La pratica intenzionale e saggia del silenzio
di don Fabio Rosini*
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IN LIBRERIA DA DOMANI “COME UNA PICCOLA CREATURA – SOLITUDINE, SILENZIO, ASCOLTO E VITA CRISTIANA” DI DON GIUSEPPE FORLAI
La prima volta che ho fatto una vera escursione in montagna fu un’esperienza indimenticabile. Per poterla vivere fu necessario farmi guidare da alcuni amici. Il cammino fu duro e meraviglioso e la vetta straordinaria.
Volevo fermarmi alcune volte ma gli altri dicevano di no, mentre in altri punti voleva continuare a camminare proprio mentre loro dicevano che dovevo fermarmi. Così scoprii un mondo che non conoscevo, un posto in cui non sarei mai arrivato da solo, un’esperienza che non era nelle mie corde, ma ora, in modo indelebile, era nella mia vita.
Mi avevano già descritto la vetta e il suo sentiero ma io me ne ero fatto un’idea tutta mia, e negli errori che facevo lungo il percorso era manifesto che non ne sapevo niente.
Uno scrittore molto famoso ha pubblicato vari anni fa un fortunato libro sul Cammino per Santiago; a leggerlo sembrava intrigante e così molti intrapresero il Cammino scoprendo, poi, l’amara verità: di quanto descritto nel libro non c’era un’acca di vero, il famoso scrittore non aveva mai fatto il Cammino ma aveva passato alcuni giorni al bar davanti alla Cattedrale di Santiago interrogando i pellegrini e accaparrando materiale per la sua mistificazione. Il cammino era solo un pretesto per dire le sue cose.
Quanto detto serve a sottolineare due punti semplici e veri: il primo è che per arrivare a una meta ci vuole una guida autentica, il secondo è che se senti parlare di un sentiero ma non lo fai in prima persona, ne consegue che quel che farai o dirai successivamente è esattamente quello che facevi o dicevi prima; ossia: non serve a niente.
Ci sono quelli che studiano tutte le diete alla moda e si informano dettagliatamente o comprano libri appositi ma, finché non iniziano a praticare la disciplina connessa a una dieta, non perdono un etto. I diabetici, si dice, sono spesso pazienti informatissimi, sanno tutto sulla loro malattia, ma non guariscono perché non rispettano le norme che la loro stessa consapevolezza detterebbe loro.
Quanto detto serve da cappello alla postfazione che il lettore ha davanti.
Una prefazione dovrebbe servire a metter voglia di leggere – anche se alcune te la tolgono, in realtà – invece una postfazione ha il compito di far capire come usare il libro appena letto, e perché.
Partiamo dal perché. Nella storia della Chiesa c’è una costante che riguarda i santi di un qualche spessore, che è la seguente: prima di “sparare” il colpo che inciderà sulla Chiesa e sulla Storia, molti sono partiti da uno spazio di silenzio. Nell’analisi della loro vita compare a monte una zona nascosta, un luogo fuori portata e apparentemente inutile.
San Benedetto deve stare nel Sacro Speco fino a fare Pasqua; san Francesco deve pregare per due o tre anni nell’eremo delle Carceri fino a che il Crocefisso gli parli; san Filippo Neri deve praticare per circa otto anni da solo tutte le notti i chilometri del cammino delle Sette Chiese per andare a pregare nelle catacombe di San Sebastiano, fino a diventare l’Apostolo di Roma; sant’Ignazio deve cuocere nella “veglia d’armi ” a Manresa per maturare il discerni mento degli spiriti.
Gli esempi sono molti. È il posto dove si cambiano i parametri, dove si diventa di Dio, e dove, nel contempo, si compie la «grande impresa, quel la più ardua, riconquistare se stessi», come don Giuseppe For lai nota, fra le molte cose importanti scritte in questo libro.
È la stessa vita biologica che deve partire da un utero, che non può che sgorgare da un buio gravido. Così, anche la vita nuova fluisce da una fase analoga, che è, peraltro, battesimale. Il tempo stesso dell’iniziazione ha questa funzione, è il luogo dove si compie quel che Gesù dice nel Vangelo di Matteo: «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,27).
Nessuno avrà niente di veramente cristiano da dire nella luce se non ha ricevuto nel segreto, nella stanza interna, una parola da Cristo. È così che si spiega questo ossimoro letterario, ossia che un Eremita come don Giuseppe Forlai si faccia scrivere la postfazione da un soggetto come il sottoscritto, che per missione annuncia sulle terrazze.
Siamo amici e fratelli da tanto ma soprattutto siamo una cosa sola. Due aspetti dello stesso organismo. Io sono l’effetto collaterale della sua preghiera, la mia missione non ha alcun senso senza la sua missione. Questa è la Chiesa.
Perciò tutto quello di cui questo libro parla non è trattazione di un aspetto peculiare e inconsueto ma è il segreto stesso della missione dell’annuncio pubblico, la quale richiede una pratica intenzionale e saggia del silenzio. E questo non riguarda solo le nostre due vite – molto più sintoniche di quanto si possa pensare – ma tutte le avventure cristiane.
