Sindrome Zaporizhia

Sindrome Zaporizhia

di Pietro Licciardi

LA CENTRALE ATOMICA UCRAINA OCCUPATA DAI RUSSI NON E’ CHERNOBIL E NESSUNO HA INTERESSE A FARLA ESPLODERE

In questi giorni i media occidentali hanno puntato i riflettori sulla centrale nucleare di Zaporizhia, occupata dai russi, chiedendosi allarmati se vi è il pericolo possa trasformarsi in una nuova Chernobyl nel caso venga colpita da uno dei due contendenti. Ebbene, diciamo subito che la centrale ucraina che sta destando tanta preoccupazione è molto diversa da quella in cui si è verificato l’incidente nel 1986 in quanto nessuno dei suoi sei reattori contiene grafite, che è un elemento infiammabile, mentre ciascuno di essi è completamente circondato da un involucro di contenimento in cemento armato spesso due metri, cosa che Chernobyl non aveva; da qui la fuoriuscita dei fumi radioattivi prodotti proprio dall’incendio della grafite contenuta nelle barre combustibili e dalla successiva esplosione.

Già la mancanza di materiali infiammabili riduce di molto il pericolo di incidenti che vanno da una estesa contaminazione del territorio circostante la centrale alla fusione nel nocciolo, ma anche i sistemi di sicurezza in uso sono sensibilmente migliori. Perché possa verificarsi un evento catastrofico dovrebbero infatti interrompersi tutte le forme di alimentazione delle pompe che fanno funzionare il circuito di raffreddamento dei reattori; eventualità abbastanza remota a Zaporizhia, la quale oltre ad essere collegata alla normale rete elettrica riceve elettricità pure da una centrale a carbone che si trova a trenta chilometri. Ma ciascuno dei reattori può essere anche riconfigurato per fornire energia all’interno della centrale. Infine vi sono generatori diesel di emergenza che possono funzionare fintanto vengano riforniti di gasolio; oltre a ciò vi è un sistema di batterie che garantisce il funzionamento per ulteriori 6-12 ore.

Nella malaugurata ipotesi nessuno di questi sistemi possa funzionare si arriverebbe effettivamente alla fusione nel nocciolo. Anche in questo caso però saremmo molto lontani da un evento catastrofico con estesi danni all’ambiente o alla salute. Al massimo potrebbe verificarsi un rilascio di radioattività simile a quello che si è verificato a Three Mile Island, in Pennsylvania, il 28 marzo 1979 in cui avvenne una parziale fusione del nocciolo causando il rilascio, peraltro controllato, di vapori che dispersero una radioattività complessiva pari a quella di due radiografie. Questo perché le spesse mura di contenimento dentro alle quali è collocato ciascun reattore hanno sia lo scopo di proteggerli da eventuali attacchi esterni sia di contenere all’interno l’eventuale rilascio di radioattività.

Remoto pure il pericolo di fuoriuscita dei liquidi radioattivi di raffreddamento. A Zaporizhia, come in tutte le moderne centrali infatti il liquido di raffreddamento del reattore circola ben protetto all’interno dell’involucro in cemento armato e viene raffreddato mediante l’acqua di un circuito chiuso a sua volta refrigerata da condensatori raffreddati con acqua prelevata all’esterno, la quale non viene mai a contatto con elementi radioattivi e per questo poi tranquillamente reimmessa nell’ambiente.

In definitiva i reali pericoli per la salute umana – specialmente per noi che abitiamo a mille chilometri di distanza – sono bassi, anzi nulli. Se poi vogliamo considerare l’eventualità di un intenzionale bombardamento della centrale da parte russa o ucraina, come qualcuno sta paventando, occorre considerare che nessuno dei contendenti ha un interesse reale a farlo. Non gli ucraini i quali traggono dai reattori il 25% dell’energia elettrica che alimenta l’intero paese e non i russi, considerato il pericolo di inquinamento delle falde acquifere che alimentano l’intera Crimea. Tanto è vero che, come è stato bene messo in evidenza da chi sta seguendo l’evolversi degli eventi attorno a Zaporizhia, i colpi di artiglieria e di mortaio fin qui caduti sono stati indirizzati tutti in aree periferiche della centrale e ben lontano dai reattori che comunque non verrebbero neppure scalfitti dai colpi, anche di grosso calibro.

Semmai, alcuni osservatori fanno notare che, considerata l’attuale situazione militare non troppo favorevole a nessuna delle due parti, un piccolo e controllato “disastro” – poi opportunamente amplificato dalla propaganda e dal tam-tam mediatico occidentale, che entra nel panico ogni volta che si affronta l’argomento “atomo”, offrirebbe una ottima carta da giocare sul piano internazionale, una volta dimostrata la responsabilità di uno dei contendenti.

La cosa sarebbe fattibile facendo ad esempio cadere qualche colpo di piccolo-medio calibro su uno degli edifici in cui è immagazzinato materiale radioattivo di bassa intensità; quindi non dove vi sono gli stock di combustibile ma i rifiuti radioattivi di medio livello che normalmente sono temporaneamente accumulati in edifici molto meno protetti, essendo meno pericolosi.

Nel caso uno di questi edifici venisse colpito con fuoriuscita di una minima quantità di radioattività l’indomani i giornali italiani e di mezza Europa griderebbero all’apocalisse nucleare scatenando il panico, anche perché in Occidente, a detta degli esperti, la radioattività è un fenomeno poco capito e molto temuto.

Un fatto questo che rischiamo di pagare molto caro, poiché il nucleare è oggettivamente la migliore opzione oggi a nostra disposizione per ridurre una dipendenza energetica che si sta rivelando drammatica e affrancarsi dalle oscillazioni di prezzo e disponibilità dei combustibili fossili. E sarebbe un ottimo compromesso pure per i fanatici dell’ambiente, consentendo di produrre energia pulita a basso costo senza violentare il paesaggio con ettari di pannelli solari – che oltre ad essere di dubbia utilità sottraggono terra preziosa per le coltivazioni – o foreste di pale eoliche che hanno pure enormi problemi di smaltimento una volta giunte alla fine della loro vita operativa.

Purtroppo l’Italia ha perso il treno del nucleare e anche volessimo fare marcia indietro occorrerebbero venti o trent’anni per avere centrali tutte nostre e figuriamoci se i nostri politici hanno la lungimiranza di pensare al futuro e al benessere dei nostri figli e nipoti.

 

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