Draghi l’attivista e la sovranità senza elezioni
di Vincenzo Silvestrelli
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LA SOVRANITÀ, AFFERMA IL PRIMO ARTICOLO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA, «APPARTIENE AL POPOLO» E NON AL “DIO DENARO”. NON BASTANO QUINDI I SONDAGGI O L’APPOGGIO DEI GRANDI MEDIA PER ESSERE (E PRETENDERE DI ESSERE) UN LEADER POLITICO…
Una delle novità della presente stagione politica è l’attivismo del presidente del consiglio dimissionario. Draghi viaggia all’estero, chiama il presidente ucraino Zelensky, vuole decidere a chi vendere la compagnia ITA, opera contro lo sblocco delle cessioni del super bonus edilizio richiesto dalla maggioranza del Parlamento per non far fallire molteplici aziende per motivi finanziari, nomina persone a lui gradite negli enti e nelle aziende pubbliche.
Draghi ha “accettato” la crisi di governo pur avendo una maggioranza ampia a cui avrebbe potuto appellarsi per continuare a rimanere capo del Governo. Ha dato le dimissioni senza essere stato sfiduciato: leghisti e forzisti si astennero soltanto sulla fiducia e avevano confermato di non voler far cadere l’esecutivo. Ma Draghi, il migliore, non ha voluto combattere, chissà perché…
Affrontare le conseguenze delle sue politiche economiche, del suo “dichiarare” di fatto guerra alla Russia e delle sanzioni non era nelle sue corde. Meglio far gestire i disastri provocati da lui ad altri.
Purtroppo, però, alcune conseguenze della sua opera di distruzione dell’economia italiana si sono parzialmente verificate prima per la chiusura dei rifornimenti di gas russo come conseguenza delle sanzioni europee poi della idea del “Price cap”. Dunque i tempi non hanno coinciso con il sapiente piano per anestetizzare il popolo italiano prima delle elezioni. Il ritirarsi di Draghi non ha coinciso però con un atteggiamento di rispetto delle mansioni di un presidente del consiglio dimissionario. In altri termini, della sovranità popolare nei limiti delle sue competenze. Draghi ha continuato in effetti ad operare come se fosse pienamente in carica.
Per esempio il prossimo viaggio negli Stati Uniti è assolutamente inusuale per gli impegni che un presidente del consiglio dimissionario dovrebbe assumere. Mentre l’intervento alla Assemblea generale dell’ONU avrebbe avuto un carattere istituzionale, la visita a Biden ha un carattere improprio per un capo del Governo che, in quanto dimissionario, non ha più la rappresentanza politica del popolo italiano.
L’impressione è che Draghi voglia continuare, in maniera non ben comprensibile e con quali ruoli, ad essere la garanzia per gli Stati Uniti della assoluta fedeltà nazionale alle scelte dell’amministrazione Biden, anche quando queste fossero, come è stato, in contrasto con l’interesse nazionale. Non a caso il presidente Biden non ha mai lesinato elogi a Draghi in ogni occasione. Ci possiamo chiedere però se egli pensi di avere titolo di fare scelte di pace e di guerra in virtù di questa approvazione, anziché in base a quanto previsto dalla Costituzione.
Lunedì prossimo Draghi riceverà negli Stati Uniti il World Statesman Award, un premio internazionale conferito dal rabbino Arthur Schneier, presidente e fondatore della Fondazione Appeal of Conscience. Questa la motivazione: «Il primo ministro Draghi è un leader che ha una vision e che unisce competenze finanziarie, politiche e tecniche per affrontare le complesse questioni economiche, umanitarie e geopolitiche che il mondo deve affrontare oggi».
La Fondazione ha premiato finora personaggi di altissimo livello della politica internazionale ma la motivazione del premio a Draghi non può essere apprezzata perché la sua “visione” ha portato alla liquidazione della industria fin dagli anni Novanta con le privatizzazioni da lui, ma non solo da lui, sostenute e realizzate.
Draghi avrebbe potuto, anche in forza della popolarità che i sondaggi indicavano, affrontare la competizione elettorale per dimostrare di avere un consenso reale corrispondente a quello indicato nei media. Invece non ha nemmeno pensato a questa eventualità che sarebbe stata normale in una democrazia nella quale, teoricamente, la sovranità appartiene al popolo come recita l’art. 1.
Nessuno può arrogarsi compiti di rappresentanza senza questo passaggio elettorale o senza l’approvazione del Parlamento. La mancanza di volontà di chiedere la legittimazione popolare indica che egli forse ritiene che la sovranità provenga dai “mercati” cioè da quei gruppi di lobbysti che si vedono in ristretti circoli per influenzare lo sviluppo dei popoli e dell’economia internazionale. Per alcuni la sovranità deriva forse dal “dio denaro”.
Non vorremmo vedere al governo, dopo le elezioni, dei figuranti che eseguano le sue indicazioni.