Pensare e sentire il deserto con Chaim Noll

Pensare e sentire il deserto con Chaim Noll

di Sergio Caldarella

IL DESERTO QUALE CATEGORIA ESSENZIALE E FONDAMENTALE NON SOLTANTO NEL PENSIERO TEOLOGICO DELLE TRE GRANDI RELIGIONI MONOTEISTE, MA ANCHE NELLA CULTURA E NELLA LETTERATURA

La prefazione al libro di Chaim Noll Il Deserto (Die Wüste, Evangelische Verlagsanstalt, Leipzig 2020, pp. 688) si apre con la dichiarazione: «Vivo nel deserto. Per scelta e non ho alcuna intenzione di lasciare questo luogo. Nel 1997, sono stato invitato dall’Università Ben Gurion di Beer Sheva, in Israele, per contribuire a fondare un centro di studi tedeschi nel deserto del Negev. Essendo nato in una grande città, non sapevo quasi nulla della vita nel deserto, le sue peculiarità, i pericoli e gli effetti di questo sulla psiche umana. Una mattina sono uscito presto avventurandomi nel paesaggio apparentemente infinito, vuoto e misterioso ed ho deciso di accettare quella strana offerta. È stato un amore a prima vista». In queste parole intense dell’autore sembra quasi di riascoltare i versi di Osea: «Perciò, ecco, io l’attrarrò, la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore» (2:14): il deserto come emozione, come percorso iniziatico che parla direttamente all’interiorità umana. Noll, infatti, vedrà nel deserto una dimensione tanto dell’essere quanto del pensiero.

Il deserto è, del resto, un paesaggio fondamentale del testo biblico e della concettualità del divino che in esso emerge: HaShem «trova» Israele «come delle uve nel deserto» (Osea, 9:10); il popolo d’Israele seguiva l’Eterno nel deserto (Geremia, 2:2) ed è proprio in prossimità del deserto di Madian che l’Onnipotente appare per la prima volta a Mosè dal roveto ardente sull’Horeb (Esodo, 3). Il Salmo 68 parlerà della venuta dell’Eterno avanzando attraverso il deserto (7) ed il Cantico di Deborah dichiara che l’HaShem stesso proviene da «Seir e dai campi di Edom» (5:4), ossia tra Moab ed il Wadi Araba, ancora il deserto come elemento fondamentale. Ricordando già questi pochi passaggi di un discorso che potrebbe essere enormemente più ampio, risulta difficile immaginare la centralità biblica del deserto e, al tempo stesso, la quasi completa esclusione di questa dal discorso teologico, in particolare nella modernità.

Quando l’italiano biblico traduce il termine «deserto» in realtà traduce molti termini quali midbar, aravah, le steppe (Genesi, 36:24), «Il deserto e la terra arida [midbar] si rallegreranno, la solitudine [aravah] gioirà e fiorirà come la rosa» (Isaia, 35:1), yeshimon, una terra senz’acqua, negev, terra secca e molti altri. Da notare qui anche la connessione etimologica tra aravah e coloro che in questo vivono, ossia gli aravi, gli arabi. Il greco tradurrà questi termini con eremos che significa anche «desolazione» o «solitudine» e la cui radice indoeuropea significa «separare». Qui si mostra dunque, in una forma primordiale, quella separazione che è, poi, la connotazione originaria di tutta la teologia biblica tra una realtà di qua ed una che è altrove, l’Olam haBa, il mondo a venire, tra il mondo degli umani e la trascendenza assoluta del divino. In questo scenario, che ci si potrebbe anche azzardare a chiamare come un paesaggio conoscitivo fisico e metafisico, il deserto esprime proprio quell’alterità tra tali opposizioni fondamentali e radicalmente complementari. Del resto, il paradigma biblico fondamentale è quello secondo cui ogni lingua che voglia provare a nominare l’Eterno mira al collasso del significato; l’innominabilità del divino significa anche la Sua irraggiungibilità da parte della razionalità dei mortali: «Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza!» (Giobbe, 38:4).

