“Siamo tutti poveri”: la precarietà della nostra condizione umana non ci indica altra prospettiva

“Siamo tutti poveri”: la precarietà della nostra condizione umana non ci indica altra prospettiva

di Nicola Sajeva

UOMINI E DONNE DEL NORD DEL MONDO CHE HANNO PERDUTO IL SENSO DELLA VITA E SVENDONO IL LORO DOMANI NELLA DISSIPAZIONE E NEL CONFORMISMO: SONO LORO I VERI “POVERINI”…


Affrontare il tema della povertà, cercare di individuare le varie tipologie ci porta a valutare la percorribilità di molte piste, ognuna delle quali ci permette di prendere in considerazione prima significati e interpretazioni, poi i vari comportamenti che vanno a collocarsi nel vissuto quotidiano.

Chi sono i poveri? Tutti noi entriamo nella risposta perché ognuno di noi manca di qualcosa materiale o spirituale. Tradizionalmente siamo stati abituati a restringere il campo alle persone che mancano del necessario, ma se affiniamo un po’ la nostra riflessione andiamo, senza molta fatica, a scoprire una serie innumerevole di povertà spesso più gravi di quella che convenzionalmente consideriamo tale.

Siamo tutti poveri!” Così si espresse con decisione il papà di un mio fraterno amico che, di tanto in tanto, andavo a trovare perché immobilizzato a letto; non gli mancava niente di materiale ma si annoverava tra i poveri e, ricco di esperienza e di sapienza non aveva incertezza ad affermare: Siamo tutti poveri.

Questa breve premessa risulterà utile nel prosieguo per evidenziare l’inopportunità di un atteggiamento, spesso esageratamente edulcorato, che affiora nel linguaggio di alcune persone “buone”.

Poverini, dobbiamo aiutarli!” Il retroterra culturale ma principalmente umano concorre a sistemare la stessa espressione o sulla bocca di persone che grondano di ipocrisia o nelle delicate sfumature di una sentita misericordia: rimangono lontano dal cuore i primi, non possono non trasmettere calda fraternità i secondi. L’amore, quando è presente, riesce a trasformare un “poverino” in un uomo.

E’ emblematico a riguardo l’episodio che vede come protagonisti, lungo il marciapiede di Calcutta, Madre Teresa e un moribondo. «Ho vissuto come una bestia, sto morendo come un uomo». L’amore aveva trasformato quel povero in uomo; aveva quindi ricostruito tutta intera l’originaria dignità.

Smettiamola di indossare la maschera dell’ipocrisia, smettiamola di assumere atteggiamenti di falso pietismo. Apriamo il cuore, diamo all’amore la libertà di inventare strategie rispettose della irripetibile impronta divina. Dagli africani agli asiatici, a tutti offriamo amicizia, comprensione, stima, possibilità di vivere lungo i binari della reciprocità. Cancellare dal nostro lessico la definizione di “poverini” segnerà l’avvio di una vera integrazione. Essa si può realizzare tra uomini e non tra “poverini” e presunti uomini.

E’ il momento di accendere l’occhio di bue più potente e dirigerlo sull’iniziale motivazione che mi ha spinto ad affrontare questo delicato argomento. E’ il momento di evocare una delle scene che ci permettono di rivivere quanto successo lungo la via del Calvario. «Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che faceva cordoglio e lamento su di Lui. Ma, volgendosi ad esse, Gesù disse: “Figlie di Gerusalemme non piangete su di me; ma su voi stesse piangete e sui vostri figli”» (Lc 23,27-28).

Non esterniamo commiserazione, più o meno condita di fariseismo, quando il nostro cammino incrocia quello del fratello che arriva dal Sud del Mondo: non sono essi i veri “poverini” sui quali sperimentare la nostra capacità di commozione. Sono uomini perché lottano, sognano, sperano, soffrono e percorrono la strada stretta del sacrificio; la stessa che noi, da tempo abbiamo abbandonato, e in questa strada ritrovano la fonte della speranza di un domani migliore.

Sono uomini veri che hanno bisogno di amore non di pietà, hanno bisogno di rispetto e non di sentirsi offesi dalla nostra opulenza o dalla nostra ben calcolata magnanimità. Figli del Nord del mondo piangiamo sui nostri figli: hanno perduto il senso della vita, barattano quotidianamente i loro sogni con una dose di droga, svendono il loro domani vedendo il fondo di una bottiglia di alcool, annullano la loro personalità entrando nel branco più numeroso. Sono loro i veri “poverini” su loro dobbiamo riversare abbondantemente non la nostra commiserazione ma il nostro amore, la nostra capacità di ascolto, la nostra voglia di resurrezione.

Poverini o uomini?” Sembra che le posizioni siano state chiarite: siamo tutti poveri: la precarietà della nostra condizione umana non ci indica altra prospettiva. Solo nel sorreggerci a vicenda il nostro cammino acquisterà sicurezza; dobbiamo imparare a sentirci figli di uno stesso Padre, dobbiamo prendere coscienza della nostra fragilità, del nostro bisogno di ricevere e offrire perdono, di ricevere e offrire amore.

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