Mons. Argüello propone una “contro-rivoluzione” per sfidare la cultura dominante e l’inverno demografico
di Angelica La Rosa
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L’ARCIVESCOVO DI VALLADOLID LUIS ARGUELLO HA RICONOSCIUTO LE DIFFICOLTÀ NELL’AFFRONTARE LA CULTURA DOMINANTE ED HA PROPOSTO UNA CONTRO-RIVOLUZIONE CULTURALE, CHE I CRISTIANI CHIAMANO ‘CONVERSIONE’ O ‘VANGELO’
“Quando Papa Francesco ci invita ad annunciare il Kerygma, ci invita ad annunciare un Dio Creatore e Padre. Creazione e procreazione sono legate e il Dio Creatore continua a realizzare la sua Creazione attraverso i genitori Creatori in una famiglia di figli“, ha ricordato il segretario generale della Conferenza episcopale spagnola (CEE) e arcivescovo di Valladolid mons. Luis Argüello. Il vescovo ha incoraggiato quindi i cristiani a sensibilizzare fortemente la società sul problema dell’inverno demografico in corso e sulle conseguenze che possono derivare dai bassi tassi di natalità a livello sociale e culturale.
L’Arcivescovo a riconosciuto le grandi difficoltà nell’affrontare e sconfiggere oggi la dominante cultura della morte ma, nonostante tutto, ha ribadito che vale la pena spendersi per una contro-rivoluzione culturale che i cristiani chiamano conversione o, più semplicemente, Vangelo. Mons. Argüello ha aggiunto che una chiave importante per spiegare l’attuale crisi delle nascite è il rifiuto del “dono della vita con tutte le sue conseguenze. Il dono che ci è stato dato come dono eterno, Gesù Cristo, che ha vinto la morte”.
“La vita che Dio ci dona attraverso i nostri genitori – ha affermato il Vescovo – è una vita chiamata ad essere eterna. In questo senso, la fede e la speranza nella Vita Eterna sono decisive per avviare gli sforzi, i sacrifici e la mancanza di frutti immediati che questa rivoluzione culturale può comportare“.
Questa contro-rivoluzione culturale, secondo Argüello, consiste anzitutto nello spiegare che la morte non è la fine per l’uomo, che Cristo ha vinto la morte, altrimenti è difficile convincere che la sofferenza si può vincere. “Quando la vita si misura solo nelle cose che appaiono nella storia e che finiscono al cimitero, è facile che nasca il pensiero del ‘carpe diem‘, il dedicarsi al solo mangiare e vivere finché possiamo vivere. In questa ottica perché mettere al mondo altre persone con tante insicurezze, se le persone possono arrivare a soffrire?“.
Per questo il segretario generale della CEE ha precisato che quando la sofferenza è così esplicitamente respinta, legislazioni come l’aborto e l’eutanasia diventano spiegabili, poiché “la cultura pro-aborto offre come soluzione la morte, anzi afferma che è meglio non nascere affatto che vivere per soffrire e far soffrire. Se non c’è una proposta che superi la sofferenza e si trasformi in una gioia senza fine, è difficile uscirne“.