedeltà a Dio e di amore eroico nei confronti del prossimo.

La collana, accogliendo la sollecitazione di Papa Francesco presente nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), intende riproporre l’attualità della perfezione evangelica allo scopo, come richiamava il Pontefice nel suo documento, di «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (n. 2). Ebbene, questo stile di vita che è l’aspettativa che Dio ha su ogni uomo, è rivolto a tutti, e le biografie che saranno proposte ci mostreranno che “essere santi” non è un’utopia ma una realtà raggiungibile dai battezzati.

Non a caso, il primo libro della collana, intitolato Giuseppe Moscati. Il santo medico, scritto dal medico e saggista Paolo Gulisano, mostra l’attualità e la modernità della santità del medico, fisiologo e accademico napoletano Giuseppe Moscati (1880-1927) che curò con competenza e professionalità le patologie dei suoi pazienti senza mai dimenticare la loro dimensione spirituale. Quello del “medico del corpo e dello spirito” è un grande insegnamento anche per la sanità attuale che, investita dal tsunami del Covid-19, ha salvato grazie all’eroismo e alla generosità di medici e di infermieri tantissime vite, abbassando tuttavia l’attenzione nei confronti delle esigenze spirituali del malato e arrestando, o almeno retrocedendo, con provvedimenti discutibili, quel processo di umanizzazione che faticosamente si era costruito negli ultimi decenni. L’attualità di questo santo, inoltre, la possiamo apprezzare anche in una caratteristica evidenziata da san Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1987 quando nell’omelia di canonizzazione lo definì: “il medico dei poveri”. È vero che dall’epoca di Moscati, nel periodo cioè fra le due guerre mondiali, la sanità aveva compiuto sia a livello diagnostico che terapeutico enormi progressi ed oggi è accessibile a tutti. L’attuale povertà in crescita, però, sta creando problemi ai più vulnerabili economicamente che non hanno risorse per percorre strade alternative di fronte alle lunghissime liste di attesa o agli esosi oneri richiesti da alcuni professionisti.

Ecco, allora, l’attualità di Giuseppe Moscati descritto dal dott. Gulisano in dieci densi capitoli. Nei primi, esponendo la sua giovinezza, l’autore sottolinea che i due punti di riferimento principali del “medico santo” erano la fede e l’amore per lo studio. Da qui la scelta della professione nata da una «necessità imperiosa, di lenire il dolore fisico e lo smarrimento spirituale delle persone colpite dalla malattia» (p. 12). Moscati dunque «fu un medico che fece della professione una palestra di apostolato, una missione di carità, uno strumento di elevazione di sé e di conquista degli altri a Cristo salvatore» (p. 14).

Come esercitò questa vocazione, professione e missione il “medico santo”? Secondo Gulisano incarnando «un apostolato laico, che avrebbe avuto molti punti di contatto con la missione sacerdotale» (p. 37). Da esperto clinico, infatti «sembrava non ci fosse sfida cui non sapesse rispondere» (p. 61) ma, contemporaneamente, Moscati si appassionava alla ricerca e rimaneva come “affascinato” dal malato che accoglieva e accompagnava, e di cui si “prendeva cura” con compassione e carità. Da medico rifiutò sempre ogni tipo di avidità, in particolare di guadagno e, anzi, non mancarono le volte che pagò di persona la degenza di alcuni poveri che fece ricoverare in ospedale. Infatti, come testimoniano le cronache del tempo, «quando si trattava di portare un conforto ai poveri, lo si vedeva incamminato per tutte le vie, anche per le più luride» (p. 109).

In definitiva Moscati, come intitola Gulisano l’ultimo capitolo del suo testo, è stato un vero e proprio «santo in camice bianco», la cui vita interpella in particolare gli operatori sanitari del XXI secolo con queste parole-preghiera: «Beati noi medici, tanto spesso incapaci ad allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi».

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*sacerdote ambrosiano, collaboratore dell’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano e segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia. Cura il blogwww.gianmariacomolli.it.

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