Questo scritto di Chaim Noll sul deserto che è, poi, una Storia letteraria di un paesaggio umano primordiale è uno di quei grandi libri da trattare con rispetto e cautela. La più grande scoperta dell’ebraismo è proprio quella dell’assoluta impossibilità di parlare dell’Eterno al quale ci si può riferire, o accennare, solo attraverso parafrasi, parabole, larghe metafore o grandi allegorie.

Tra i topoi centrali dell’ebraismo figurano proprio tre grandi «momenti», ossia l’impossibilità di nominare l’Onnipotente, la presenza del divino nel cuore del tempio di Gerusalemme, la quale consiste in un’assenza in cui risiede la santità dell’Hakadosh Baruch Hu, ed il deserto come spazio di sacralità che antecede il tempio. Questi tre grandi «momenti» confluiscono nella corona della santità che risiede nello Shabbat, un tempio invisibile eretto nel tempo, come dirà meravigliosamente A. J. Heschel nel suo libro dall’omonimo titolo ed anche qui ritorna il tema di presenza e assenza abbracciate insieme. Se, però, la praesentia dell’Onnipotente si associa ad un’impossibilità radicale di accedere a questa sovra-presenza, allora quale luogo migliore del deserto può indicare un’assenza che è anche presenza? L’Essere nel non-essere ed il non-essere nell’Essere. È questo punto, l’enigma del deserto, che il libro di Chaim Noll prova a svolgere nelle sue complessità e radici. Tanto l’ebraismo quanto la cristianità antica avranno ben chiara la centralità del deserto: vi sono tradizioni e correnti teologiche le quali pongono il deserto come loro centro: la comunità di Qumran, oppure i Padri del deserto, sono due tra i grandi esempi possibili. Chaim Noll, scrittore berlinese trasferitosi nel deserto del Neghev dopo la caduta del muro, è andato a scavare in questa tradizione originaria del pensiero teologico scrivendo un saggio monumentale sul deserto che è, al tempo stesso, anche un libro epocale. Die Wüste. Literaturgeschichte einer Urlandschaft des Menschen, questo il titolo originale del libro che, tradotto, significa: Il Deserto. Storia letteraria di un paesaggio umano primordiale, è tanto uno scritto dalla profonda erudizione, quanto un racconto sulla storia e presenza del deserto quale categoria essenziale e fondamentale non soltanto nel pensiero teologico delle tre grandi religioni monoteiste, ma anche nella cultura generale e nella letteratura, come già annunciato nel titolo del libro ed approfondito tra le sue pagine. È difficile riuscire a spiegarsi come potesse mancare, fino ad oggi, un tale scritto su un tema così centrale e, al tempo stesso, così rimosso, come il deserto e le sue innumerevoli prospettive. Forse questo è avvenuto perché la civiltà si è ritirata – o asserragliata – dietro le mura delle sue città che ormai cospargono il mondo, effettuando una rimozione freudiana di categorie e luoghi che non rientrano più sotto il manto della normatività. Per il testo biblico sarà indicativamente Caino il primo fondatore di una città (Genesi, 4:17) con tutte le implicazioni e relazioni che tale evento suggerisce per quelle che noi indichiamo come «civiltà storiche» ed il loro sviluppo.

Leggendo Die Wüste, con la giusta attenzione che questo testo merita, si comprende la ragione per la quale Chaim Noll ha impiegato vent’anni di studio per scrivere questo libro: quasi settecento pagine ed oltre duemila note a margine rendono il testo una vera e propria enciclopedia tanto sul deserto quanto sulle origini del pensiero teologico, andando oltre fino ad addentrarsi, con una competenza straordinaria, nei territori della letteratura e della storia delle idee, offrendo una panoramica davvero unica sullo sviluppo e le categorie delle diverse civiltà che s’intersecano in questo monumentale lavoro. Il compito dell’autore è stato duale: da una parte ha raccolto ed elaborato una mole di materiali impressionante e, dall’altra, ha reso questa storia millenaria leggibile come un grande racconto riunendo, dietro la stessa penna, il saggista ed il narratore.

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