Mi hanno chiesto una volta cosa pensavo di alcuni scrittori cattolici molto giovani e prolifici, fenomeno recentemente in espansione, e ho risposto che va benissimo diffondere, ma mi chiedo quanti chilometri hanno fatto questi bravi fratelli su di un letto o dentro una cella. Se la malattia o l’obbedienza non ti hanno crocifisso nella santa inutilità, non sai cosa sia la santa utilità, e parli di cose che hai solo capito.
Un tempo ai sacerdoti appena ordinati non veniva data facoltà di confessare se non gradualmente. Ora si arrabbia no se il Vescovo non gliela dà in sacrestia appena rientrati dal rito dell’Ordinazione. Infatti la più tragica carenza della Chiesa d’oggi è, a mio avviso, quella delle guide spirituali.
Molti organizzatori, pochi veri confessori. Molti tipi eccezionali, pochi padri.
Perché bisogna tenere ben da conto questo libro? Perché in questo modo o in un altro abbiamo bisogno di una iniziazione alla vita nascosta, per non diventare ancor più insulsi, inconsistenti, irrilevanti e trasparenti di quanto non siamo già. Senza àncora salda nel cielo, non c’è sostanza nei nostri atti.
Perciò la lettura di questo libro è stata per me, personalmente, una grazia e mi ha fatto un mondo di bene, aiutandomi a vivere quel tipo di re-set di cui, di mio, ho bisogno molte volte, e penso non solo io. Senza cura della stabilitas non esiste peregrinatio, senza vigilanza non c’è accoglienza della Grazia, senza ascolto non c’è parola nel cuore, senza perseveranza non c’è crescita, senza cura del desiderio non c’è grandezza, senza distacco non c’è discernimento.
Mi sembrano motivi sufficienti.
Allora come va usato questo libro?
Credo che vada letto una prima volta per capire il piano di battaglia, e poi riprendere capitolo per capitolo, e cimentarsi nella prassi. Un nemico si può ergere a quel punto: il pensiero che il libro di un eremita è solo un bell’esempio edificante, ma con noi gente rasoterra ci azzecchi poco. È questo il sistema del maligno per rendere vano un po’ tutto, secondo una logica che oscilla fra mediocrità e perfezionismo. Da una parte dire: vabbè, io ho un’altra vita, contentiamoci; e dall’altra: se non posso fare tutto quel che dice, è meglio che non mi ci metto. E così si chiude il cuore allo Spirito Santo, che deve irrompere con le Sue ispirazioni, perché si è schiavi del proprio pensiero assolutizzato. Invece si può prendere il primo capitolo e leggere ogni sezione che accompagna la piccola regola di san Romualdo e chiedersi come si possa tradurre nella propria vita. Don Giuseppe fornisce già nel testo delle chiavi preziose, quegli spunti di attualizzazione che costellano tutto il libro e non vanno lasciati cadere. Ma poi si tratta di provare ad applicare i singoli passaggi alla propria concreta realtà, per quel che si può.
Si può sbagliare? Certo che si può! Capita a tutti. Ma piano piano si aggiusta il tiro e il Signore fa tante sorprese. Il punto è provarci. L’esperienza insegna che tutto sta nel cominciare. Tutto sta sempre nell’inizio. Il vero problema della preghiera? Iniziare a pregare. La vera sfida del “sedersi”? Iniziare a farlo.
Poi le cose crescono da sole.
E se uno smette? Semplice: riprende. Non ci vuole Einstein per capirlo… Ma senza perfezionismi e senza trasandatezze. C’è una cosa da notare: l’arte di don Giuseppe non sta nell’aver fatto un commento alla “regola della cella” ma di aver reso quel testo un percorso.
È la genialità di questo libro: non capire questa piccola regola, ma camminarci dentro, scoprendo la sua biologia nascosta, il suo punto di partenza e di arrivo, le sue tappe e, soprattutto, averle rese sapienza educativa fruibile.
Il problema sta nel farsi condurre e, prima ancora, nel desiderare di partire. Per questo è necessario, però, che la meta sia attraente. Esiste l’intimità con Dio, ed esiste il nostro cuore, ossia l’intimità di se stessi. È impossibile avere la prima senza entrare nella seconda, e viceversa. E si dimostrano vere attraverso la fraternità che producono naturalmente, automaticamente, se, per l’appunto, sono reali.
Il fatto è che tutto questo è meraviglioso.
Ho provato tanta gioia evangelizzando, ma, sinceramente, ho provato più gioia al cospetto di Dio, e se c’è un po’ di amore nella mia vita è perché sono stato – quel poco che Dio mi ha concesso – in quella cella. Ognuno ha la sua cella. Dio sta lì ad aspettare.
* Postfazione al libro di don Giuseppe Forlai “Come una piccola creatura”
(Edizioni San Paolo 2022, 170 pagine, euro 16)